Jihad in Europa: una continua opera di reclutamento tra i giovani.
Nel periodo dal 1 gennaio 2023 ad oggi, le forze dell’ordine europee hanno intensificato gli sforzi per contrastare il fenomeno del reclutamento e dell’indottrinamento jihadista nel Continente.
Sono numerose le operazioni che hanno portato all’arresto di individui sospettati di pianificare attentati o impegnati in attività di propaganda e reclutamento in favore dei principali network terroristici.
Ciononostante, le attività poste fine essere dagli investigatori non hanno intaccato l’opera di predicazione e indottrinamento svolta da ben determinati soggetti a loro volta delegati dall’establishment della jihad globale.
Così come non è venuto meno il bacino di reclutamento di volontari candidati al “martirio” in Medio Oriente, configurabile nella selezione e induzione dedicate di giovani della fascia di età tra i 18 ed i 29 anni individuati nelle masse di immigrati ben poco integrati nel tessuto delle società occidentali.
Il ruolo ricoperto dai predicatori è tutt’altro che sottovalutabile poiché travalica le possibilità di intercettazione/individuazione delle Forze di polizia e dell’Intelligence delegati, essendo questa un’attività che non comporta l’utilizzo delle moderne tecnologie, bensì, si basa su contatti interpersonali programmati in idonei locali se non addirittura nella formula “porta a porta”.
Agli inizi del nuovo secolo, furono numerose le operazione di polizia dove, oltre a documentazione idonea all’indottrinamento ed alle oramai “antiche” videocassette VHS o CD-rom (ovviamente, non intercettabili), vennero rinvenuti messaggi criptati vergati su “pizzini” o nelle solette delle calzature, un metodo di documentazione funzionale che, secondo alcune fonti interpellate, è riemerso alla ribalta nei metodi di comunicazione tra diverse cellule.
Così come, snaturate dal contesto anzidetto, possono considerarsi le conversazioni tramite le chat delle numerose piattaforme da giochi online, scommesse, giochi di ruolo o di carte.
Di fatto, appare ben evidente come l’opera di prevenzione “attiva” posta in essere dagli investigatori appaia diretta ai sofisticati metodi di “conversazione” tra membri di diverse cellule o aspiranti terroristi, quali i social network, le “App” per smartphone o i canali ritenuti “criptati”.
Ma nella trappola delle Forze dell’ordine, paiono cadere unicamente i più sprovveduti, i jihadisti da tastiera, gli adolescenti e gli incauti.
Fattori di radicalizzazione
Tuttavia esistono ulteriori fattori che conducono i giovani a percorrere gli itinerari tracciati dalla fine degli anni ’90 ad oggi da altri soggetti “immolatisi” in teatri di conflitto quali Afghanistan, Iraq, Gaza, solo per citare quelli più ricorrenti.
Primo fattore determinante è quello “emulativo”, dettato da quelle che dobbiamo necessariamente interpretare come “positive conseguenze” del proprio “martirio”. E, infatti,’ ben noto che a fronte del sacrificio del prescelto, le famiglie di origine ricevano lauti compensi, protezione ed assistenza, prospettive che inducono a festeggiare lo “shahid” con manifesti, cortei, banchetti, il tutto condito dal tradizionale “mabruk” (congratulazioni), una sorta di inno alla morte che non ha eguali in nessuna tradizione sociale a livello globale.
Inoltre, per il soggetto si apre la prospettiva del paradiso condita dalle rituali 72 vergini, un induzione abbastanza risibile se non fosse che questa riveste un ruolo fondamentale nelle ambizioni dei più radicalizzati.
Un secondo elemento di analisi nell’autoindottrinamento è rivestito dal ruolo di assorbimento e di una piena adesione ad una pseudo cultura della dedizione ad una “causa” ed al successivo pieno riconoscimento in essa, peraltro non scevro dal concetto “emulativo”, espresso nel precedente capoverso. Con tale percorso inconscio, l’individuo si identifica appieno in chi lo ha preceduto lodandone il carisma post mortem, causa prima dell’identificazione dell’adepto nel “martire” e dei successivi passi volti alla totale emulazione delle gesta.
Il terzo fattore essenziale per uno studio approfondito, è fornito nel riconoscimento in un gruppo, un simbolo, una tradizione in una lingua o etnia. In ciò è proponibile una chiave di lettura diversa che prescinde dal ruolo delle “baby gang” ben attive e presenti in tutta Europa.
