Dall’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, la nuova geopolitica degli Usa lascia Israele nell’isolamento più totale dell’affrontare insidie sempre più inquietanti. Il segretario alla Casa Bianca, Tony Blinken, ha riferito giovedì scorso che gli Stati Uniti hanno recentemente sospeso alcune vendite di armi all’estero al fine di assicurarsi di soddisfare i propri obiettivi strategici, come quello di porre fine al conflitto nello Yemen.
Durante la conferenza stampa Blinken ha ribadito che vi sarà, da parte della gestione Biden, una revisione di una serie di accordi, soprattutto in materia di politica estera, inclusa quella degli Accordi di Abramo. La gestione delle “revisioni” sarà curata direttamente dal Dipartimento di Stato americano.
Il sostegno allo Yemen, quindi agli Houthi
Blinken è ritornato poi sulla questione yemenita ribadendo che “sono particolarmente concentrato sulla questione delle sanzioni contro gli Houthi. Penso che tutti voi sappiate molto bene che alcuni anni fa gli Houthi hanno commesso un atto di aggressione significativa conquistando Sana’a, spostandosi attraverso il paese, commettendo atti di aggressione contro il nostro partner, l’Arabia Saudita, commettendo violazioni dei diritti umani e altre atrocità, creando un ambiente in cui abbiamo visto gruppi estremisti riempire alcuni dei vuoti che sono stati creati. Ma allo stesso tempo, abbiamo assistito a una campagna guidata dall’Arabia Saudita che ha anche contribuito a quella che secondo molti è la peggiore crisi umanitaria nel mondo oggi, e questo sta dicendo qualcosa. E quindi è di vitale importanza, anche nel mezzo di questa crisi, che facciamo tutto il possibile per ottenere assistenza umanitaria al popolo dello Yemen che ha un disperato bisogno. E quello che vogliamo assicurarci è che qualsiasi passo che stiamo intraprendendo non ostacoli la fornitura di tale assistenza”.
La revisione degli Accordi di Abramo
In relazione agli Accordi di Abramo, ribadendo il sostegno a quanto stabilito dall’amministrazione Trump, il segretario di Stato americano ha sottolineato che Israele deve normalizzare le relazioni con i suoi vicini e gli altri paesi della regione come segno di uno sviluppo positivo, ed è comunque tipico all’inizio di un’amministrazione rivedere qualsiasi accordo di vendita in sospeso, per assicurarsi che ciò che viene preso in considerazione sia qualcosa che convenga ai nostri obiettivi strategici e, più in generale, alla politica estera Usa. Le revisioni cui si riferisce Blinken riguardano per lo più il blocco delle vendite di F-35 agli Emirati Arabi Uniti e all’Arabia Saudita, ma l’atteggiamento palesato dagli Usa non ha comunque chiarito in modo netto la posizione americana sulle politiche in Medio Oriente.
La dichiarazione congiunta degli accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti era stata resa nota il 13 agosto 2020 e, successivamente, ha riguardato anche il Bahrein e il Marocco.
Biden e l’Europa di fronte al dilemma: con Israele o con l’Iran?
La crisi tra Iran e Israele, inasprita dalle continue provocazioni del regime di Teheran, costituisce un argomento primario utile a chiarire quali siano le reali intenzioni del neo presidente Biden nei confronti dell’alleato israeliano, ogni giorno più isolato.
E le politiche dei “democratici”, come in una pandemia, colpiscono anche l’Unione europea.
Proprio oggi il portavoce dell’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera, Josep Borrell, ha dichiarato di lavorare “duro” con la nuova amministrazione americana per ottenere la revoca delle sanzioni unilateralmente imposte dagli Stati Uniti all’Iran e per spingere Teheran a rispettare gli impegni dell’accordo sul nucleare.
Il portavoce dell’Ue, Peter Stano, ha spiegato che “Josep Borrell sta svolgendo il ruolo di coordinatore e sta lavorando molto duramente per rimettere in sesto il Piano d’azione globale congiunto (Jcpoa)”, rispondendo alle osservazioni del capo della diplomazia iraniana, Mohammad Javad Zarif, che in un’intervista alla Cnn aveva chiesto a Borrell di “indossare il cappello di coordinatore del comitato congiunto” per dare seguito all’accordo del 2015 “e di coordinare i passi che devono essere compiuti dagli Stati Uniti e quelli che devono essere compiuti dall’Iran”.
Ad acuire i dubbi sui reali sentimenti di amicizia tra Europa e Israele, si inserisce la dichiarazione di Peter Stano, durante la conferenza stampa quotidiana al Parlamento europeo riferita alla decisione del Kosovo di aprire una propria ambasciata nella capitale di Israele, Gerusalemme. Il portavoce dell’Unione, ha infatti sottolineato che “la decisione del Kosovo di aprire la sua ambasciata a Gerusalemme lo allontana dall’obiettivo di aderire all’Ue ed è una decisione infelice”.
