Con il termine “kipat barzel” non ci si riferisce certamente alla rinomata serie tv israeliana, piuttosto è la traduzione ebraica (כיפת ברזל) del più noto sistema missilistico di difesa aerea mobile dell’IDF (Israel Defence Forces), conosciuto ai più come “Iron Dome”.
Attualmente è il sistema missilistico più utilizzato con continuità a livello mondiale. Riporta una percentuale di successo superiore a 90 essendo in grado di intercettare un numero molto elevato di minacce in arrivo.
Questo straordinario prodotto dell’ingegneria bellica lo abbiamo imparato a conoscere sin dal 2011 (aprile e agosto), quando, in occasione dell’escalation dei combattimenti tra Israele e i terroristi della striscia di Gaza, fece la sua prima apparizione “operativa” sul campo di battaglia. Successivamente venne schierato attivamente a difesa dei territori di Israele in molte altre circostanze e principalmente nel 2012 (operazione “Pillar of Defense”), nel 2014 (operazione “Protective Edge”), nel 2018 (operazione “House of Cards”) e più recentemente nel maggio 2021 (Operations Guardian of the Walls). Qui, Iron Dome venne utilizzato in maniera massiva contro almeno 4300 razzi lanciati dai territori di Gaza da parte dell’organizzazione terroristica di Hamas e della Jihad islamica palestinese.
La minaccia palestinese
Andando a ritroso nella storia scopriamo che i terroristi palestinesi iniziarono a sparare i primi razzi contro Israele sin dal 2001.
Quasi un milione di israeliani nel sud del Paese erano nel raggio di azione degli attacchi palestinesi, mentre nel nord di Israele i quasi 4000 razzi Katyusha lanciati da Hezbollah durante la seconda guerra del Libano del 2006, e che uccisero 44 civili ad Haifa, costrinsero altrettante 250.000 persone ad evacuare le loro case.
Ma inizialmente gli effetti potenziali della minaccia furono minimizzati dal governo israeliano, probabilmente perché i lanci dei razzi finivano perlopiù in zone aperte e senza che facessero rilevanti danni o che causassero vittime tra la popolazione. Solo dopo che si ebbero i primi caduti tra gli abitanti dei villaggi israeliani, vennero individuati e realizzati decine di rifugi sicuri anti-bomba in molte città e località soprattutto in prossimità della striscia di Gaza.
Contestualmente venne attivato un sistema di allarme generale, ribattezzato “Color Red”, che avvisava i cittadini dell’attacco imminente. “… Color red, color red …” annunciava una voce femminile metallica, immediatamente accompagnata dai rimbombi delle esplosioni, rumori che divennero in breve tempo l’irreale colonna sonora della quotidianità dei cittadini israeliani.
Fu così che al fine di contrastare le minacce condotte con i razzi palestinesi, il ministero della Difesa israeliano decise nel febbraio 2007 di sviluppare un sistema di difesa aerea mobile: nacque il progetto Iron Dome.
Iron Dome fu schierato per la prima volta sul campo di battaglia il 23 marzo 2011, di cui una batteria nel territorio di Ashkelon, mentre la seconda venne allineata a Be’er Sheva il 4 aprile. A maggio 2021, Israele disponeva di 10 batterie operative di Iron Dome. Il sistema d’arma intercettò il suo primo razzo lanciato dai territori di Gaza verso Ashkelon il 7 aprile 2011.
Iron Dome fu inizialmente concepito con tecnologia israeliana e interamente finanziato (quasi 1 miliardo di dollari) dal governo di Tel Aviv, ma nel tempo ottenne l’appoggio del Congresso americano che intervenne in maniera consistente (United States-Israel Missile Defense Cooperation and Support Act (H.R. 5327)) sovvenzionando alcune quote del programma in più occasioni ed offrendo la possibilità di un partenariato con l’industria bellica statunitense (Raytheon). Si ritiene che dal 2011 gli Stati Uniti abbiano finanziato il progetto Iron Dome israeliano per circa 1,3 miliardi di dollari. Dopo la crisi israelo-palestinese del 2021, l’amministrazione Biden ha promesso ulteriori aiuti a Tel Aviv per reintegrare gli intercettori Tamir impiegati nei combattimenti.Proprio in questi giorni la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha dapprima bloccato il finanziamento di 1 miliardo di dollari destinati al programma Iron Dome, posticipandolo alla votazione di ieri approvata, non senza polemiche, a larga maggioranza consentendo di sbloccare il finanziamento a Israele. Questo anche considerando i nuovi venti di guerra che spirano in quel determinato settore mediorientale.