Gli elementi coagulanti tra i membri del gruppo racchiudono in sé tutti quelli già analizzati: un credo religioso estremizzato fornito ad hoc da distorte esegesi coraniche, da una tradizione popolare scevra da qualsiasi tentativo di integrazione e da un medesimo idioma.
A tutto ciò si aggiunga la volontà di sopraffazione dell’avversario, quasi sempre identificato nel cittadino europeo standard, ritenuto “diverso” per credo religioso, lingua, tradizioni e, soprattutto reo, in un passato non certo recente, di essersi “impossessato” dei territori dell’Islam e di averne sottomesso i popoli tentando, oltremodo, di convertirne il credo religioso.
Tutto questo a prescinde dalle condizioni di vita dei membri del gruppo o da quelle familiari. Non è inusuale individuare componenti di baby gang dedite alla violenza il cui background non racchiuda in sé quello di famiglie disagiate o ambienti ghettizzati e neppure una particolare dedizione ai canoni del proprio Credo, anzi, molti tra loro appartengono ad una classe sociale media in cui i genitori, dopo anni di integrazione, hanno ottenuto ruoli, anche di prestigio, in diversi campi professionali. Questo in palese controtendenza alle analisi fornite anche in anni recenti, dove si individuava il bacino di giovani dediti alla violenza unicamente nelle periferie cittadine, in contesti sociali a rischio, vittime di una mancata integrazione o coinvolti forzosamente in attività proprie della criminalità comune.
Recenti operazioni di contrasto al fenomeno dello jihadismo in Europa
A tale proposito, intendiamo proporre, nello specifico, i profili dei soggetti individuati in alcune operazioni di polizia dal 2023 ad oggi.
- Belgio (gennaio 2023): Le forze di sicurezza belghe hanno arrestato diversi giovani individui sospettati di pianificare attentati sul suolo europeo. Tra gli arrestati, un cittadino belga di origine marocchina, Mohamed A., è stato identificato come il leader della cellula. Un altro arrestato, Samir B., era responsabile del reclutamento di nuovi membri attraverso piattaforme online.
- Francia (giugno 2023): Le autorità francesi hanno smantellato una cellula jihadista nella regione di Île-de-France. Tra gli arrestati, Youssef D., un cittadino francese di 28 anni, sospettato di aver pianificato un attacco contro una sinagoga locale. Un altro membro della cellula, Nadia E., era coinvolta nella diffusione di propaganda estremista. Entrambi studenti.
- Germania (settembre 2023): La polizia tedesca ha arrestato un gruppo di individui sospettati di sostenere finanziariamente organizzazioni terroristiche. Tra questi, Ali F., un cittadino tedesco di origine siriana, era accusato di trasferire fondi a gruppi jihadisti in Medio Oriente. Un altro arrestato, Leila G., era coinvolta nella raccolta di donazioni attraverso piattaforme online.
- Italia (marzo 2024): Le autorità italiane hanno espulso 50 individui sospettati di attività legate al jihadismo. Tra questi, Abdelghani K., un cittadino egiziano di 24 anni, era noto per aver creato gruppi WhatsApp in cui condivideva materiale jihadista. Un altro individuo, Ahmed B., è stato identificato come parte di questa rete.
Un’operazione della quale è bene specificarne i dettagli, è stata condotta in Italia nel corso di questo mese.
L’antiterrorismo ha tratto in arresto Hafsa Bakari Mohamed, una 19enne, Keniota, residente in provincia di Milano per “arruolamento con finalità di terrorismo internazionale” quando, il 30 novembre precedente, si stava per imbarcare dall’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo) per la Turchia al fine di raggiungere la Siria e andare a combattere, nello scenario di guerra in corso, per l’Isis, successivamente ad un “processo di radicalizzazione”.
L’indagine, era iniziata ad ottobre a seguito del “costante monitoraggio degli ambienti jihadisti radicali online”che ha consentito di individuare un profilo social aperto di video sharing, nel quale venivano pubblicati video di propaganda dal contenuto radicale in cui era ritratta una donna con indosso il niqab, successivamente identificata nella giovane kenyota. In particolare, sui social, postava le emoticon dell’iconica bandiera nera dell’Isis ed annotava “jihad”, con il significato indicato che la parola debba essere intesa come ‘lotta contro i nemici’ e, allo scopo di reclutare altri giovani, ‘tu non vuoi meritare il livello più alto in Paradiso?’.
