Con la cattura mai confermata di Moez Fezzani sembrava delinearsi finalmente una schiarita sulla destinazione e sui ruoli ricoperti in seno all’Isis dai numerosi mujaheddin già detenuti in Italia per terrorismo e successivamente espulsi verso i paesi di origine. Ma se così è stato per Fezzani, ritenuto una delle menti dei numerosi attentati perpetrati contro l’Occidente europeo, catturato infine dai libici durante la sua fuga da Sirte verso la Tunisia, delle decine di suoi commilitoni con trascorsi in Italia si sono perse le tracce.
Nel 2012, il settimanale L’Espresso, ha pubblicato un filmato che riprende un comizio del noto Abu Iyad, in Italia meglio noto come Seifallah ben Hassine, nome ricorrente nelle cronache giudiziarie per essere stato oggetto di varie indagini delle Procure del nord Italia che lo vedevano protagonista nell’organizzazione di nuovi nuclei jihadisti in Europa con cellule di maghrebini associati al Gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento e ricercato dalle autorità statunitensi poiché ritenuto l’ideatore dell’assalto al consolato americano a Bengasi nel settembre 2012.
Nel video, a fianco di Abu Iyad, vengono ripresi due individui che sono immediatamente riconosciuti come Mehdi Kammoun ed Essid Sami ben Khemais, anch’essi coinvolti in varie indagini in Italia, tratti in arresto ed a fine pena espulsi verso la Tunisia dove hanno da subito giurato fedeltà ad Ansar Al Sha’aria, successivamente affiliatosi al Califfato. Ma il triste panorama non si ferma qui.
Anche personaggi del calibro di Jarraya Khalil, veterano della guerra in Bosnia, soprannominato il colonnello, già detenuto in Italia ed espulso verso la Tunisia, pare abbia ritrovato la verve che gli ha consentito di ricoprire nuovamente ruoli di spicco nel panorama degli aggregati all’Isis.
Proprio a difesa di Sirte, ultima frontiera dello Stato islamico in Libia, sono stati nuovamente segnalati Kammoun Mehdi ed Essid Sami Ben Khemais, insieme a B. M. e N. R., elementi anch’essi ritenuti personaggi di spessore dello jihadismo, ex detenuti e dei quali si sperava di non dover più parlare.
Le informazioni convergenti hanno segnalato che il gruppo degli “italiani” non si è mai separato, proprio grazie alle vicissitudini ed ai trascorsi condivisi nel nostro Paese ed al comune background di mujaheddin quasi tutti addestratisi in Afghanistan a cavallo del nuovo millennio.
La lista dei combattenti dell’Isis con trascorsi italiani potrebbe essere interminabile, ma la sola citazione dei personaggi di cui si è detto dovrebbe fare riflettere.
Se è vero che quasi tutti sono stati condannati per reati connessi con il terrorismo, è pur vero che le pene inflitte non hanno ottenuto l’effetto di riabilitazione sperato, anzi.
Le investigazioni degli apparati di intelligence e delle varie forze di polizia hanno sempre fornito un panorama esauriente in merito alle attività delle cellule operanti in Italia ed alle loro pericolose connessioni soprattutto con i Balcani ed il Maghreb. Ma a fronte di questo le pene comminate agli islamisti sono risultate non consone, se non risibili come affermato dagli stessi condannati che, oltretutto, durante la loro detenzione hanno avuto modo di propagandare il loro folle credo reclutando nuovi adepti.
Al momento proprio i mujaheddin venuti dall’Italia rappresentano il nocciolo duro del Califfato in Libia che gestirebbe anche il traffico di clandestini verso il nostro Paese fornendo nuova linfa all’Isis in termini di finanziamenti che, a fronte dei rovesci subiti in battaglia e delle enormi porzioni di territorio sottratte dalla coalizione, avrebbe ridato fiducia ad Al Baghdadi e soci per la continuazione della jihad.