Lo sciopero della fame indetto lo scorso 15 aprile da 1500 detenuti palestinesi in Israele è finito. A darne notizia, dopo 41 giorni, le autorità di Tel Aviv. La protesta è terminata nella notte tra venerdì e sabato, in concomitanza con l’inizio del Ramadan. L’accordo fra scioperanti, guardie carcerarie e Croce Rossa è stato raggiunto e prevede ”benefici di carattere umanitario” per i detenuti politici in territorio israeliano. L’intesa è stata confermata da due dirigenti dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Issa Karake e Qadura Fares, responsabili per il sostegno ai prigionieri. Secondo quanto si è appreso, dopo venti ore di negoziati nel carcere di Ashkelon tra l’anima della protesta e leader del partito laico di Fatah, Marwan Bargouti e l’Israel Prison Service (Ips), i detenuti hanno ottenuto l’aumento delle visite dei familiari, l’installazione di telefoni pubblici nelle prigioni e la possibilità di poter accedere dagli apparecchi televisivi installati nelle celle a un maggior numero di canali, per riuscire a tenersi informati su quanto accade fuori dai penitenziari.
Il governo israeliano e nello specifico il ministro per la Sicurezza interna, Ghilad Erdan, si è sempre opposto a qualsiasi trattativa con Barghouti e gli altri detenuti in sciopero della fame. I servizi di sicurezza dello Stato ebraico, invece, ormai da giorni spingevano per l’apertura di un negoziato nelle carceri. Il progressivo peggioramento delle condizioni di salute di molti prigionieri, infatti, aveva fatto salire la tensione dei Territori, mobilitato migliaia di palestinesi e creato le condizioni per una protesta di massa contro l’occupazione militare israeliana. I detenuti ricoverati in ospedale, dopo essersi alimentati solo con acqua e sale per più di un mese, sono stati diciotto.
Il quotidiano israeliano “Haaretz” scriveva, nella giornata di venerdì, che la questione dei prigionieri in sciopero della fame sarebbe stata al centro di un colloquio avuto dal presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas con il rappresentante speciale per i negoziati internazionali del presidente Donald Trump, Jason Greenblatt. Durante l’incontro si sarebbe discusso di un intervento statunitense sul governo israeliano per l’accoglimento delle richieste dei detenuti. Ma da parte palestinese non è giunta ancora nessuna conferma.
Quel che è certo, è che l’esito dello sciopero della fame è da considerarsi anche una vittoria personale di Barghouti, la cui popolarità nei Territori è in costante aumento. E’ probabile, inoltre, che la conclusione della protesta possa avere anche un impatto sui rapporti di potere ai vertici di Fatah, dove già si discute del dopo-Abbas. Barghouti è potenzialmente uno dei nomi più forti del momento tra i candidati che potrebbero concorrere per la presidenza del partito di Ramallah. Tuttavia, di fatto, il leader palestinese si trova in carcere dal 2001 e sconta 5 ergastoli. Ed è difficile immaginare che Israele possa decidere per la sua liberazione, date le dichiarazioni nettamente contrarie espresse in merito dal primo ministro, Benjamin Netanyahu e da altri leader politici nelle scorse settimane.
Abbas, dal canto suo, in questi giorni ha progressivamente incrementato la pressione sul governo del gruppo fondamentalista islamico di Hamas che governa la Striscia di Gaza. Le misure punitive si sono susseguite: interruzione del pagamento della tassa sul combustibile importato, taglio di un terzo dei salari di 45 mila impiegati statali a Gaza pagati dall’Anp e interruzione dei pagamenti per l’elettricità della Striscia proveniente da Israele. Secondo “Haaretz”, i funzionari di Tel Aviv “hanno ancora difficoltà a spiegare il cambiamento di approccio da parte di Abbas, visto che nell’ultimo decennio, fin da quando Hamas ha preso il potere nella Striscia, i leader palestinese non ha mai affrontato direttamente l’organizzazione”.
“Una possibile spiegazione – continua il quotidiano – è che il presidente dell’Autorità nazionale pensi che Hamas alla fine possa trovarsi di fronte a una rivolta interna (speranza condivisa pure da alcuni israeliani). L’idea è che i gazawi scenderanno in piazza – così come gli egiziani hanno riempito piazza Tahrir al Cairo sei anni fa – per deporre il governo fondamentalista islamico al comando nella Striscia dal 2006″. Tuttavia, a oggi, non è stato recepito alcun segnale in questa direzione. Le proteste dedicate in particolar modo al razionamento della fornitura di energia elettrica a Gaza si ripetono ciclicamente, ma Hamas è sempre stata in grado di reprimerle. Almeno finora.