Le relazioni tra Israele e Hamas sono di nuovo in fermento. Lunedì l’aviazione israeliana ha colpito in due ore almeno cinque obiettivi militari del gruppo islamista palestinese, a seguito di un razzo sparato da Gaza nella notte di domenica scorsa, che ha raggiunto un’aerea agricola del Negev, nel sud di Israele. Cinque i feriti: tutti giovani inquadrati nelle forze di Hamas che presidiano le linee di frontiera di Gaza. Hamas e Israele si sono polemicamente scambiati l’accusa di essere responsabili della nuova escalation di tensione. Ma l’incidente, almeno al momento, sembra esser stato superato.
Nella Striscia, in previsione degli attacchi israeliani, diversi uffici governativi sono stati sgomberati. La stessa apprensione è stata avvertita fra le decine di migliaia di israeliani che vivono a ridosso di Gaza. Ma nessuno, secondo il ministro della Difesa di Tel Aviv, Avigdor Lieberman, vuole un deterioramento dell’equilibrio raggiunto con il gruppo islamista palestinese. “Non abbiamo intenzione – ha affermato Lieberman – di prendere alcuna iniziativa militare a Gaza. Ma non saremo neppure disposti ad accettare lanci sporadici di razzi. Consiglio ad Hamas di assumersi la responsabilità di quanto avviene e di calmarsi”.
Ormai da anni, quella tra Israele e il gruppo islamista palestinese, non è una guerra aperta, ma uno scontro a bassa intensità. Se sul cielo di Tel Aviv veglia lo scudo invisibile dell’Iron Dome, il sistema di difesa antimissile dello Stato ebraico, il dedalo di tunnel sotterranei costruiti da Hamas che parte dalla Striscia di Gaza, resta ancora un territorio inesplorato e inaccessibile, che preoccupa non poco le Forze di difesa israeliane (Idf). Lo scorso venerdì, le forze armate egiziane hanno distrutto quattro tunnel al confine con la Striscia di Gaza. La notizia è stata diffusa giorni fa dal portavoce de Il Cairo, il colonnello Tamer al Rifae, sulla sua pagina Facebook.
Ma a preoccupare Israele, dopo Hamas, ci sono ormai da tempo anche lo Stato islamico e i suoi affiliati. Non a caso, lo Stato del Sinai, il gruppo terroristico egiziano legato ai miliziani di Abu Bakr al Baghdadi, nei giorni scorsi ha rivendicato il lancio dei due razzi Katyusha caduti lo scorso 20 febbraio nel sud di Israele, in risposta – secondo i media jihadisti – a un drone israeliano che avrebbe bombardato e ucciso cinque membri del gruppo nella regione del Sinai settentrionale. All’inizio di febbraio, lo Stato islamico aveva rivendicato la responsabilità di un secondo attacco: quattro razzi lanciati dal Sinai verso la città israeliana di Eilat. Tuttavia, nei giorni scorsi, il ministro della Difesa di Tel Aviv ha minimizzato la minaccia rappresentata dai terroristi attivi nella penisola del Sinai definendoli “dilettanti che decidono di mettere in piedi un esercito”.
In un editoriale pubblicato dal quotidiano “Jerusalem Post” si legge che il lancio di razzi rappresenta “la reazione carica di nervosismo dello Stato islamico alle operazioni antiterrorismo attribuite a Israele nella penisola del Sinai”. Negli ultimi due anni, infatti, l’intelligence israeliana avrebbe intrapreso una cooperazione sempre più stretta con l’Egitto per contrastare la destabilizzazione del Sinai da parte delle organizzazioni terroristiche. Questa cooperazione tra Tel Aviv e Il Cairo si basa, secondo il quotidiano locale, sugli interessi comuni dei due paesi, legati ad avversari condivisi: Hamas a Gaza e lo Stato Islamico nel Sinai.
In merito al gruppo islamista palestinese, degno di nota è il rapporto pubblicato lo scorso 8 febbraio sul sito “Investigative project on Terrorism”, che evidenzia il doppio ruolo che Hamas gioca con l’organizzazione jihadista di Abu Bakr al Bagdadi. Il gruppo islamista palestinese che dal 2006 governa la Striscia, infatti, si muove all’interno del territorio in due direzioni: da un lato, è impegnato a combattere i gruppi salafiti attivi a Gaza per impedire che questi possano destabilizzare l’aerea e prenderne il controllo; dall’altro, invece, è intento a tessere relazioni con formazioni estremiste affiliate allo Stato islamico, già attive nel Sinai, per riuscire a ottenere un “rifugio sicuro” per i propri leader, in vista di un nuovo confronto militare con Israele.
Infine, secondo il rapporto, altro punto importante della strategia di Hamas, è riuscire a mantenere buone relazioni con Il Cairo, il quale pur essendo impegnato in una lotta contro il gruppo Wilyat Sinai, legato ai miliziani del Califfato e noto fino al 2014 con il nome di Ansar Beit al Maqdis (“i sostenitori della Città santa”, ovvero Gerusalemme), periodicamente apre il valico di Rafah per consentire agli abitanti della Striscia di rifornirsi di beni di prima necessità e di ricevere cure mediche, proprio attraverso i tunnel scavati da Hamas che collegano i territori palestinesi all’Egitto.
@RosariaSirianni