L’ombra di Hezbollah dietro la tragedia al porto di Beirut.
Proteste e tafferugli tra manifestanti e polizia sono in corso da questa notte in Libano, presso la sede del Parlamento a Beirut. I dimostranti chiedono giustizia nei confronti dei responsabili del disastro al porto della città certi che l’inchiesta sull’esplosione sicuramente coprirà le responsabilità di personaggi legati all’establishment del Paese dei cedri. Alcuni manifestanti hanno indicato “i veri colpevoli del disastro di Beirut” in “Hassan Nasrallah, nel presidente Aoun e nel Primo ministro Hassan Diab” sostenuto da Hezbollah. In Libano, infatti, cresce la richiesta di disarmo delle milizie legate al “Partito di dio”, considerate alla stregua di un’organizzazione mafiosa legata ai vertici governativi per le ampie disponibilità economiche e all’alto livello di corruzione in seno agli apparati amministrativi dello Stato.
È parere concorde che solo un’indagine internazionale potrebbe rivelare le ragioni dell’esplosione, ma “il governo libanese si oppone a questo perché vuole nascondere la verità”.
Le polemiche sono state alimentate anche a seguito delle rivelazioni su presunti documenti giudiziari, successivi al sequestro del carico di nitrato di ammonio trasportato dalla nave Rhosus, avvenuto nel 2014, che intimavano alle autorità libanesi di disporre l’urgente smaltimento del nitrato di ammonio sequestrato evidenziando i rischi connessi alla sua conservazione nel magazzino 12 del porto di Beirut.
Le indagini
Nel frattempo, nella giornata di ieri sedici membri del personale portuale e lo stesso direttore generale del porto sono stati arrestati. A riferirlo è stata l’agenzia di stampa statale libanese citando fonti della procura di Beirut e il commissario statale ad interim del tribunale militare, Fadi Akiki. Questi ha dichiarato che “le indagini sono state indirizzate anche verso altri sospetti, al fine di chiarire tutti i dettagli relativi a questo disastro”. Un altro funzionario della sicurezza, che ha voluto mantenere l’anonimato, ha dichiarato all’emittente Mtv Libano news che ”agenti di Hezbollah sarebbero entrati nel porto di Beirut dopo l’esplosione per compiere alcune operazioni”, pur senza rivelare dettagli utili alla ricostruzione dei fatti.
La fazione terrorista Hezbollah, prima tra i sospettati per la tragedia di Beirut, da anni ha infiltrato gli ambienti delle attività portuali attraverso le quali ha, di fatto, imposto il proprio controllo sull’operatività dell’intera area e, soprattutto, riuscendo a occultare i traffici di armi ed esplosivi contrabbandati con la copertura delle rotte commerciali dall’Europa e dall’Iran.
In effetti alcune fonti di settore, interpellate in merito alla tragedia di Beirut, hanno giudicato altissima la probabilità che l’esplosione sia stata causata da un “incidente sul lavoro” provocato da alcuni militanti di Hezbollah intenti nella preparazione di un attacco su larga scala da attuarsi in concomitanza con la divulgazione della sentenza della Corte internazionale di giustizia relativa all’omicidio di Rafik Al-Hariri che era attesa proprio per oggi.
L’operazione del commando sarebbe stata eseguita con l’utilizzo di alcuni inneschi al fosforo bianco il cui potenziale di deflagrazione, probabilmente ignoto alla cellula, avrebbe portato a conseguenze andate oltre le intenzioni degli organizzatori dell’azione.
Si ricordano, a conforto della tesi di un coinvolgimento diretto di Hezbollah, il rinvenimento nel 2015 a Cipro, in un magazzino dell’organizzazione, di 8,3 tonnellate di nitrato di ammonio e sei mesi dopo, tre tonnellate di nitrato di ammonio trovate in quattro nascondigli di Londra, in uso a militanti dell’organizzazione che, secondo fonti dell’Mi5, sarebbero dovuti servire a compiere un attentato in simultanea in alcuni obiettivi della Capitale britannica.