Specifiche tecniche e architettura di sistema
Iron Dome è dunque un efficientissimo sistema d’arma mobile multi-missione, concepito da Rafael Advanced Defense Systems, gruppo industriale israeliano che sviluppa sistemi di difesa e tecnologia militare.
Iron Dome è in grado di rilevare, analizzare e intercettare una serie di ordigni, tra cui quelli della così detta famiglia RAM – Rocket, Artillery e Mortar, missili guidati di precisione, missili da crociera, elicotteri e veicoli aerei senza equipaggio (più economico rispetto all’utilizzo del sistema MIM-104 Patriot) e minacce in genere provenienti dal cielo.
Il sistema è nato e progettato in particolare per opporsi a razzi di corto raggio (VSHORAD) ed ai proiettili di artiglieria da 155 mm (ma efficace anche contro gli S-23 di fabbricazione russa da 180 mm) aventi una gittata da 30 a 70 km, ma può anche far fronte a più pericoli simultaneamente e a minacce in rapida evoluzione.
Può essere utilizzato in ogni stagione e in tutte le condizioni atmosferiche. Il produttore di Iron Dome assicura che basterebbe una sola batteria di missili per proteggere un insediamento civile di medie dimensioni.
Mentre la versione I-Dome è di concezione mobile, il sistema C-Dome, in dotazione alla Marina israeliana dal 2016, è invece studiato per essere applicato a protezione delle risorse navali da attacchi multipli “aria-superficie e superficie-superficie“. Dato il suo ingombro contenuto viene montato su piccole imbarcazioni (pattugliatori offshore, corvette, ecc.) nonchè su piattaforme petrolifere fisse, e può fare utilizzo del radar di sorveglianza della nave piuttosto che di quello dedicato. Il sistema C-Dome riesce ad intervenire a 360 gradi con un missile al secondo, garantendo così la protezione della nave da tutte le direzioni.
La configurazione e architettura di base attuale del sistema d’arma prevede tre componenti principali: un radar – mod. EL/M-2084 MMR Multimissione (della israeliana Elta), un BMS&WC – Battle Management System & Weapon Control (della israeliana mPrest Systems) e le Unità di Fuoco che dispongono fino a 20 missili intercettori mod. Tamir.
Il MMR di ELTA è un sistema radar mobile avanzato multidimensionale, di tipo modulare e scalabile, che opera in banda S ed è dotato di un sistema AESA (Active Electronically Scanned Array) multiraggio 3D (o 4D). Come già detto, rileva, classifica, identifica e traccia sia le minacce di velivoli che i missili balistici a lungo raggio, fornendo al contempo una guida al controllo del fuoco per l’intercettazione di razzi a corto raggio o proiettili di artiglieria. Il MMR viene utilizzato, oltre che su Iron Dome, come parte dei sistemi d’arma Spider-MR, Arrow 3, David’s Sling e Barak ed è anche apprezzato nelle difese aeree di diversi altri paesi nel mondo (India, Azerbaigian, Canada, Repubblica di Singapore, Repubblica Ceca, ecc.). Il sistema di identificazione del radar si è poi evoluto nell’ultimo decennio, per far fronte al pari progresso della tecnologia stealth a bassa RCS (Radar Cross Section) che caratterizza le nuove minacce emergenti. È entrato dunque in servizio un upgrade del radar, il Multi-Sensor MMR (MS-MMR), che integra in sé una suite di sensori multibanda e multispettro, che assicurano un’immagine più nitida del campo di battaglia e un miglior supporto alle Unità di Lancio in caso di fuoco nemico di saturazione. Il MS-MMR è un sistema a piastra singola integrato da un radar aggiuntivo a banda più alta, IFF, SIGINT, EO/IR, con sensori di rilevamento del lancio (LDS) che garantiscono una migliore efficacia nel gestire tutte le minacce aeree possibili, essendo anche capace di discriminare bersagli ravvicinati in aree densamente affollate o in condizioni ambientali difficili. L’elaborazione avanzata del segnale consente un funzionamento efficace anche in condizioni di forte disordine e “rumore ambientale”, con classificazione e identificazione dei bersagli garantite soprattutto a bassa quota. Può seguire fino a 1.200 bersagli con un tasso di rilevamento fino a 256 NM in modalità di sorveglianza aerea.
