La cronaca di fine estate in Medio oriente non lascia ben sperare. La recente visita del segretario generale della Jihad islamica palestinese, Ziad al Nakhla, a Teheran è servita a consolidare i rapporti tra la Jihad islamica e l’Iran, soprattutto in chiave di accordi per l’approvvigionamento di esplosivi, armi e munizioni.
Per l’occasione, al Nakhla era accompagnato da Akram Alageuri, capo del braccio militare dell’organizzazione, con il quale hanno elaborato l’elaborato e ambizioso progetto della costituzione a Jenin, Nablus e Ramallah, di nuove unità di giovani miliziani indottrinati per il “martirio”. Proprio a questo fine l’Iran sta spingendo la Jihad islamica a cercare di prendere il controllo della Samaria settentrionale per colpire Israele anche dal suo interno, mentre Hezbollah opererebbe dal nord e Hamas da Gaza.
Il tutto anche e, soprattutto, a discapito dell’Anp di Mahmoud Abbas, alias Abu Mazen, che nell’arco di due mesi è riuscito nel non facile intento di perdere il consenso di buona parte degli arabi palestinesi in Libano, Cisgiordania e Gaza oltre che la dignità. Pessimo il suo intervento in Germania durante il quale aveva accusato Israele della responsabilità di “50 olocausti contro i palestinesi, costretto subito dopo a una ritirata ben poco dignitosa.
L’influsso nefasto dell’Iran è comunque servito alle milizie nello scopo di sdoganarsi dall’Anp nel nord della Samaria, stabilendovi una testa di ponte di Teheran con la presenza di personale delle Guardie repubblicane iraniane in veste di istruttori. La città di Jenin e l’adiacente campo profughi sono diventate le sedi di veri e propri campi militari con centinaia di terroristi armati di tutto punto e una grande quantità di armi e munizioni.
In Cisgiordania ci sono già evidenti segnali di una escalation degli episodi di terrorismo. L’ultimo di questi risale a pochi giorni fa nei pressi di Qalqilya dove tre donne palestinesi, provenienti da Nablus, sono state arrestate dalle guardie di sicurezza israeliane ad un posto di blocco. Nella loro auto è stata rinvenuta una lettera-testamento e un mitra Carl Gustav. Le forze di sicurezza stanno accertando se le tre palestinesi abbiano volutamente agito in modo da essere arrestate. Il sospetto è che siano state indotte forzatamente da un gruppo terroristico a compiere un atto suicida pianificato vicino al valico di Eliyahu.
Da quanto emerge, il piano delle milizie sarebbe rappresentato da un innalzamento delle tensioni da Nablus a Jenin verso Ramallah, in risposta all’operazione “Dawn” e ai frequenti arresti dei fiancheggiatori delle organizzazioni terroristiche compiute nel mese di agosto.
Il tutto con lo scopo ben definito “svegliare le unità dormienti” della Jihad islamica e sfidare le forze di sicurezza israeliane per dimostrare una presunta carenza di un reale controllo della Cisgiordania da parte delle stesse.
La spinta dell’Iran verso il precipizio
A riprova dei piani espansionistici iraniani a sostegno del terrorismo palestinese, il generale Hossein Salami, comandante delle Guardie rivoluzionarie iraniane è di recente intervenuto alla televisione di stato, subito ripreso dai canali mediatici palestinesi, dichiarando che “la Striscia di Gaza non è l’unica arena di resistenza e lotta, la lotta si è spostata anche nei territori della Cisgiordania, la potenza di fuoco delle forze palestinesi è al fianco dei razzi di Hezbollah, i palestinesi sono riusciti ad armare i territori della Cisgiordania, che è un zona completamente separata dalla Striscia di Gaza”. In precedenza Salami aveva annunciato la fornitura da parte dell’Iran di 100.000 razzi ad Hezbollah “in modo che possa aprire le porte dell’inferno a Israele”.
La guerra del gas
Ma proprio sulle intenzioni del “Partito di Dio” guidato da Hasan Nasrallah, pesano diversi fattori. Uno di questi è relativo alla controversia sulla sovranità marittima delle acque antistanti il Libano e Israele.
Sono infatti ancora in corso i negoziati tra i due paesi sulla delimitazione dei rispettivi confini marittimi, anche se pare che un accordo di massima sia già stato raggiunto proprio nei giorni scorsi. Secondo i media israeliani il Libano avrebbe ottenuto da Gerusalemme l’intero giacimento di Qana in cambio di quello di Karish, vero punto nevralgico del negoziato.
Ma il negoziato e i relativi accordi sono totalmente avversati da Nasrallah che in più di un’occasione ha espresso l’intenzione di ostacolare qualsiasi concessione a Israele anche ricorrendo alla forza.
Le forze di sicurezza israeliane, già dall’inizio del mese, sono in stato di allerta nel nord del Paese. Sono stati rinforzati i contingenti ed inviati alcuni sistemi di intercettazione “Iron dome”, a protezione dei centri abitati, nel timore di lanci di razzi dal territorio libanese e siriano.
Il mese di settembre, dunque, risulterà decisivo per i negoziati tra il governo di Beirut e quello israeliano, con lo spettro di un malaugurato intervento di Hezbollah che porterebbe all’ennesimo confronto bellico ed il relativo infausto coinvolgimento della popolazione civile residente nelle aree confinarie.