I seguaci dell’Isis tornano a minacciare l’Italia e questa volta con un pretesto specifico: gli accordi stipulati sulla Libia dal ministro degli Interni Marco Minniti a Washington, successivi agli incontri avuti la scorsa settimana con i vertici dei servizi di sicurezza americani. La piattaforma utilizzata dagli jihadisti è sempre una chat di Telegram i cui contenuti sono poi rimbalzati in Rete.
La finalità principale dell’accordo stipulato dal ministro Minniti con le autorità statunitensi è teso ad evitare che i transfughi del Daesh, in rotta da Siria e Iraq, possano creare delle teste di ponte in Libia dalle quali portare attacchi nel nostro Paese e, più in generale, in Europa.
E proprio il bagaglio di conoscenza del teatro libico in possesso dei nostri servizi di intelligence, unito alla mole di informazioni che gli americani hanno avuto modo di acquisire sul terreno siriano a Raqqa, l’ex capitale dell’autoproclamato Califfato, sono fattori primari nell’ambito della prevenzione al terrorismo islamista ed, in primis, allo spostamento di risorse operative da parte dell’Isis sul territorio occidentale.
I fomentatori dell’odio da tastiera, seguaci del defunto Califfato islamico, non hanno quindi perso occasione di rivolgere la loro attenzione a un tema scottante.
Il nord Africa e, nello specifico il teatro libico, rappresentano infatti per il Daesh una sorta di trampolino di lancio per gli attacchi in Occidente. Il caos creatosi nel Paese nel periodo successivo alla caduta del regime di Muhammar el Gheddafi, nonostante i tentativi di ristabilire un’incerta e precaria stabilizzazione, rappresenta la base ideale per tentare di mantenere una certa visibilità, nel tentativo, forse estremo, di riprendere il controllo di territori idonei a favorire i traffici di uomini e materiali per provare a ricostituire una sorta di roccaforte da utilizzare per l’anelata espansione del credo jihadista.