Il BMS&WC è il cuore pulsante di questo sistema d’arma. Grazie ai suoi algoritmi di apprendimento è in grado di prendere decisioni in maniera autonoma. Il sistema viene “addestrato” dagli operatori simulando le situazioni di battaglia più disparate (anche su esperienze reali) che gli permettono di mettere in campo le risposte più adeguate alla situazione.
Tipicamente il sistema di controllo, una volta ricevuti i dati della minaccia dal radar, stima la traiettoria del razzo nemico e la conseguente area di impatto, lanciando contro di esso il missile intercettore. Considerato che, in particolari condizioni operative, il tempo che intercorre tra il lancio e l’intercettazione può essere molto breve, è importante che tutte le fasi siano condotte in maniera precisa e molto rapidamente – nell’ordine di millisecondi – soprattutto il processo di determinazione del punto di intercettazione (PIP). Questo è possibile grazie alla disponibilità di processori altamente performanti e di particolari algoritmi che permettono un processo di riconoscimento delle immagini molto efficace ed una velocità di calcolo quasi in tempo zero. In sostanza, il BMS&WC è in grado di discriminare se ogni razzo sparato sui territori israeliani costituisca una minaccia, intervenendo solo dove necessario con uno o più missili intercettori. Ad esempio, un piccolo razzo con un raggio esplosivo di 50 m non può essere certo contrastato da un intercettore che ne ha uno di 75 m. Non solo questo sarebbe eccessivo, ma comporterebbe anche il rischio di gravi danni collaterali. Inoltre, Iron Dome ignora le minacce che stima atterrino in aree disabitate, riducendo così al minimo i lanci difensivi non necessari, abbassandone allo stesso tempo i costi operativi.
Le Batterie mobili sul campo
Ogni batteria di Iron Dome è costituita da 3 o 4 Unità di Fuoco. Queste possono disporre di 20 missili intercettori Mod. Tamir che, alla velocità di mach 2.2, sono in grado di coprire distanze fino a 70 chilometri. Un missile Tamir è lungo circa 3 metri, ha un diametro di 16 cm e pesa quasi 90 kg al momento del lancio. I missili Tamir sono dotati di sensori elettro-ottici e alette stabilizzatrici, e sono equipaggiati con testate esplosive a frammentazione (11 kg di esplosivo combustibile che viene innescato da un fusibile laser attivo). Essi sono costantemente in comunicazione via “uplink” con l’unità di controllo BMS&WC e utilizzano in volo sensori attivi di prossimità per aumentare le capacità di intercettazione delle minacce. L’evoluzione del missile Tamir potrebbe essere il modello denominato “Iron Flame”, il quale completamente simile al suo progenitore avrebbe il “seeker” e la spoletta originaria intercambiabile con altre tipologie di radar e testate esplosive (fino a 20 Kg), pur mantenendo la sua capacità di ricevere in volo gli eventuali aggiornamenti sulla rotta verso il bersaglio. La sua autonomia e migliorata fino a 110 Km. Gli intercettori e le sue componenti vengono rifornite generalmente, secondo un accordo stretto con l’israeliana Rafael, dalla statunitense Raytheon Missiles & Defense. Il prezzo stimato dei Tamir si aggira intorno ai 50.000 dollari cadauno.
