Con l’attacco contro la base aerea di Al Shayrat in Siria l’America punta i piedi e torna protagonista in Medio Oriente, scuotendo nel giro di poche ore il delicato quadro dei rapporti di forza della regione. La mossa di Trump si prefigge numerosi obiettivi di natura tattica. Primo fra tutti, corroborare il potere negoziale degli Stati Uniti sui principali dossier internazionali. Non un cambio di strategia, dunque, ma un messaggio del presidente a Russia, Iran e Cina – oltre che ai propri apparati di intelligence e sicurezza, con conseguenze che Washington potrebbe non aver previsto e, forse, non gradirebbe. Il prezzo da pagare per chi – scrive l’opinionista ed esperto del Medio Oriente del quotidiano britannico “Guardian” Moustafa Bayoumi – “sembra non avere nessuna visione del futuro, neppure dell’immediato”.
La posizione di Israele
Tuttavia, l’Unione Europea si schiera a fianco di Trump. E a sostenere gli Stati Uniti c’è anche Israele. In un comunicato diffuso in seguito all’attacco missilistico di Washington sulla Siria il primo ministro, Benjamin Netanyahu, parla chiaro: “Israele supporta pienamente la decisione del presidente Trump”. ”Sia a parole che nei fatti il presidente ha inviato un messaggio chiaro e forte: l’uso e la diffusione di armi chimiche non saranno tollerati”. “Israele – continua il comunicato di Netanyahu – supporta a pieno questa decisione e spera che questo messaggio nei confronti delle terrificanti azioni del regime di Assad risuoni non solo a Damasco ma anche a Teheran, Pyongyang e ovunque”.
Del resto, la posizione del governo israeliano nei confronti di Damasco è cosa nota. Tel Aviv ha sempre considerato l’esecutivo siriano come parte del triangolo sciita di resistenza Hezbollah-Siria-Iran. E vuole la caduta di Bashar al Assad, anche se ciò dovesse far sprofondare la Siria nel caos, rendendola preda di settarismi interni e gruppi fondamentalisti islamici. Netanyahu, secondo la stampa locale, sta spingendo per la creazione di zone cuscinetto lungo il confine siriano con Israele e la Giordania come parte di ogni futura risoluzione internazionale per la guerra civile che imperversa nel paese ormai da sei anni. La ragione è sempre la stessa: tenere a distanza i combattenti iraniani e il gruppo sciita libanese di Hezbollah dal territorio israeliano.
E in effetti, nei giorni scorsi, il direttore generale del ministero dell’Intelligence dello Stato ebraico, Chagai Tzuriel, non ha lasciato spazio a dubbi ulteriori: “Se l’Iran rimarrà in Siria – ha dichiarato – allora sarà una costante fonte di attrito e tensione con la maggioranza sunnita, con i paesi sunniti al di fuori della Siria, con le minoranze sunnite fuori della regione, e con Israele”. Secondo Tzuriel, infatti, Tehran intenderebbe creare una sorta di “ponte di terra sciita” che passando per l’Iraq, la Siria e il Libano arrivi fino al Mediterraneo, in modo da tenere la costa israeliana sotto il tiro della sua marina militare.
I rapporti con la Russia
Eppure, ad allentare la tensione di Tel Aviv ci pensa la Russia. Da tempo ormai, Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu sono riusciti a tenere aperto un canale di comunicazione che ha resistito ai bombardamenti israeliani sulla Siria e al sostegno russo ad Assad. Ma c’è un’altra decisione che avvicina moltissimo Mosca e Tel Aviv, e ancora una volta sembra scavalcare gli Stati Uniti: il riconoscimento di Gerusalemme Ovest come capitale di Israele. La notizia, diffusa nei giorni scorsi, è stata ufficializzata attraverso un comunicato del ministero degli Esteri russo. Non è chiaro se la presa di posizione avrà effetti immediati o se Mosca intenda aspettare che Gerusalemme Est sia prima riconosciuta come capitale dello Stato palestinese. Secondo il “Jerusalem Post” il riconoscimento di Mosca entrerà in vigore da subito. E per questa ragione, nei prossimi giorni, l’ambasciatore della Russia in Israele incontrerà i funzionari del ministero degli Esteri.
Da sempre, Israele considera Gerusalemme come sua capitale “unica e indivisibile” ma finora tutte le ambasciate, compresa quella degli Stati Uniti, sono rimaste a Tel Aviv, senza riconoscere formalmente le rivendicazioni israeliane. Trump aveva promesso di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme Est in campagna elettorale ma almeno per il momento è stato costretto a rimandare la decisione per la forte opposizione degli alleati arabi e il timore che la mossa possa scatenare una rivolta palestinese. Gerusalemme Ovest è riconosciuta come territorio di Israele dalle Nazioni Unite mentre la parte orientale, anche se annessa nel 1967, è rivendicata anche dai palestinesi come propria capitale.