Le controverse trattative sul nucleare iraniano, il Jcpoa, Joint Comprehensive Plan of Action, torna alla ribalta internazionale e le trattative inquietano Israele. Secondo il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’energia atomica (AIEA) Rafael Grossi, dopo trattative durate mesi, si sarebbe vicini ad un accordo tra le parti che ricalca, in quasi la sua totalità, quello stipulato a Vienna nel 2015.
Il testo prevede che, a fronte della richiesta di revoca delle sanzioni economiche nei suoi confronti, Teheran si impegna , come già in passato, ad eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento, tagliare le riserve a basso arricchimento del 98% e ridurre di 2/3 le centrifughe a gas per un periodo di circa 10 anni. Solo successivamente al mantenimento dell’accordo, e dietro verifica di ispettori dell’Aiea, l’Iran potrà arricchire l’uranio solo al 3,67%.
Inoltre, l’Iran si impegna a non costruire alcun nuovo reattore nucleare ad acqua pesante nell’arco dello stesso periodo. Le attività di arricchimento dell’uranio saranno limitate a un singolo impianto utilizzando centrifughe di prima generazione per dieci anni. Tutti gli altri impianti saranno oggetto di un progetto di conversione per evitare ogni rischio di proliferazione nucleare.
Il rispetto dell’accordo sarà oggetto di monitoraggio e ispezioni da parte degli ispettori dell’Aiea, ai quali Teheran concederà l’accesso illimitato a tutti i suoi impianti.
Il pragmatismo di Trump
Ma sulla situazione pesano numerosi fattori e versioni contrastanti.
A fronte dell’ininterrotto supporto iraniano alle milizie terroriste di Hezbollah in Libano, degli Houthi yemeniti ed a quello al regime siriano di Bashar al Assad, con l’invio di armi e personale dei Pasdaran, nel 2018, su pressione del governo israeliano, il presidente statunitense Donald Trump aveva annunciato l’uscita unilaterale dagli accordi e il ripristino delle sanzioni avverso il regime di Teheran emanate con la risoluzione 1747 dall’Unione Europea e dal Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Preso atto dell’irrigidimento nei suoi confronti, nel gennaio 2021 l’Iran ha avviato il processo di arricchimento dell’uranio al 20%, come annunciato in precedenza da Teheran e confermato dall’Aiea.
Il portavoce dell’Organizzazione per l’Energia Atomica iraniana aveva preannunciato l’intenzione di avviare centinaia di nuove centrifughe, iniettandovi il gas e, di fatto, giungendo al traguardo dell’operatività delle centrifughe avanzate IR6.
Tale mossa altro non ha fatto che confermare i poco velati sospetti sulle reali intenzioni di Teheran che, sedendosi più volte al tavolo delle trattative con l’Occidente, nella realtà dei fatti, aveva continuato nei suoi ambiziosi progetti di assurgere a potenza nucleare regionale.
Nel contempo gli iraniani hanno proseguito i piani di un consolidamento delle loro posizioni in Siria e nella fornitura di testate a breve-media gittata, armi ed esplosivi a Hezbollah, Hamas e alla Jihad islamica, riuscendo nell’intento di inviare anche in Cisgiordania proprio personale in veste di istruttori.
Biden il sognatore
All’atto del suo insediamento alla Casa Bianca, il neo eletto Joe Biden, aveva annunciato il ritorno degli Usa al tavolo delle trattative in cambio del rispetto di Teheran a tutti i punti degli accordi.
Un atteggiamento, quello di Biden, che ha incrinato le storiche e consolidate relazioni tra Washington e Gerusalemme.
Ad oggi, nonostante le dichiarazioni sul raggiungimento di un nuovo accordo, la situazione appare, comunque, quantomai confusa.
Hossein Amir Abdullahian, Ministro degli Affari Esteri iraniano, in un colloquio telefonico con Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, in merito alla revoca delle sanzioni, ha dichiarato che “l’America ha risposto ieri alle proposte della Repubblica Islamica dell’Iran, e ora i miei colleghi li stanno esaminando. Abbiamo sottolineato a tutte le parti che la soluzione delle questioni strutturali e politiche è una necessità fondamentale. Abbiamo una seria e reale intenzione di raggiungere un accordo forte e stabile e abbiamo mostrato questa intenzione in azione”.
Il rappresentante della Russia nei negoziati JCPOA, Mikhail Ulyanov, ed altre fonti affermano che i negoziati JCPOA potrebbero essere prolungati. Riferiscono, inoltre, che gli Usa non ha fornito sinora alcuna risposta categorica.