I “petardi” dei terroristi palestinesi
Prima del 2001 i terroristi palestinesi non erano in grado di condurre nei territori israeliani attacchi di ampia portata con i mezzi a loro disposizione. Gli analisti sostengono che il primo degli attacchi “missilistici” (termine improprio) fu lanciato nel 2001 con i razzi denominati “Qassam” dalle brigate Izz ad-Din al-Qassam (da cui prendono il nome), in occasione dell’Intifada di Al-Aqsa.
I primi ordigni, finanziati con buona certezza dalla Siria e dall’Iran, avevano una gittata massima di pochi chilometri e venivano fabbricati ed utilizzati soprattutto nella striscia di Gaza, benchè ne furono rinvenuti anche in CisGiordania. La fattura del razzo è molto rudimentale, creato con materiali comuni e facilmente rinvenibili (dato l’embargo israeliano); questo spiega perché ne furono costruiti in grande quantità. Ha un corpo cilindrico in metallo dello spessore di 2,5-3 mm a cui sono saldate in coda quattro piccole alette stabilizzatrici ed è alto circa 70-80 cm. La testata esplosiva (500 g) collocata nella parte alta del cilindro è costituita generalmente da “trinitrotoluene e nitrato di urea” (quest’ultimo un fertilizzante comune) ed è collegata ad una miccia detonante nell’altra estremità del corpo. Il combustibile – disposto nella parte centrale – con cui è azionato il razzo è invece una miscela di “zucchero e nitrato di potassio”, altro fertilizzante facilmente reperibile. Il razzo è facilmente trasportabile in un normale automezzo ed è subito impiegabile tramite una banalissima rampa di lancio metallica inclinata. Non essendo un missile non dispone di un sistema di guida, motivo per cui la sua traiettoria è molto instabile e imprecisa ed è per questo che in moltissime occasioni i Qassam hanno mancato il bersaglio cadendo persino (dicasi legge del contrappasso) su abitazioni arabo-palestinesi. Negli anni a venire ne seguì un upgrade della prima versione del razzo ed entrarono in servizio il Qassam 2, 3 (e 4). i quali si differenziavano dal “progenitore” in quanto a lunghezza, carica esplosiva e autonomia che venne portata a circa 10-12 Km nella sua ultima edizione. Sebbene i razzi Qassam siano scarsamente performanti, hanno però avuto un forte impatto psicologico sulla popolazione israeliana che vive nelle zone limitrofe dal luogo del lancio (in particolare Ashkelon e Sderot), avendo questi causato comunque delle vittime oltre a danni materiali di un certo rilievo.
Dopo il 2006 i terroristi palestinesi hanno iniziato a puntare sui territori israeliani (Ashkelon, Sderot, Ashdod, Beer-Sheva, Kiryat, ecc.) per il tramite di razzi da 122 mm probabilmente di origine sovietica, denominati Grad (BM-21), forse prodotti in Iran, e aventi una gittata aumentata (18-20 Km) e una traiettoria più stabile, perché sparati attraverso tubi di lancio (a tubo singolo – 9P132/BM-21-P – o multiplo) trasportabili anche a bordo di automezzi. Alcuni di questi razzi erano una variante cinese del Grad originario, il WS-1E, più performanti rispetto a quelli palestinesi e ai Katyusha usati prevalentemente da Hezbollah nel sud del Libano. Il WS-1E a lancio multiplo, della famiglia WeiShi (Guardian) concepito e prodotto dalla SCAIC – Sichuan Aerospace Industry Corporation, è migliorato in portata (oltre 40 Km), peso (74 Kg) e lunghezza (2,94 m) ed ha una carica esplosiva di 18-22 Kh. C’è però da dire che inizialmente questa nuova generazione di razzi veniva utilizzata da Hamas in maniera ancora troppo poco esperta e talvolta senza l’utilizzo dei tubi di lancio dedicati, il che implicava una precisione molto inferiore agli standard, persino del 50% (molti mancavano completamente il bersaglio o finivano in mare).
