Le maggiori potenze occidentali continuano a organizzare vertici e riunioni per cercare una soluzione al caos in Libia. È stato così anche al Del – l’incontro per il Dialogo Economico Libico – che si è svolto a Roma la scorsa settimana e che ha visto tra i protagonisti, oltre al ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, anche il vicepremier libico Maitig. Come sempre in questi casi, al termine di simili consessi internazionali viene espressa generalmente grande soddisfazione per i risultati raggiunti o per quelli che si intendono ottenere. Al vertice di Roma è stato abbozzato anche uno schema di punti operativi da attuare sulla base di un cronoprogramma condiviso dai rappresentanti presenti, che riguarda l’approvazione del bilancio del Paese per il 2017 entro il 1 dicembre prossimo, il meccanismo di coordinamento istituzionale tra Governo e Banca Centrale e altri temi prioritari come la questione della carenza di liquidità, la revisione della legge anti-riciclaggio e un pacchetto di interventi di politica fiscale e sul cambio.
Ma intanto, in Libia, se la situazione sul fronte della sicurezza è sempre più incandescente, non è certo da meno l’incertezza sul fronte economico. Il mercato nero dei cambi in Libia ha registrato un aumento senza precedenti. Un dollaro statunitense viene scambiato per circa 6 dinari libici a fronte di un cambio ufficiale di 1,41 dinari per un biglietto verde: un livello record mai raggiunto prima d’ora. Questa fluttuazione è causata dalla situazione di stallo politico e di insicurezza nel paese nordafricano, che ha messo in ginocchio l’economia una volta fiorente. Secondo un rapporto della Banca mondiale sulla Libia, pubblicato lo scorso 7 ottobre, l’economia libica è vicina al collasso dato che l’impasse politico e la guerra civile impediscono al Paese di sfruttare pienamente la sua unica risorsa: il petrolio.
Intanto il governo libico, affidato nelle mani di Fayez al Serraj, ha chiesto al governo italiano di ripristinare l’accordo che l’allora premier Silvio Berlusconi aveva stretto con il Rais Gheddafi. L’intesa prevedeva, prima degli scellerati attacchi della coalizione internazionale contro il Paese nord-africano, che l’Italia avrebbe versato alla Libia 5 miliardi di euro in 20 anni per avviare una serie di costruzioni ed infrastrutture affidate a ditte ed aziende italiane. Poi, dopo la destituzione e l’uccisione di Gheddafi, il piano economico si è frantumato in mille pezzi, proprio come è attualmente il Paese libico.
L’Italia sarebbe intenzionata a ripristinare l’accordo. Ma a chi andranno queste risorse? A distanza di oltre un anno dall’affidamento dell’incarico a Serraj per formare un governo di unità nazionale, la situazione è ancora in fase di stallo. Il premier incaricato non ha ancora raggiunto l’intesa con il parlamento di Tobruk. In pratica, il fantomatico governo di unità nazionale, esiste soltanto sulle carte bollate. Persino il governo tunisino, solitamente cauto e moderato, ha perso la pazienza e ha chiesto di organizzare un incontro urgente con la vicina Algeria per affrontare la situazione prima che precipiti del tutto. Il ministro degli Esteri tunisino, Khemaies Jhinaoui, alla televisione di Stato tunisina, ha affermato che il suo paese sostiene il governo di accordo nazionale (Gna) del premier Fayez Sarraj, ma che “purtroppo l’accordo politico non è stato finalizzato poiché il parlamento di Tobruk non l’ha adottato a causa della presenza di differenze tra gli stessi libici”.
Una divisione, all’interno del Paese libico, che non persiste soltanto dalle divergenze politiche tra Tripoli e Tobruk, ma che ha ulteriori e pesanti conseguenze sul piano militare. È noto ormai l’attivismo del generale Haftar che controlla un proprio esercito indipendente da qualsiasi autorità politica. Un esercito che ottiene successi importanti nel contrasto al Daesh e che sarebbe riuscito persino ad arrestare nei giorni scorsi la moglie del terrorista algerino Mokhtar Belmokhtar, ex capo di al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), poi uscito dal gruppo per fondare la formazione degli al Murabitun. Un modo per ingraziarsi la comunità internazionale e recitare un ruolo di primo piano in un futuro governo che mai nascerà senza il suo apporto. Per questo motivo sono in corso trattative per convincere l’ex fedelissimo di Gheddafi ad accettare di far parte formalmente all’esercito di unità nazionale. Un accordo che mai si raggiungerà finché Egitto, Turchia e Russia, che intrattengono ottimi rapporti con Haftar, non faranno pressioni in tal senso.
Intanto la popolazione libica, una volta tra le più ricche dell’intero continente africano, versa in condizioni di povertà e instabilità mai viste prima. E la comunità internazionale, imperterrita, continua nei suoi vertici e nelle sue riunioni a cui seguono dichiarazioni incoraggianti e ricche di buoni propositi. Ma le reali soluzioni alla crisi libica sembrano ogni giorno più lontane.