“Quando si analizza la questione del terrorismo o degli attacchi terroristici rispetto ad un sistema politico che presenta falle nella difesa dello Stato a seguito delle minacce provenienti dall’esterno, ma anche dall’interno del paese, si dovrebbe essere consapevoli della cultura che prevale nei paesi scandinavi. Le nazioni in questione sono molto pacifiche, la popolazione è quindi più ‘ingenua’, mentre altre nazioni al contrario attuerebbero repentinamente le necessarie misure di protezione. È anche abituale in Scandinavia, soprattutto nelle università, nella vita pubblica, nei media o nel parlato comune, mantenere un alto livello di ‘politicamente corretto’, che potrebbe essere certamente confuso con un notevole livello di tolleranza nei confronti dei propri interlocutori. Qualsiasi collegamento fatto in pubblico tra un attacco terroristico e la nazionalità dell’autore, la sua religione o lo status di un migrante illegale o un rifugiato è inaccettabile, e tale attribuzione è percepita come mancanza di tatto, mediocre, maleducata o addirittura xenofoba”. Joanna Siekiera, noto avvocato internazionale, laureata in Polonia in Scienze delle Politiche Pubbliche, vive e lavora in Norvegia dove, da oltre due anni, insegna presso la Facoltà di Legge dell’Università di Bergen. Tra le specializzazioni della dottoressa Siekiera anche quelle che riguardano le relazioni giuridiche e politiche nel Pacifico del Sud, i processi di regionalizzazione, così come il diritto internazionale umanitario (ma per non essere politicamente corretta usa intenzionalmente ‘diritto dei conflitti armati’) e la prospettiva di genere nei conflitti armati.
Negli ultimi anni, l’Islam radicale ha avuto una tendenza all’aumento in tutta la Scandinavia, non solo in Norvegia. Quali potrebbero essere secondo lei le motivazioni di questa apparente recrudescenza?
“I singoli attacchi dei musulmani radicali non sono casi isolati, ma indicano una certa tendenza, che non è ancora emersa nel dibattito pubblico o negli sforzi dei politici per migliorare il livello di sicurezza dei cittadini. I Paesi scandinavi sono uniti da una comune radice storica, culturale, linguistica e giuridica, e condividono pure la stessa ‘filosofia protestante’. Tuttavia, le chiese nazionali luterane hanno perso la loro posizione nella società, anche se i valori evangelici di diligenza, modestia e cura del bene comune sono rimasti. Di fronte al crollo della famiglia classica e alla mancanza di autorità morali viventi, i giovani cercano risposte alle domande più importanti per loro, vogliono sentire risposte chiare, indicazioni su cosa è bene e cosa è male. Le congregazioni musulmane offrono un chiaro percorso di fede, ed è per questo che l’Islam attrae molti scandinavi che hanno amici di questa fede o con essi suggellano partnership o matrimoni. Naturalmente, non si può associare l’Islam o i suoi seguaci al terrorismo. A seconda della comunità, il più delle volte, i migranti o gli scandinavi già naturalizzati costituiscono una parte importante, viva e integrata delle comunità locali. Anche se, naturalmente, non sempre e ovunque. D’altra parte, però, è necessario segnalare il fenomeno del terrorismo dei musulmani radicalizzati, il cosiddetto terrorismo islamico”.
Il 13 ottobre di quest’anno, un cittadino danese di 37 anni, che si era convertito all’Islam, ha attaccato, usando arco e frecce come armi, i passanti e alcuni anziani che stavano facendo acquisti in una popolare catena di negozi della piccola città norvegese di Kongsberg, uccidendo cinque persone. Lei che idea si è fatta sull’autore di questo efferato delitto?
“Il fatto della sua conversione all’Islam era stato comunque trascurato, e anche se la polizia aveva riferito che sul grado di radicalizzazione del danese sollevava notevoli riserve, comunque egli avrebbe potuto mettere in pericolo la sicurezza dello stato e dei suoi abitanti. Gli ultimi rapporti della polizia risalgono a un anno fa, il che significa che l’uomo non è stato controllato regolarmente dai servizi, nonostante abbia spesso contattato il servizio sanitario norvegese. Espen Andersen Bråthen ha agito da solo, e le cause della tragedia sono state definite come prettamente mentali, ma comunque collegate alla sua radicalizzazione islamica. Sui media norvegesi, sono state espresse delle conclusioni frettolose circa una sua patologia criminale – la sindrome di demoralizzazione post-traumatica (PTDS) – e sulla sua nazionalità (“migrante danese”), anche se in realtà l’uomo è nato in Norvegia e non ha più un rapporto così stretto con la Danimarca, mentre de jure ha la cittadinanza danese, dato che sua madre è danese.