Ma è nel 2012 che si assiste ad un ulteriore inasprimento degli attacchi da parte dei terroristi di Hamas, che vedono per la prima volta l’impiego del razzo Fajr-5 (upgrade del Fajr-3), di produzione iraniana, in grado di raggiungere le città di Tel Aviv e Gerusalemme. Il sistema d’arma iraniano di razzi a lancio multiplo (MLRS) utilizza una piattaforma mobile che trasporta 4 razzi Fajr-5 da 333 mm con una portata massima di 75 chilometri. Tali ordigni si pensa siano passati dall’Iran al Sudan, e poi attraverso la frontiera porosa egiziana del Sinai, fino ai tunnel sotterranei della striscia di Gaza, eludendo così i controlli dell’IDF. Ciò spiega come in quel periodo l’aviazione israeliana abbia pesantemente bombardato sia una fabbrica di armi in Sudan che le riserve munizioni e posti comando sotterranei dell’organizzazione terroristica di Hamas e della jihad islamica.
Nel 2014 un’unità operativa della Marina Militare israeliana, Shayetet 13, intercettò nel mar Rosso la nave cargo panamense Klos-C, salpata con buone probabilità dall’Iran e diretta in Sudan, il cui carico avrebbe dovuto pervenire, attraverso il Sinai, a Gaza. A bordo fu rinvenuto un carico di armi ed esplosivi, compresa una dozzina di razzi di produzione siriana, Khalibar-1 (M-302), potenzialmente in grado di colpire gran parte dei territori israeliani, data la loro gittata massima di 180 Km. Questa tipologia di razzi è quasi un mistero, data la scarsa documentazione al riguardo, e per diverso tempo era stata scambiata per una variante del razzo cinese WS-1 data la somiglianza con il Khalibar-1, per cui non si può escludere che la Siria produca gli M-302 in licenza dalla Cina. Questo tipo di razzo terra-superficie da 302 mm, dotato di alette stabilizzatrici fisse in coda, è un sistema non guidato inserito in unità di fuoco (MLRS) da 4-6 posizioni, che viene lanciato da postazioni fisse o mobili a bordo di autocarri leggeri. È lungo circa 6,3 m, con un peso di 750 Kg e avente una testata esplosiva a frammentazione pari a 150 Kg. Gli ordigni erano nascosti in container colmi di sacchi di cemento iraniano al fine di celarne lo scottante contenuto. Questi stessi razzi furono usati da Hezbollah nel 2006, durante la seconda guerra del Libano per colpire le città di Haifa e Afula.
Ma è nel maggio 2021 che i terroristi palestinesi di Hamas sferrarono i loro attacchi più temibili e invasivi, facendo anche uso di una nuova tecnologia missilistica, il razzo Ayyash 250, capace di raggiungere distanze fino ad allora impensabili e in grado di minacciare l’intero territorio di Israele. Durante la guerra degli 11 giorni, il razzo Ayyash 250 minacciò gli obiettivi della regione di Eilat e l’aeroporto Ramon, nel sud di Israele.
Il nuovo razzo prende il nome da Yahya Ayyash, capo bombardiere di Hamas e capo del battaglione della Cisgiordania delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam, “neutralizzato” da Israele nel 1996. Per esemplificazione, nell’infografica qua sotto è possibile distinguere gli armamenti in forza alle Brigate palestinesi di Izz ad-Din al-Qassam e Saraya Al-Quds.