A chi le rispondeva che la guerra santa “è solo per gli uomini” lei citava “l’esempio di ‘Aisha'”, seconda sposa di Maometto, facendo esplicito riferimento al martirio a scopo terroristico e dichiarandosi esplicitamente una “supporter dell’Isis”. Sui social mostrava una pistola giocattolo, poi sequestrata, e in una “storia” su Instagram si sarebbe fatta riprendere mentre sparava con un fucile ad aria compressa.
La ragazza, aveva intrapreso un rapido percorso di radicalizzazione ideologico-religiosa sfociato, nell’ultimo periodo, nell’intenzione di raggiungere la Turchia per poi stanziarsi in zone occupate da formazioni jihadiste. Inoltre, avrebbe avuto contatti alcune utenze telefoniche localizzate in Medio Oriente, riconducibili a soggetti che ne avrebbero favorito l’arrivo.
Aveva già, stando alle indagini, “ripetutamente tentato di contattare le rappresentanze diplomatiche turche in Italia allo scopo di ottenere le necessarie informazioni sulla viaggio e il suo piano nelle settimane scorse “ha avuto un’ulteriore accelerazione”, quando, dopo aver “consultato più volte siti di voli per la Turchia, si è recata ripetutamente presso l’aeroporto di Malpensa per ottenere un biglietto di sola andata per Istanbul”.
Non essendo riuscita a trovare il volo anelato, aveva reiterato il tentativo il 29 novembre dall’aeroporto bergamasco di Orio al Serio, ma presentatasi all’imbarco, era stata fermata dagli Agenti dell’antiterrorismo.
Dai primi riscontri sul telefono della ragazza, che utilizzava l’appellativo di “muhajirat”(la migrante), è emerso che oltre ad aver maturato un particolare interesse per l’utilizzo di armi da fuoco, aveva intrapreso da tempo contatti con un uomo in Turchia, tale Yusif, che l’avrebbe attesa all’arrivo per incanalarla successivamente verso la Siria.
Dall’interrogatorio reso al Gip, è emerso che la ragazza intendeva recarsi in Turchia per sposarsi con un 23enne che aveva conosciuto sui social ed ha ammesso “di avere idee conservatrici circa la religione islamica”, ammettendo di essere rimasta “scossa nel vedere le immagini di uomini e donne di fede musulmana torturati e bruciati”, dove ci sono “guerre e persecuzioni”. Inoltre, la ragazza avrebbe riferito che in Italia non le è “possibile lavorare indossando il niqab”, un ulteriore motivo addotto alla sua volontà di espatriare per le Terre dell’Islam.
La scelta della 19enne kenyota fermata all’aeroporto di Orio al Serio, “di partire per i teatri di guerra” non è stata “casuale e sconsiderata, ma il frutto di accordi con referenti dello Stato islamico o altre associazioni terroristiche che operano in quell’area”, che “l’avrebbero inserita e arruolata” per farla partecipare alla “guerra”, come si evince dall’ordinanza del Gip.
“Proselitismo e della mitizzazione dell’integralismo religioso” portata avanti dalla ragazza, che viveva a Carugate, nel Milanese, soprattutto su noti social network quali “Instagram e TikTok”, inneggiando sempre più agli “atti di violenza contro il mondo occidentale”.
Inoltre, è risultata palese la sua “ricerca spasmodica” di contatti in Medio Oriente, anche perché i fatti di cronaca dell’ultimo periodo hanno evidenziato come la Siria rappresenti oggi uno degli scenari in cui gruppi terroristici inneggianti alla Jihad risultano coinvolti in una guerra civile che di fatto ha esautorato il governo locale plasmando le forme per l’instaurazione di un regime teocratico.
Ma in quasi concomitanza con l’arresto di Hafsa Bakari Mohamed, sebbene in altro contesto investigativo, il 25 dicembre scorso sono stati fermati altri quattro aspiranti jihadisti mentre un quinto è riuscito a sfuggire all’arresto.
Sottoposti a misura restrittiva, successiva ad indagini iniziate nel 2023, sono stati quattro giovani stranieri con cittadinanza italiana, M.R., 22enne nata in Pakistan e residente a Bologna; M.H., 19enne fratello di M.R, nato e residente a Bologna; G.R., nata a Spoleto da genitori algerini, 18enne, residente nella città umbra; A.F., 27enne nato in Turchia, residente a Monfalcone e già segnalato dalle autorità di Ankara come “soggetto eversivo”; K.I., ventenne marocchino residente a Milano, destinatario della custodia cautelare, che si è reso irreperibile e, stante le risultanze investigative, sarebbe partito per l’Etiopia nel mese di novembre.
