La nuova amministrazione Usa di Joe Biden cambia schieramento in Medio Oriente? La recente visita del segretario di Stato, Antony Blinken, ha di fatto aperto la porta a una revisione dei rapporti con le parti in campo. Durante la conferenza stampa congiunta con il primo ministro israeliano Netanyahu, Blinken ha voluto sottolineare che “per prevenire un ritorno alla violenza dobbiamo usare lo spazio creato dal cessate il fuoco”, raggiunto il 20 maggio scorso tra Israele e Hamas. In contemporanea occorre “affrontare una serie più ampia di sfide, compresa la crisi umanitaria a Gaza e l’avvio della ricostruzione”.
Dunque, secondo Blinken, Washington “lavorerà con i suoi partner per garantire che Hamas non tragga vantaggio dagli aiuti”, impegno quasi impossibile per l’amministrazione americana all’oscuro delle sottili trame intessute dalle Ong in favore della cosiddetta “resistenza palestinese”. Pur ribadendo il sostegno all’autodifesa di Israele gli Usa, di pari passo, garantiranno la ricostruzione di Gaza e l’apertura di canali diplomatici idonei a ricostruire un idoneo rapporto con l’Autorità nazionale palestinese.
Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, da parte sua ha auspicato che “gli Stati Uniti non ritornino al tavolo delle trattative per il nucleare iraniano (Jcpoa). Una possibile intesa potrebbe, infatti, consentire all’Iran di ottenere capacità nucleari con la legittimità internazionale”. Inoltre, Netanyahu ha avvisato che in caso di una rottura della tregua da parte di Hamas, la risposta di Israele sarà “ancora più dura”.
Blinken ha incontrato anche il ministro della Difesa, Benny Gantz, e il capo della diplomazia, Gabi Ashkenazi. E proprio Gantz ha ribaditole “esigenze della sicurezza di Israele, del mantenimento del vantaggio militare nella regione e della necessità di prevenire che l’Iran ottenga armi nucleari”. Gantz e Blinken “hanno espresso la loro gratitudine ai partner, tra cui l’Egitto, che hanno contribuito” a raggiungere il cessate il fuoco.
Successivamente agli incontri a Gerusalemme e Tel Aviv, Blinken si è diretto a Ramallah, dove ha incontrato il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, promettendo che l’amministrazione statunitense guidata da Joe Biden chiederà al Congresso degli Stati Uniti di stanziare 75 milioni di dollari per lo sviluppo e l’assistenza economica ai palestinesi. L’impegno di Washington proseguirà con il processo di riapertura del consolato degli Stati Uniti a Gerusalemme, nella fornitura di 5,5 milioni di dollari come assistenza immediata in caso di calamità a Gaza e 32 milioni di dollari all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei palestinesi (Unrwa).
Ma la promessa di un aiuto di ben 75 milioni di dollari ai palestinesi, unita all’annuncio della riapertura del consolato a Gerusalemme, ha offuscato la promessa di un rinnovato sostegno a Israele. La precedente amministrazione statunitense, guidata da Donald Trump, non a caso aveva tagliato i finanziamenti all’Unrwa, agenzia sospettata di finanziare, a sua volta, i gruppi terroristici con la devoluzione di ingenti somme mimetizzate da raccolta di elemosine per le famiglie dei defunti. Abbas ha ovviamente ringraziato gli Usa per “gli sforzi compiuti in stretta collaborazione con l’Egitto, con i fratelli arabi e con le parti interessate per raggiungere il cessate il fuoco”, tra Israele e Hamas. Inoltre, il presidente dell’Anp ha apprezzato l’annuncio di Blinken della riapertura del consolato generale Usa a Gerusalemme e per gli aiuti economici promessi.
La visita e gli incontri di Blinken hanno prospettato un panorama abbastanza desolante degli intenti della nuova amministrazione Usa in tema di politica mediorientale, mostrando una notevole leggerezza, una totale impreparazione in tema di contese territoriali e rapporti tra le varie parti in causa, oppure una chiara presa di posizione.
Analizzando le dichiarazioni rese nel corso delle varie conferenze, Blinken ha affermato che “gli Stati Uniti si oppongono ad azioni unilaterali che potrebbero minare le prospettive di una pace giusta e duratura, che si tratti di attività di insediamento, demolizioni di case, annessione del territorio, incitamento alla violenza o risarcimento di individui che hanno commesso atti di terrore”. Al tempo stesso ha sottolineato l’impegno del governo degli Stati Uniti nei suoi rapporti con l’Autorità palestinese.
Ma lunedì, 24 maggio, il presidente degli Stati Uniti aveva spiegato che la visita di Blinken a Gerusalemme e Ramallah andava inserita nel quadro del “ferreo sostegno alla sicurezza di Israele”, in ciò, contraddicendo le dichiarazioni dello stesso Blinken che si era espresso per un sostegno incondizionato all’Anp. Un pressappochismo, quello degli Usa, frutto di un’esasperata ricerca di consensi da parte araba, pur nel tentativo di mantenere intatti gli storici legami con Israele.
Per Gerusalemme, una conferma dell’isolamento nel quale è costretto il Paese che, suo malgrado, deve prenderne atto e agire di conseguenza. Questo anche considerando l’ennesimo tentativo di colpire Israele posto in atto dall’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, Michelle Bachelet, che al termine del Consiglio, riunitosi in settimana in seduta straordinaria, ha posto sul tavolo il progetto della creazione di una commissione d’inchiesta internazionale sulle violazioni dei diritti umani nei Territori palestinesi da parte di Israele.