E’ iniziata la visita in Israele del consigliere senior del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Jared Kushner. Il genero del leader Usa incontrerà il premier israeliano Benjamin Netanyahu a Gerusalemme e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Mahmoud Abbas a Ramallah. Al suo fianco, anche se terranno incontri separati con i leader locali, il rappresentante speciale per i negoziati internazionali di Washington, Jason Greenblatt, già a Tel Aviv. La missione arriva a un mese da quella di Trump nella regione, durante la quale il presidente Usa si è impegnato con israeliani e palestinesi per lavorare insieme a un accordo duraturo per la pace.
Fonti della Casa Bianca hanno spiegato che Kushner e Greenblatt sperano di “continuare i colloqui” con entrambe le parti, ma ridimensionano le aspettative in relazione alla possibilità che un accordo possa essere raggiunto in breve tempo. “È importante ricordare – hanno precisato – che forgiare uno storico accordo di pace richiede tempo e probabilmente per giungere a un’intesa sostanziale ci vorranno molte missioni di Kushner e Greenblatt, insieme o separati, e forse sarà richiesta anche la presenza di negoziatori israeliani e palestinesi a Washington o in altre località”.
Questa volta, però, la missione di Kushner può essere utile anche per comprendere meglio le dinamiche della politica interna statunitense in quanto segnala, in primis, come il coinvolgimento del genero di Trump nell’inchiesta del Russiagate non ne abbia minimamente ridotto la vasta influenza all’interno della Casa Bianca. Il fatto che questa nuova missione sia stata affidata a lui e a Greenblatt, dimostra come Trump abbia delegato a loro – e non al segretario di Stato, Rex Tillerson – la guida degli sforzi Usa per la ripresa dei colloqui di pace. “Il presidente Trump ha reso chiaro che lavorare per una pace duratura tra israeliani e palestinesi è una priorità per lui – fanno sapere da Washington – e crede con forza che questa sia
Un maggior impegno per la pace in Medio Oriente è stato chiesto domenica anche da Netanyahu durante la riunione settimanale del governo, la prima dopo l’attacco terroristico avvenuto a Gerusalemme venerdì sera che ha causato la morte dell’agente di frontiera Hadas Malka, 23 anni. Poi, un duro attacco all’Anp. “La comunità internazionale dovrebbe esigere che l’Autorità palestinese – ha detto il premier di Tel Aviv – smetta di pagare le famiglie dei terroristi: è una pratica che incoraggia il terrorismo”. Netanyahu ha precisato che non solo l’Anp non ha condannato l’omicidio, ma che Fatah (il partito laico del presidente Abbas) ha emesso perfino una dichiarazione di profondo disappunto nei riguardi della polizia per aver ucciso i tre assalitori. “A quanto pare – ha commentato il leader israeliano – non esiste alcun limite alle bugie”. “Invito le nazioni del mondo – ha concluso – a condannare questo omicidio e chi lo
Intanto, sull’attacco di venerdì scorso a Gerusalemme i dubbi sulla rivendicazione restano. A contendersi la paternità dell’attentato, il sedicente Stato islamico da un lato e Hamas e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), dall’altro. L’agenzia Aamaq, vicina all’organizzazione di Abu Bakr al-Baghdadi, ha attribuito “la benedetta operazione” a tre “soldati del Califfato” che ha identificato con i nomi di battaglia di Abu al-Baraa, Abu Hassan e Abu Rabah. Per il Fronte popolare e Hamas, invece, si tratta di propri militanti, tutti tra i 18 e 19 anni: Baraa Ibrahim Ata e Osama Mustafa Ata, entrambi ex detenuti Fplp nelle carceri israeliane, e Adel Ankoush, militante islamico.
Tuttavia, se dovesse essere confermata la rivendicazione dello Stato Islamico, si tratterebbe del primo attentato compiuto dai jihadisti in Israele. Due mesi fa, gli uomini di Abu Bakr al Baghdadi avevano rivendicato il lancio di un razzo atterrato in una fattoria nel sud del paese, senza però causare conseguenze. I “leoni”, dice lo Stato islamico, sono riusciti a “vendicarsi” degli ebrei, e “con l’aiuto di dio non sarà l’ultimo attacco”.