Ad un mese dalla conclusione, pacifica, della diatriba sulle targhe Kosovo e Serbia sono di nuovo sul piede di guerra. Stavolta sul banco degli “imputati” gli scontri di Mitrovica, le granate stordenti contro Eulex ed un ritorno delle tensioni fra Pristina e la minoranza serbo-kosovara del Nord.
Secondo il leader RSK, Albin Kurti, sarebbe proprio la minoranza serba la pietra dello scandalo: non vuole integrarsi, non accetta le regole della Repubblica e mantiene legami fin troppo stretti con Belgrado e con gruppi di “sabotatori” serbi.
Ciò cui assistiamo e che ci fa salire la pressione ogniqualvolta la televisione cita “Kosovo” è, tuttavia, assolutamente normale. Non più di un riflesso dell’identità e della storia dei Balcani. E parte del DNA in lotta da oltre seicento anni.
Alla storia, che già li divide, si aggiunge poi un passato prossimo che “confonde”.
Fra le richieste avanzate nelle ultime ore dal presidente serbo Aleksander Vucic, infatti, ci sarebbe quella relativa all’invio di un contingente a Mitrovica, in virtù di una presunta clausola della Risoluzione 1244 del 1999. Non si tratta di una clausola vera e propria ma di un articolo secondo il quale “dopo il ritiro un numero concordato di personale militare e di polizia jugoslavo e serbo sarà autorizzato a tornare in Kosovo per svolgere le funzioni in conformità con l’allegato 2”. L’allegato 2 tratta di una piena collaborazione con la RFJ per trovare una soluzione per il Kosovo.
Da allora lo scenario balcanico ha subito profondi mutamenti: lo scioglimento della RFJ nel 2003 con Kostunica, poi l’indipendenza del Montenegro nel 2006 (ed il suo ingresso nella NATO nel 2017) e, ancora, il Kosovo che si dichiara stato indipendente nel 2008. In altre parole, una situazione completamente diversa da ciò che alcuni punti della Risoluzione presentano. E che, quindi, apre ad una infinità di interpretazioni sfruttabili nell’ambito della ormai secolare “faida” fra serbi e kosovari albanesi.
Quanto alla guerra russo-ucraina, continuare ad affermare che influisca sullo scenario balcanico è forse un po’ troppo anche perché, ad essere onesti, sono otto anni che lo stallo delle operazioni nel Donbass fornisce argomentazioni al governo di Belgrado.
Perché riconoscere il Kosovo indipendente e “staccarlo” dalla Serbia e non accettare invece l’indipendenza delle Repubbliche di Lugansk e di Donetsk? E perché all’esercito ucraino sono stati mandati armi ed aiuti per reprimere i separatisti mentre, nel 1999, la RFJ fu additata come “criminale”? E, ancora, perché definire “terrorista” il governo russo, peraltro principale – ed unico – alleato della Serbia? Domande che, forse, resteranno senza risposta. Ma che aumentano l’acidità di stomaco di un paese, la Serbia, convinto di essere vittima degli eventi susseguitisi dal 1999 ad oggi.
Sia chiaro, lo abbiamo già scritto in passato ma preferiamo ribadirlo: Belgrado non attaccherà. E’ circondato infatti dai membri balcanici della NATO e la sua aspirazione europeista ne frena gli istinti più bellicisti.
Per ragiungere una parvenza di equilibrio è necessario continuare con l’opera di mediazione ONU e NATO da una parte e rivedere la funzione dell’Alleanza Atlantica nei Balcani. Anche questo abbiamo già scritto: è forse arrivato il momento di responsabilizzare i membri locali dell’Allenza: Croazia, Slovenia, Macedonia del Nord, Albania e Montenegro affinché siano loro a vigilare sul rispetto dei termini della R. 1244, ponendosi altresì quale referente diplomatico nel delicato scacchiere serbo-kosovaro. Ciò permetterebbe anche a croati, albanesi e macedoni di superare antichi rancori e di costruire, insieme, una Penisola balcanica finalmente pacificata. A coordinare l’azione l’Italia, nazione occidentale che per ragioni storiche e culturali meglio comprende quell’angolo di mondo.
Quanto alle tensioni, come accennato, facciamo ancora una volta il callo. Finiranno forse a breve, per poi ricominciare. Tuttavia, se la Serbia mira all’ingresso UE è bene rafforzi le sue competenze diplomatiche.
Quanto al Kosovo, se davvero la sua ambizione è ricevere un completo riconoscimento internazionale, comprenda quanto prima che le relazioni internazionali sono, 99 volte su 100, fondate sul dialogo anche, e soprattutto, quando il dialogo pesa e sembra essere inutile. Sembra, poiché se l’alternativa è lo scontro aperto, sei secoli di battaglie dovrebbero ricordare a tutti quanto sangue è stato versato senza mai arrivare ad una vera, chiara, definitiva soluzione.