La sentenza contro Hezbollah per l’omicidio di Rafik Hariri
Il procedimento contro gli autori materiali dell’omicidio dell’ex Primo ministro libanese e di altre 22 persone, avvenuto il 14 febbraio 2005, tutti membri di Hezbollah, pare orientato verso una sentenza di condanna, anche alla luce dei drammatici avvenimenti degli ultimi giorni.
Le accuse di aver partecipato all’esecuzione materiale del crimine riguardano cinque imputati che, seppur colpiti da mandato di arresto, nonostante le indagini svolte dalle forze di sicurezza libanesi, non sono mai stati rintracciati. Questo anche a causa delle minacce del leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah, di “tagliare le mani a chiunque tenti di trovarli o collabori alla loro individuazione”.
Ma sull’intero processo grava comunque l’incognita di un’assoluzione dei cinque, ritenuta possibile alla luce dello statuto del Tribunale, di stampo anglosassone e con elementi di diritto comune internazionale e di quello civile libanese, secondo i quali se venisse dimostrato che per tutta la durata del processo gli imputati non hanno avuto alcun contatto con il collegio di difesa assegnato d’ufficio si andrebbe incontro ad una sentenza di assoluzione con la possibilità dell’apertura di un procedimento ex novo.
Al momento, il Tribunale speciale per il Libano, istituito sotto l’egida delle Nazioni Unite e con sede a L’Aja, ha rinviato al 18 agosto la sentenza del processo sulla morte dell’ex premier Rafiq Hariri.
I giudici avrebbero dovuto comunicare oggi le loro conclusioni per individuare i mandanti e gli esecutori dell’attentato, che vede coinvolti anche gli uomini della scorta del premier e l’ex ministro dell’Economia, Bassel Fleihan. Alla “sbarra”, quattro esponenti del gruppo Hezbollah, Salim Jamil Ayyash, Hassan Habib Merhi, Hussein Hassan Oneissi e Assad Hassan Sabra.
Hezbollah, la multinazionale del terrorismo
Il Partito di Dio o Hezbollah, è stato creato con il supporto fondamentale dell’Iran, allo scopo di contrastare la controffensiva israeliana nel sud del Libano nel 1982. Ma nel 2000, nonostante il completo ritiro di Israele dal Libano, le milizie sciite pur avendo ricevuto l’ordine di disarmare, continuarono nelle loro azioni contro interessi ebraici e con continue incursioni oltre i confini sud del Libano.
Il movimento libanese sciita Hezbollah è un’organizzazione che si dipana a livello globale e in maniera eterogenea. Le attività ufficiali vanno da quelle sociali e politiche in Libano, all’assistenza dei profughi siriani e alla popolazione di Gaza. Ma il sottobosco presenta tutt’altra natura.
Dall’Europa al sud America all’Asia, i membri di Hezbollah operano in maniera occulta incanalando verso Beirut, Damasco e Teheran i proventi di attività illecite svolte sotto la copertura di società di import export create ad hoc. Paesi latino americani le attività di Hezbollah li hanno portati a creare pericolose alleanze con i narcotrafficanti favorendo i traffici di droghe verso l’Africa e l’Occidente grazie alla rete di copertura fornita con la complicità di Teheran e della Siria.
Anche il commercio di armamenti è parte integrante delle attività di Hezbollah in favore del regime iraniano. Gli agenti dell’organizzazione, infatti, sono delegati all’acquisto di materiali “sensibili” da trasferire a Teheran bypassando le sanzioni internazionali irrogate all’Iran.
Le attività dell’intelligence di Hezbollah, protese in Occidente, vengono delegate a membri locali e a convertiti endogeni al Paese in cui operare. A tale scopo vengono finanziati centri di preghiera retti da imam sciiti indottrinati dall’organizzazione che periodicamente recano le informazioni raccolte comunicandole ad personam al loro arrivo in Medio oriente.
Hezbollah, come principale attività, svolge regolarmente attività militari in Libano, Siria e in tutto il Medio Oriente compiendo azioni terroristiche delegate a miliziani selezionati e addestrati per tali fini da istruttori iraniani e riuniti sotto la sigla della Jihad islamica.