Ma l’atteggiamento di Mosca, così come quello di Pechino, è stato da sempre più che “tollerante” nei confronti di Teheran, ritenendo il Paese un formidabile fulcro per il commercio e il traffico di armi, come dimostra la fornitura dell’Iran di centinaia di droni alla Russia, pronti per l’uso operativo nell’ambito della guerra contro l’Ucraina. Un accordo raggiunto alla fine di mesi di trattative che ha segnato un altro passo avanti nel percorso di riavvicinamento tra Russia e Iran nel quale Mosca può avere un ruolo centrale nei programmi di sviluppo del nucleare.
Intanto, sullo sfondo degli annunciati “progressi” nei negoziati sull’accordo nucleare con l’Iran, l’esercito americano ha annunciato di aver attaccato le strutture in Siria utilizzate dalle Guardie Rivoluzionarie e dalle milizie ad esso associate a Saker Island in Deir Ez Zur con lo scopo di proteggere le forze americane dagli attacchi dei gruppi sostenuti dall’Iran.
In risposta all’attacco americano, il lancio di razzi da parte iraniana contro strutture che ospitavano truppe americane in Siria, ha provocato il ferimento di tre militari Usa.
Successivamente all’attacco americano, anche l’aviazione israeliana ha condotto attacchi contro il complesso di Masyaf, in Siria, dove si trovano depositi di esplosivi, razzi con spolette al Cloro e gas Sarin, nella disponibilità di Hezbollah.
Le esplosioni e gli incendi si sono susseguiti per tutta la notte.
Israele avverte: nessun accordo possibile
Il vice primo ministro israeliano, Naftali Bennet, ha formalmente chiesto al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, “di astenersi, anche adesso, in quest’ultimo momento, dal firmare l’accordo con l’Iran“. Lo riferisce una nota dell’ufficio di Bennett. “Questo accordo invierà circa un quarto di trilione di dollari – 250 miliardi di dollari – in tasca all’amministrazione del terrore iraniana e ai suoi affiliati regionali e consentirà all’Iran di sviluppare, installare e far funzionare centrifughe, quasi senza restrizioni, in soli due anni”, ha aggiunto Bennett.
“In un modo o nell’altro, lo Stato di Israele non è parte dell’accordo. Israele non si impegna a nessuna delle restrizioni derivanti dall’accordo e utilizzerà tutti gli strumenti disponibili per impedire l’avanzamento del programma nucleare iraniano”, ha concluso.
Allo scopo di stabilire una strategia che scongiuri ogni rischio per Gerusalemme, il capo del Mossad uscente, David Barnea, ha organizzato una maratona di incontri e briefing di intelligence con il primo ministro Yair Lapid a Kirya a Tel Aviv. Barnea, che da tempo sostiene che l’Iran tornerà all’accordo perché sia lui che gli Stati Uniti hanno un interesse economico in tal senso, ha affermato nei vari briefing che la possibilità di firmare è vicina al 100%.
Secondo il capo del Mossad,”stiamo facendo una copia incollata dell’accordo del 2015, e da allora l’unica cosa rimasta è il testo”.
Durante il suo incontro con Lapid, Barnea ha passato in rassegna la situazione dell’intelligence e i rischi connessi al ritorno all’accordo. Ha avvertito che la firma consentirà agli iraniani di raggiungere capacità molto significative, grazie alle centinaia di miliardi di dollari che entreranno nel Paese una volta revocate le sanzioni. Secondo il capo del Mossad, il denaro aiuterà anche tutte le organizzazioni terroristiche della regione – tra cui Hezbollah, la Jihad islamica palestinese, i ribelli Houthi in Yemen, le milizie filo-iraniane, la Forza Quds e Hamas. Questo, secondo Barnea, pone sfide significative nell’area per gli Stati Uniti – e in primo luogo per Israele. Il capo del Mossad ha affermato che diversi paesi della regione guarderanno all’Iran come una sorta di “modello” e sarà ancora più complesso per Israele affrontare il significativo rafforzamento iraniano che include molte variabili.
Per Barnea, il raggiungimento di un accordo con l’Iran non sarà in alcun modo vincolante per Israele che agirà come ritiene opportuno per neutralizzare eventuali minacce alla sua sicurezza. Il capo del Mossad ha sottolineato che lo Stato ebraico ha iniziato i preparativi per un attacco militare contro l’Iran se tale azione sarà ritenuta necessaria, anticipando che, comunque, “il Mossad si sta preparando e sa come rimuovere la minaccia. Se non agiamo, Israele sarà in pericolo”.