La Cognitive Warfare, la nuova frontiera del conflitto fra Stati.
Studiosi e analisti hanno concettualizzato il termine conflitto tradizionalmente connotandolo con azioni cinetiche condotte essenzialmente nell’ambito di operazioni militari. Più recentemente si è cominciato a fare riferimento ad un ambiente securitario caratterizzato da uno stato concettualmente ambiguo di “guerra ibrida”.
L’impiego di tattiche “ibride” che, essenzialmente, coniugano tattiche convenzionali con quelle non convenzionali, con il fine di perseguire obiettivi strategici costituiscono un insidioso e, talvolta, pericoloso fraintendimento del confine fra guerra e pace.
Il concetto di guerra ibrida non è stato ancora definito compiutamente dalla comunità internazionale, né tantomeno dal mondo accademico, rendendo più difficile la definizione delle minacce ibride in sede di analisi politica e strategica.
Tuttavia nell’ultimo decennio, si sono palesati gli effetti malevoli di questa conflittualità permanente intesa a logorare le potenze considerate ostili. Così, ai tradizionali concetti di obiettivi strategici quali le infrastrutture critiche, i sistemi di difesa e le organizzazioni militari, si sono affiancati obiettivi politici associati alla propaganda, disinformazione e allo sfruttamento di pregiudizi preesistenti nei pubblici da cui dipendono le strutture politiche e sociali degli avversari.
In particolare, l’analisi delle minacce alla sicurezza evidenzia lo specifico rischio costituito dalla disinformazione, definita quale una azione strategica deliberata che ha lo scopo di disorientare, dividere e polarizzare gli schieramenti politici, corrodendo la coesione politica, il dialogo e l’unità nazionale. La sua azione, nel medio e lungo periodo, ha lo scopo deliberato di minare la coesione e l’integrità delle strutture politiche dell’avversario, delegittimando e gettando discredito sulle istituzioni e sui mezzi d’informazione e, in ultima analisi, di mettere in discussione il concetto stesso di democrazia.
L’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (NATO) ha adottato il termine ‘Minacce Ibride’ e ha ritenuto con decisione dare priorità, nella propria pianificazione strategica, alle azioni di contrasto.
La Nato ha chiaramente dichiarato che “Nuove tecnologie cambieranno la natura stessa del confronto e nuove forme di aggressione si paleseranno quali i missili ipersonici e le operazioni ibride.”
Analogamente, l’Unione europea che ha approvato un proprio documento nell’aprile del 2016, conduce regolari aggiornamenti della minaccia ibrida e ha lanciato la EU Hybrid Fusion Cell che nella Intelligence and Situation Centre (EU INTCEN) dello European External Action Service (EEAS) analizza e condivide, informazioni classificate e da fonte aperta, relative a indicatori e allerte relative a questo specifico rischio. L’impegno prosegue come testimoniato dal Martens centre (il principale think tank politico del Partito Popolare europeo) e, più recentemente, da Elsa Hedling dell’istituto svedese di Affari Internazionali.
Peraltro, una dichiarazione congiunta UE–NATO di luglio 2016 dichiarava la resilienza e la capacità di contrastare minacce ibride come una priorità.
Storicamente, gli attori internazionali hanno sempre impiegato queste tattiche asimmetriche e “ibride” che miravano a minare i loro avversari attraverso la manipolazione della verità, l’erosione della credibilità e il targeting del discorso politico.
Gli sviluppi tecnologici ne hanno aumentato la magnitudine; dall’avvento della stampa di Gutenberg nel 1439 all’ascesa dei social media, l’interferenza politica e il targeting hanno sfruttato con maggior enfasi le tecnologie emergenti per fratturare efficacemente le basi sociali e politiche esistenti.
Nel mondo post-moderno e delle post-verità, la tecnologia influenza, sfida e trasforma il panorama informativo e i suoi sviluppi forniscono agli attori avversari nuove opportunità di sovversione politica e di disinformazione. Nelle parole di Vladislav Surkov – un consigliere del presidente russo, Vladimir Putin – la Russia vuole manipolare le informazioni disponibili agli elettori, inserendo disinformazione e propaganda nell’ecosistema mediatico al fine di “interferire nelle vostre menti e cambiare le vostre coscienze.”
Nell’analisi della minaccia rappresentata dalle campagne di disinformazione, è emerso l’influenza che lo specifico forum, o mezzo, ha sulla cittadinanza che suo tramite riceve informazioni politiche e partecipa al discorso politico. Tuttavia, non è sufficiente considerare esclusivamente il ruolo dei “media” che forniscono all’elettorato informazioni credibili e basate sui fatti; bisogna anche considerare i nuovi media, i social media, attraverso i quali l’elettorato si impegna nel discorso politico. Questi ultimi sono di più facile accesso e sono gratuiti, ma sono anche più pervasivi e possono veicolari messaggi molto manipolativi perché attraverso questi ultimi si sfruttano sottilmente pregiudizi radicati nei pubblici di riferimento e si inducono altre distorsioni cognitive.