È proprio l’Iran l’entità che supporta, quasi in toto, l’organizzazione di Hassan Nasrallah, mentre a seguire vi è l’ormai ricorrente attività di finanziamento dell’islamismo da parte del Qatar.
Ma, secondo i dettami del regime degli Ayatollah, la rivoluzione islamica deve essere un fenomeno globale e non può essere ristretta entro i confini di un solo Paese. A tale scopo, le attività di Hezbollah si sono diffuse a ragnatela a livello mondiale. Proprio al fine di espandere la propaganda, il reclutamento e ulteriori finanziamenti in favore dell’organizzazione, Hezbollah si è reso responsabile di numerosi attentati che hanno coinvolto la popolazione civile.
All’inizio degli anni ’80, i miliziani si resero protagonisti di decine di attacchi suicidi, tra i quali, il più grave nel 1983 contro la forza di pace internazionale dislocata a Beirut ovest quando trovarono la morte 241 marine statunitensi e 56 parà francesi.
All’organizzazione sono state imputate le accuse di un diretto coinvolgimento nel dirottamento del volo 847 Atene-Roma nel 1985, dell’attentato del 2012 a Burgas, in Bulgaria, e di due attacchi alla sinagoga e al centro culturale ebraico di Buenos Aires nel 1985.
A sostenere le forze rivoluzionarie sciite, anche il governo siriano di Bashar al Assad, proteso a un avvicinamento progressivo a Teheran in funzione antisionista e, successivamente all’aiuto militare fornito dagli sciiti in chiave anti-Daesh.
I Servizi segreti siriani operano a diretto contatto sia con il Vevak iraniano che con le milizie sciite di Hezbollah presenti soprattutto nel sud del Libano, ai confini con Israele. Ed è proprio nell’approvvigionamento e nella logistica in favore delle forze di Hezbollah che il regime di Assad produce il massimo sforzo non solo con i lauti finanziamenti elargiti ma con l’utilizzo dell’aeroporto di Damasco per la ricezione di componenti per i missili in uso ai miliziani e agli esplosivi, il tutto a mezzo di voli cargo provenienti dall’Iran.
I materiali di armamento, prima della loro redistribuzione sul fronte del Golan, vengono regolarmente stoccati entro alcuni siti presidenziali nell’area sud della capitale siriana, fatti oggetto dei recenti blitz mirati dell’aviazione israeliana.
La politica in Libano a braccetto con i terroristi
Dal dicembre 2019 il Libano è guidato da un governo presieduto da Hassan Diab che ha ricevuto l’incarico di formare il nuovo esecutivo dal presidente Michel Aoun. Questo, dopo le dimissioni da Primo ministro di Saad Hariri, figlio di Rafik, presentate il 29 ottobre scorso a causa delle proteste di piazza provocate dalla grave crisi economica del Paese. La nomina di Diab, ex ministro dell’struzione, è stata resa possibile dall’appoggio ricevuto dal blocco politico che fa capo a Hezbollah comprensivo del partito sciita Amal, dai cristiani del Movimento dei patrioti liberi e altri parlamentari vicini alle posizioni del movimento di Hasan Nasrallah. Ma l’incarico devoluto a Diab ha di fatto alimentato le proteste contro la classe politica libanese da parte di migliaia di manifestanti che sono scesi in strada a Beirut e Tripoli. È oramai palese che le rappresentanze parlamentari libanesi si sono dimostrate completamente sorde alle richieste della popolazione relative alla soluzione della crisi economica e occupazionale in atto da anni nel Paese.
Inoltre, il governo retto da Hassan Diab, di credo sunnita ma nell’orbita di Hezbollah, ha indebolito i rapporti a livello internazionale del Paese, escludendolo dalle forniture di aiuti e ponendolo a rischio di sanzioni. È un fatto conclamato che la vicinanza di Hezbollah con il regime iraniano sia considerata ben più di una mera alleanza e questo potrebbe creare seri ostacoli nei rapporti politici e commerciali con il disastrato Paese dei cedri con l’intero Occidente.