Stano ha ricordato, inoltre, che tutte le ambasciate degli Stati membri in Israele e la rappresentanza diplomatica dell’Ue sono a Tel Aviv e che la posizione della comunità, riguardo allo status di Gerusalemme, è che dovrebbe essere la capitale condivisa di due Stati, quello palestinese e quello israeliano, basata su “trattative dirette tra le due parti”.
Intanto a Teheran…
Nel frattempo, l’Iran, tramite il portavoce dell’Agenzia per l’energia atomica, Behrouz Kamalvandi, ha annunciato che “le riserve di uranio arricchito al 20% dell’Iran sono arrivate a 17 chilogrammi”, ben oltre la tabella di marcia prevista.
Durante una visita all’impianto per l’arricchimento di Fordo, Kamalvandi ha voluto spiegare che la Repubblica islamica ha avviato all’inizio di gennaio l’arricchimento a questa nuova soglia, ben oltre il limite del 3,67% previsto dall’accordo sul nucleare del 2015 (Jcpoa), in esecuzione di una legge approvata dal Parlamento, che è controllato dai fondamentalisti, ostili al governo moderato di Hassan Rohani.
L’Iran ha installato nel sito sotterraneo fortificato di Fordow centrifughe altamente avanzate IR6 ed è stata appena completata l’istallazione di due cascate di centrifughe avanzate IR4.
Le proiezioni sull’attività di arricchimento dell’uranio, a parere del presidente del Parlamento, Mohammad Baqer Qalibaf, anche lui presente a Fordow, prevedono una produzione annua di 120 kg al 20%. Entro tre mesi sarà, inoltre, conclusa l’installazione di oltre 1000 centrifughe presso l’impianto di Natanz che porterà ad una ulteriore incremento delle attività nucleari.
In sostanza, l’Iran sta già producendo ed installando migliaia di centrifughe per l’arricchimento dell’Uranio anche in considerazione del fatto che l’accordo sul nucleare, stipulato con l’amministrazione Usa di Barack Obama, non proibiva questo tipo di ricerca e proliferazione.
Un pessimo accordo anche a fronte del ricatto abbastanza evidente dell’Iran, considerato che Teheran sottolinea che le iniziative intraprese sull’arricchimento dell’uranio e la proliferazione nucleare sono comunque di misure reversibili, promettendo di revocarle se gli Usa e gli europei soddisferanno le sue richieste di una completa rimozione delle sanzioni.
L’Iran potrebbe, quindi, produrre sufficiente uranio arricchito per una bomba nucleare entro i prossimi sei mesi, come ribadito anche dal ministro israeliano per l’energia, Yuval Steinitz, all’emittente radiofonica Kan. In aggiunta alla quantità di uranio necessaria, all’Iran servirebbero poi uno o due altri anni per produrre altri ordigni nucleari.
La previsione di Steinitz è leggermente superiore a quella fatta il mese scorso dal nuovo segretario di Stato americano Antony Blinken. Poco prima del suo insediamento, Blinken aveva sottolineato che fino a quando l’Iran ha rispettato il trattato Jcpoa del 2015, i tempi per arrivare al ‘breakout’ erano di oltre un anno, mentre ora sono di tre-quattro mesi, “se ci basiamo sulle notizie pubbliche”. L’amministrazione americana di Joe Biden punta quindi a tornare nel Jcpoa, da cui il presidente Donald Trump era uscito.
Il governo di Gerusalemme si è sempre dichiarato contrario al trattato nucleare, giudicandolo insufficiente di fronte alle reiterate minacce iraniane.
L’Iran lancia un nuovo vettore in grado di raggiungere gli Usa
Il lancio di un nuovo vettore missilistico iraniano in grado di portare in orbita un satellite, avvenuto nel pomeriggio di ieri, ha dimostrato ampiamente le potenzialità dei missili di Teheran.
Il test è stato “il primo lancio del vettore satellitare ibrido ‘Zoljanah’ per test suborbitali – affermato da Ahmad Hosseini, portavoce della divisione spaziale del ministero – Questo vettore a tre stadi può competere con gli attuali vettori del mondo, e ha due stadi di propulsione solida e uno solo liquido”, ha aggiunto, osservando che il razzo è utilizzato per “scopi di ricerca”. Secondo Hosseini, Zoljanah può mettere i satelliti in un’orbita di “altitudine di 500 chilometri (310 miglia) e trasportare un carico utile di 220 chilogrammi (1.100 libbre)”. Ha anche detto che il razzo può essere lanciato da una “piattaforma mobile”, che gli fornisce “capacità speciali”. Secondo l‘agenzia di stampa Mehr, il lancio è avvenuto nella provincia centrale di Semnan, dove l’Iran ha un centro spaziale.
L’Iran sostiene di non avere intenzione di acquisire armi nucleari e afferma che le sue attività aerospaziali sono pacifiche e rispettano una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Sarà, ma questo potrebbe rappresentare un ulteriore motivo di inquietudine che potrebbe svegliare dal torpore buonista dell’Europa e la nuova amministrazione americana.