Due autobombe a Bengasi e la presenza italiana mal digerita. La Libia è sempre più nel caos. Ieri sera, nella roccaforte del generale Khalifa Haftar, un duplice attentato ha causato decine di morti (un bilancio provvisorio parla di 33 vittime e 70 feriti) vicino alla moschea di Bait Radwan, nella zona residenziale di Al-Salmani. Le esplosioni sono avvenute a poca distanza l’una dall’altra, probabilmente per colpire anche i soccorritori giunti per intervenire dopo il primo attacco. Una carneficina nella quale, secondo quanto riportato da alcuni media, sarebbero rimasti coinvolti anche due esponenti delle forze di sicurezza del generale. Un alto funzionario, Ahmed al-Feitouri, sarebbe deceduto, mentre il direttore del controspionaggio, Mahdi Falah, è tra i feriti.
La condanna unanime per quanto accaduto a Bengasi non basta, però, ad arginare la spirale di violenza e caos che governa il paese nordafricano. Il governo di unità nazionale, nato sotto l’egida dell’Onu e con a capo Fayez al Sarraj, da subito ha dimostrato la sua debolezza. Un esecutivo che non rappresenta i libici e che si trova a dover fare i conti con il generale Haftar e con il governo transitorio di Tobruk. Una situazione che lascia ampi spazi di manovra ai gruppi terroristici e non solo.
La presenza italiana continua a creare forti malumori
Un altro capitolo della situazione libica riguarda l’Italia. Mentre la nostra politica è intenta a dibattere sui programmi elettorali alla ricerca disperata di voti per le elezioni del 4 marzo, nel Paese nordafricano, a poche miglia nautiche dalle nostre coste, il clima si infervora anche per l’arrivo di altri soldati dall’Italia. E i sentimenti anti-italiani crescono.
Si passerà da 375 a 400 unità, ma la cosa non è piaciuta ai libici al punto tale che l’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, ha parlato alla tv ‘Libya al Ahrar’ per rassicurare gli animi spiegando che non ci sarà nessun aumento di militari italiani nel Paese. “Si tratta – ha aggiunto il diplomatico – di una missione umanitaria, tecnica e logistica. Lo scopo è quello di fornire un sostegno alle forze di sicurezza e ai servizi di sicurezza libici”. Nessuna ‘invasione’, dunque, o violazione della sovranità. Il messaggio che deve arrivare è quello di un’operazione che va avanti all’interno di una cornice “umanitaria” che avrebbe il solo scopo di supportare il governo libico.
La posizione di Tobruk
Già nei giorni precedenti all’intervista, quando la Camera ha dato il via libera alle missioni internazionali compresa quella in Libia, sul profilo Twitter dell’ambasciata italiana a Tripoli è stato pubblicato un messaggio nel quale si bollavano come “inesatte” alcune informazioni che circolavano sui media proprio a proposito della presenza italiana nel Paese. “Nulla è cambiato – si legge nel tweet – La cooperazione continua a basarsi sul rispetto della sovranità nazionale”.
Ma la Camera dei rappresentanti di Tobruk (il governo non riconosciuto dalla comunità internazionale) ha pesantemente condannato la decisione dell’Italia di inviare più truppe in Libia interpretandola come una chiara violazione della sovranità del paese. Poi un avvertimento: ci saranno conseguenze per la “continua violazione della sovranità del paese”, chiedendo alla controparte italiana di fornire spiegazioni sul voto del Parlamento.
Nelle scorse settimane, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, durante l’audizione davanti alle commissioni congiunte Difesa ed Esteri di Camera e Senato, ha fatto sapere: “In Libia, dove permangono problemi interni al Paese, per razionalizzare e migliorare la nostra azione e migliorare progressivamente le capacità delle Autorità locali di svolgere compiti essenziali come il controllo del territorio e delle acque antistanti sotto la loro responsabilità, saranno unificate le differenti missioni già in atto – assistenza sanitaria, ripristino dei mezzi e degli equipaggiamenti delle Forze navali e addestramento dei relativi equipaggi, già avviate nel 2017, attività di addestramento e ripristino dei mezzi terrestri ed aerei e delle relative infrastrutture – con un lieve incremento del personale impegnato, dalle attuali circa 375 a 400 unità”.
Ma la presenza italiana in Libia, sin da subito, ha suscitato sentimenti negativi da parte di varie fazioni libiche. Adesso, però, la situazione sta peggiorando anche per l’imminenza delle elezioni che probabilmente si terranno a metà anno. Tra i canditati ci sarebbe anche il figlio di Gheddafi, Saif, che in passato ha apertamente dichiarato la sua ostilità al nostro Paese.