Ad aggravare ulteriormente la minaccia, l’uso dell’intelligenza artificiale (IA) che ha assunto una valenza strategica, come evidenziato dal Presidente russo. La stessa, infatti, è stata incorporata sia nel moderno apparato militare, come dimostrato dalla sua integrazione nelle pratiche di sorveglianza, nei sistemi di puntamento militare e nelle infrastrutture informatiche di molti eserciti statali, sia anche nei sistemi civili e commerciali, compresi i trasporti, l’energia, la sanità e la finanza. La stessa, infatti, è in grado di accumulare, analizzare e apprendere da grandi quantità di dati e può offrire importanti opportunità per la disinformazione.
La disinformazione costituisce una minaccia per i sistemi politici democratici, liberali e basati sul diritto che, più dei loro delatori, regolano i propri sistemi politici sulla libertà di pensiero e di espressione delle proprie idee e sulla libertà dei propri mezzi d’informazione. Questi valori liberal democratici sono cosi direttamente minacciati dalla disinformazione che altera i processi cognitivi alla base della partecipazione democratica.
Un interessantissimo studio israeliano evidenzia come la gestione ed il contrasto delle campagne cognitive avversarie abbiano acquisito un ruolo centrale nella sicurezza nazionale
In particolare, la specifica minaccia è perpetrata da parte di coloro che intendono mettere in discussione se non addirittura scardinare i modelli democratici, con l’uso della intelligenza artificiale (IA) tal modalità è avvertita dalla maggioranza delle democrazie che, a livello politico strategico, stanno cercando di porvi rimedio coinvolgendo la industria, il mondo accademico e la popolazione.
Più in particolare, l’uso dell’IA consente, attraverso la raccolta e l’analisi di una grande quantità di dati, di fornire una analisi e una sorveglianza continua e precisa del sentimento pubblico. In tal modo, l’IA può, attraverso la capacità di autoapprendimento, mantenere un istantaneo, continuo aggiornamento della interazione degli utenti della rete conoscendo con precisione le pubbliche percezioni e sentimenti attagliando con precisione la relativa attività di disinformazione. Inoltre, la integrazione dell’IA in cosiddetti botnet ha favorito l’automatizzazione della disinformazione che, attraverso messaggi coordinati sui social media, favorisce la rappresentazione distorta del dibattito pubblico e, conseguentemente, mina la capacità degli elettori di esprimere un consenso politico realmente informato. Infine, l’IA apprende dai dati accumulati e analizzati riuscendo, così, a migliorare le proprie metodiche e ad adattarsi rapidamente alle variazioni della situazione operativa facilitando la creazione di una narrativa pressocché uguale a quella creata da un essere umano e rendendo la relativa propaganda estremamente credibile: l’IA genera autonomamente credibili falsità, senza l’intervento dell’uomo.
L’introduzione della IA nella attività disinformativa, costituisce una minaccia puntuale, seria e destabilizzante per un sano discorso politico, distorcendo il processo necessario all’espressione di un sano consenso informato agendo sulle relative vulnerabilità cognitive; la disinformazione si è evoluta in un confronto cognitivo: una “cognitive warfare”.
I nuovi approcci metodologici Le future sfide politiche per le democrazie che affrontano la disinformazione nell’era dell’IA prevedono nuovi approcci metodologici che consentono una presa di coscienza di tutti i cittadini sui pericoli rappresentati da questa nuova aggressione che le democrazie liberali subiscono anche in tempo di pace e su come mitigarne i relativi rischi oltre che una presa di distanza dall’uso indiscriminato di tecnologie lesivi dei diritti umani.
In merito alla sensibilizzazione degli utenti della rete e dei mezzi d’informazione, un approccio cognitivo flessibile, applicato al ragionamento e alla pianificazione operativa, è rappresentato dal red teaming. Lo stesso, in particolare, prevede quattro principi che vanno della presa di coscienza e strutturazione del proprio sistema di valori, passando attraverso la considerazione critica delle dinamiche di gruppo che possono influenzare le nostre decisioni, ponendosi sempre nella posizione di esaminare senza preconcetti le alternative valide e coltivando la capacità di decostruire gli argomenti e le relative narrative per comprendere realmente la realtà.
Per quanto invece ha tratto con la problematica relativa ai diritti umani, sia politici che economici e sociali, il dibattito è di estrema attualità nei Paesi democratici; i regimi autoritari, invece, si avvalgono in maniera indiscriminata di simili tattiche, sebbene non abbaino preso coscienza che solo pubblici correttamente informati e adeguatamente preparati alla responsabilità di partecipare all’espressione di un consenso informato possono affrontare una simile sfida.