Le percezioni emotive dell’opinione pubblica israeliana
Potrebbe sembrare un paradosso, ma i primi successi operativi di Iron Dome sul campo di battaglia in aprile del 2011 sono stati recepiti timidamente dall’opinione pubblica, per poi far diffondere la falsa percezione di un sistema di difesa ermetico e invincibile, capace di proteggere le vite umane. Successivamente, durante l’engagement di agosto, queste false sicurezze si sono dissolte dopo che alcuni razzi palestinesi avevano “bucato” lo schermo di Iron Dome, centrando i loro obiettivi, e facendo emergere le prime censure. Ci è voluto del tempo prima che i cittadini degli insediamenti minacciati dall’offensiva dei terroristi palestinesi recepissero correttamente tutte le procedure emesse dalla protezione civile, affinché si riparassero nei rifugi durante il “Red alert”, anche se apparentemente protetti dallo scudo di Iron Dome, ma alla fine il buon senso ha prevalso. Sull’altro fronte, quello palestinese, non si ebbero commenti particolari dopo i primi successi di Iron Dome, ma era chiaro che tra la popolazione civile cominciava a serpeggiare il dubbio sull’inutilità evidente dei razzi partiti dalla striscia di Gaza ed in generale sui venti di guerra tra i due popoli.
Dunque, il nuovo sistema di difesa fu duramente criticato sin dal suo primo impiego, principalmente per il suo dispendioso onere operativo, considerato che solamente il missile intercettore Tamir costava tra i 35.000 e i 50.000 dollari, importi assolutamente proibitivi secondo alcuni analisti militari ed esponenti del giornalismo “progressista” del paese. Inoltre erano state mosse critiche circa la completa inefficacia di Iron Dome contro minacce provenienti da brevissime distanze, dati i suoi tempi “lunghi” (circa 15 secondi) di attivazione, per cui gli insediamenti a ridosso della striscia di Gaza (es. Sderot) erano assolutamente vulnerabili. Senza poi sottovalutare l’esistenza presunta di una “logica di saturazione”, ovvero il numero massimo delle minacce che il sistema di difesa può affrontare contemporaneamente, oltre il quale i razzi nemici in eccesso possono penetrare la “cupola di ferro” e colpire i loro obiettivi.
Discussioni e teorie sulla reale efficacia del sistema d’arma
Le prime “presunte” analisi tecniche del nuovo sistema missilistico, soprattutto all’indomani dell’operazione “Pillar of Defense”, hanno però posto altri dubbi da sciogliere con una certa solerzia.
Nonostante le dichiarate e constatabili performance del sistema d’arma promosse da Rafael e IDF in merito all’efficacia di Iron Dome, vedremo che alcuni studi (presunti e ancora da verificare), uno in particolare, quello del Prof. Theodore A. Postol del MIT – Massachusetts Institute of Technology (di concerto con il ricercatore israeliano Dr. Mordechai Shefer e un anonimo ingegnere della Raytheon), hanno rivelato invece previsioni meno rosee, considerato che in diversi frangenti la “cupola di ferro” è stata bucata dall’offensiva palestinese, avendo alcuni di questi razzi colpito i loro obiettivi israeliani senza che fossero intercettati dai missili Tamir.
Tipicamente il sensore dell’intercettore rileva la presenza del razzo nemico in avvicinamento e quando i due passano l’uno accanto all’altro si attiva la spoletta che dopo un breve ritardo fa detonare la testata del missile. I suoi frammenti vengono portati in avanti e se il tempo di detonazione della testata è corretto, questi impattano sulla testata del razzo facendolo esplodere prima ancora che raggiunga il suolo.
Le analisi video aeree del campo di battaglia, rappresentate su questo studio del “Professor of Science, Technology, and National Security Policy” del MIT, mostrano in effetti come in diverse situazioni Iron Dome avrebbe fallito le intercettazioni dei razzi nemici. In alcuni casi si sono visti più intercettori Tamir che mantenevano rotte paralelle tra loro per un tempo prolungato, compiendo evoluzioni assolutamente identiche e sincronizzate tra loro per poi esplodere nello stesso istante, dettaglio che implica una probabilità nulla di colpire il bersaglio oltre ad un’anomalia evidente nella programmazione del sistema.