Il 22 luglio 2011, esattamente un decennio fa, Anders Behring Breivik ha compiuto un attacco terroristico a Oslo e sull’isola di Utøya, per motivi neonazionalisti. Quali legami (se esistono) gli analisti ritengono possano esserci tra i fatti di Kongsberg e quelli del 2011?
“Gli analisti hanno subito associato questi due eventi come conseguenza della mancata adozione di misure preventive atte a rintracciare e prendere sul serio le azioni dei futuri terroristi, che spesso non nascondono i loro propositi o le loro connessioni con le organizzazioni criminali. “L’arciere di Kongsberg”, come i media hanno chiamato il danese, è l’erede della cosiddetta “jihad dei fiordi”, una visione autentica e realistica della minaccia islamica, perché sempre più cristallizzata, che attenta a destabilizzare lo Stato norvegese”.
In Italia – così come anche in altre nazioni europee – il Governo ha rilevato la necessità di ricorrere alle Forze armate (Operazione “Strade sicure”) in supporto alle Forze di polizia, per prevenire e far fronte ad eventuali gravi emergenze di ordine pubblico sul territorio nazionale, compresi gli atti di terrorismo. Lei ritiene che questa opportunità possa essere utilizzata anche nei paesi scandinavi?
“L’opinione pubblica è fortemente contraria a dispiegare l’esercito, la polizia o altri servizi per le strade delle loro città e dei paesi più piccoli, per non parlare dell’estensione delle loro competenze (compreso il diritto di essere completamente armati mentre sono in servizio). Dopo tutto, un’immagine di “strade armate” sarebbe più inappropriata per gli scandinavi di qualsiasi reale necessità di protezione dei cittadini dal terrorismo. Persino la legge stessa sarebbe inefficace finché i cittadini, e de jure anche gli elettori, non vedranno e comprenderanno la difficile situazione in cui si ritrovano, dove, alcuni individui si preparano a commettere un atto di terrorismo “alla luce del sole”. Allora il prossimo passo sarà quello di cambiare la cultura giuridica della Scandinavia, permettendo ai politici eletti di limitare i diritti del cittadino anche spese della propria comodità e libertà individuale, al fine di garantire la sicurezza”.
Quando si affronta il tema del terrorismo e della radicalizzazione Islamica in terra di Scandinavia ritorna spesso il riferimento alla controversa figura di Faraj Ahmad. Chi è costui e che relazione ha nei fatti di terrorismo?
“Faraj Ahmad (detto Mullah Krekar) è stato arrestato in Norvegia nel 2015 e poi rilasciato in Italia nel 2020, dove il tribunale di Bolzano lo ha condannato a 12 anni di carcere. Dopo essere fuggito dall’Iraq, ha ottenuto asilo politico in Norvegia, da dove ha creato con successo (sotto l’occhio vigile dei servizi norvegesi!) una rete europea per educare le nuove generazioni di terroristi a una brutale ribellione contro i “regimi infedeli”. Tra il 1991-2015, ha goduto del diritto d’asilo per i rifugiati politici, anche se ha ammesso di essere un collegamento tra al-Qaeda e il regime di Saddam Hussein. Tutto ciò avveniva in Norvegia, secondo la legge norvegese”.
Secondo Lei questo approccio sociale, ancorché culturale, relativamente alle politiche di rimpatrio nei casi conclamati di terrorismo, non crede possa alla fine determinare un evidente problema di ordine pubblico?
“Un simile problema sistemico e culturale in Scandinavia riguarda la politica di rimpatrio degli ex (o ancora esistenti) combattenti dell’IS con cittadinanza scandinava. Anche qui la società è divisa, come è stato chiaramente delineato nel gennaio 2020. Io stessa ero presente all’aeroporto di Oslo quando è arrivata la donna IS (Nor. IS-kvinne). La controversa decisione di rimpatriare la donna e i suoi due figli è stata presa per motivi umanitari, ma l’effetto politico è stato il crollo della coalizione di governo (e la causa di molte controversie familiari e lavorative, dove la stragrande maggioranza delle persone ha sostenuto la necessità costituzionale di difendere la cittadina norvegese e i suoi figli verso paesi sotto il sistema di welfare norvegese). Nel marzo di quest’anno, ho anche assistito a un processo davanti alla Corte Suprema di un migrante musulmano che inviava regolarmente denaro ai suoi gruppi di amici dell’IS. La linea di difesa, tuttavia, era che l’accusato stava presumibilmente inviando i soldi alla famiglia, non avendo idea di come sarebbero stati spesi”.