A capo del quintetto sarebbe stata proprio la 22enne “bolognese”, da tempo dedita al proselitismo della Jihad online, probabilmente in considerazione del fatto che M.R., avrebbe soggiornato a lungo in Pakistan durante quest’anno, rientrando anticipatamente in Italia il 13 dicembre.
Sui reali motivi della permanenza prolungata nel paese natio, sorgono consistenti dubbi, poiché è ipotizzabile che la stessa possa essere entrata in contatto con membri dell’Establishment di Al Qaeda se non dell’Isis-Khorasan, quest’ultimo ramo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL), entrambe notoriamente stanziati nelle zone montane del Pakistan, pur operando in diversi contesti, per ottenerne indicazioni e ordini operativi per il suo gruppo allo scopo di indurre a propagandare la jihad in Europa.
Quanto traspare è palese: l’identikit di una ragazza ben indottrinata ed intenzionata a creare le basi per la gestione di una cellula, al momento allo stato embrionale, in grado di agire anche sul campo.
La determinazione di M.R. appare legittimata dalle innumerevoli conversazioni con gli altri quattro indagati allorquando la stessa, oltre all’opera di proselitismo online ed alla diffusione dell’Islam radicale, si espone nel proporre un trasferimento temporaneo in campi di addestramento stanziati prevalentemente nel Sahel ove apprendere le tecniche di confezionamento ordigni e l’uso di armi portatili.
La continuità nell’opera di indottrinamento e reclutamento di jihadisti
Dal resoconto che si evince dalle operazioni evidenziate, traspare, come anticipato, il profilo degli “jihadista da tastiera”, ossia, soggetti di giovane età non integratisi nel contesto sociale europeo, ossessionati dall’idea di riconoscersi in ideali comuni e di perseguirli pur senza conoscere i reali contesti nei quali intenderebbero operare e con una dabbenaggine palesata dal comune utilizzo di banali piattaforme di comunicazione facilmente intercettabili.
Le ‘baby gang’ riflettono un mix di insicurezza e ostilità verso un ambiente sociale percepito come eccessivamente democratico era al tempo stesso restrittivo. Questo contesto contraddittorio viene considerato come un ‘nemico’ che limita la loro esigenza, tipicamente adolescenziale, di totale libertà di azione e pensiero, spingendoli ad agire in modo istintivo e conflittuale. Da qui, all’adesione a un pensiero ideologico qualsiasi quali i gruppi ultras di stadio, le bande di criminali comuni, i gruppi dediti alla ricerca dello scontro con le Forze di polizia per giungere all’idealizzazione del concetto di una piena adesione ad un credo religioso oltranzista che, inevitabilmente, sfocia nella violenza.
Ma il contesto della sicurezza nel nostro Continente si presenta con ulteriori foschi contorni. Gli esempi proposti, infatti, non sono che una parte di una realtà che quotidianamente traspare.
Da Belgio, Germania, Francia e Paesi Bassi, giungono notizie di “alert” riguardanti soggetti ben identificabili, tra i quali almeno un paio già partiti alla volta del Medio Oriente, come segnalato in precedenti articoli, seguendo itinerari predefiniti da istruzioni impartite sia nei luoghi di partenza sia anche in quelli di destinazione, questi ultimi inerenti le successive tappe da raggiungere.
La “bassa manovalanza della jihad” ( انخفاض قوة العمل في الجها) risulta quindi, basilare, nel Continente europeo anche per compiti essenziali per la logistica quali sopralluoghi degli obiettivi, furti di documenti e di autovetture, incendi estemporanei di luoghi di culto, se non addirittura per la creazione di diversivi atti a distogliere l’attenzione delle Forze di polizia dai reali target dell’organizzazione.
Le dettagliate e convergenti notizie pervenute negli ultimi tempi dai Paesi citati, ben configurano una continuità dell’adesione alla causa jihadista e, non sempre questa vene adottata da soggetti provenienti da Paesi extraeuropei. In molti dei casi segnalati, infatti, vengono proposti profili di giovani nati e cresciuti nel Vecchio Continente, indirizzati verso l’islamismo visto come un metodo rivoluzionario di contrapposizione allo Stato democratico, una forma di “anarchismo rivoluzionario” che, nelle menti più deboli, si conforma dalla passiva accettazione di un Credo estremizzato che tutto è meno che democratico.