In altri video inoltre si osservano le scie delle traiettorie dei missili intercettori che sembrano inseguire in coda (tail-chase) i razzi palestinesi mentre scendono al suolo con un angolo di traiettoria molto stretto, situazione che rende praticamente impossibile (e poi vedremo come) distruggere la testata del razzo nemico. Nell’idea di progetto il missile intercettore deve mantenere il più possibile una triettoria frontale e viaggiare nella stessa direttrice o immediatamente parallella a quella del suo bersaglio, tale che possa avere una maggiore probabilità che i frammenti della sua testata esplosiva siano in grado di colpire quella del razzo nemico neutralizzandolo in volo. Sebbene il Tamir possieda un rivelatore elettro-ottico – EOTD molto sofisticato, quest’ultimo non può certamente supplire a traiettorie e geometrie di intercettazione che non siano il più possibile frontali.
In altre osservazioni vengono mostrati i Tamir che provano ad intercettare i razzi palestinesi nella parte laterale della sua struttura. In questa geometria c’è al massimo il 50% di possibilità che il missile intercettore possa eiettare i suoi frammenti in direzione della testata del razzo. Lo stesso avviene se il Tamir arriva prima del tempo ottimale. Diverso è se il Tamir arriva con un ritardo calcolato, tenuto conto della geometria dell’ingaggio, ed in quel caso le probabilità di far esplodere il razzo nemico aumentano sensibilmente.
Altre variabili dipendono se il razzo viene rilevato dal lato, o dal grado dell’angolo obliquo con cui i frammenti della testata esplosiva del missile colpiscono l’ordigno nemico, oppure ancora dall’energia con cui i frammenti del Tamir colpiscono la testata del razzo. In quest’ultimo caso è noto che la testata esplosiva del razzo è composta da una miscela di TNT e riempita con sfere d’acciaio (in alcuni casi con piccole aste, es. il GRAD), e a loro volta ricoperti dal guscio spesso dell’ogiva, che richiedono dunque di essere colpiti da un impatto notevole prima di poter esplodere.
Date le conclusioni senza dubbio interessanti di questo report, occorre però fare alcune necessarie osservazioni.
La prima è che sembra che lo studio del Prof. Postol (& company) sia costruito su certezze derivanti dalle conclusioni raggiunte sulla ridotta efficacia dei missili Patriot utilizzati nella Guerra del Golfo del 1991. In quell’occasione i missili ed il sistema d’arma utilizzato vennero messi “in stato d’accusa” perché in molti casi non erano riusciti a neutralizzare le minacce nemiche, perché il sistema di difesa statunitense era progettato per essere impiegato contro aerei invece che abbattere i missili Scud. Ma i missili intercettori Tamir non sono certo paragonabili ai Patriot e tantomeno possono esserlo i Grad nei confronti degli Scud data la consistenza della loro testata esplosiva.
Inoltre il report del MIT analizza una decina di video e immagini di ignota provenienza, scattate molto probabilmente da personale civile con mezzi non proprio sofisticati e rintracciabili su youtube, ignorando persino sia il luogo che l’angolazione da cui è stato prodotto il materiale multimediale. Considerato tutto diventa molto difficile stabilire l’esatta geometria della triettoria del missile, così come lo è individuare ad occhio doppie esplosioni ravvicinate e simultanee.
Inoltre l’affermazione generica che alcuni razzi palestinesi abbiano “bucato” la protezione di Iron Dome è spiegabile anche con il fatto che a quei tempi non tutte le città israeliane erano coperte dal raggio di azione del sistema d’arma, considerato che le prime due batterie erano schierate a protezione di Ashkelon e Beersheba.
C’è anche da dire che il sistema Iron Dome si è avvantaggiato nel tempo dello schieramento di ulteriori Unità di Fuoco (batterie di Tamir) lungo il territorio di Israele, così come numerosi sono stati gli upgrade alla sua programmazione ed i test che hanno migliorato notevolmente le sue performance, di cui l’ultima (di tre) proprio in marzo 2021.
In definitiva le conclusioni di questo report, così come le illazioni pubblicate finora dalla stampa non allineata, sono assolutamente ingenerose e non sembrano essere suffragate da ricerche e dati credibili, naturalmente fino a prova contraria.