A un mese dalla celebrazione della festività più cara ai cristiani, i seguaci del Califfato non fanno mistero delle loro intenzioni. La minacciosa campagna mediatica, iniziata già dalla metà del mese di novembre, prosegue seguendo un filone ben delineato dagli specialisti dell’Isis ricalcando, nei messaggi, lo schema di individuazione del target, pseudo motivazione a sfondo religioso, creazione di dettagli che rendano percepibile la minaccia e rappresentazione cruenta dell’esito.
Un’analisi superficiale delle immagini utilizzate dai terroristi da tastiera rende subito evidente che i mittenti ben conoscono gli stili di vita occidentali, le paure e le psicosi, dimostrandosi all’altezza di psicologi navigati nell’evidenziare tutti quei particolari che per tre quarti del Pianeta rappresentano proprio quelle idiosincrasie che, invece, i terroristi intendono accrescere. Infatti, nella quasi totalità delle immagini che, con una cadenza pressoché quotidiana, affliggono il web e le piattaforme mediatiche ad esso correlate, vengono evidenziati contenuti sanguinolenti, al limite dello splatter, se non oltre. Soprattutto le scene di decapitazioni, piuttosto che quelle di esecuzioni compiute nei modi più efferati, quali i roghi di prigionieri o i lanci dai tetti di omosessuali, sono quelle a cui è dedicata la maggior parte della provaganda.
Nel taglio della testa i folli islamisti assegnano un ruolo di purificazione della vittima che, con la morte (ritenuta “indolore” ossia per dissanguamento) si troverebbe mondata dai peccati e preparata all’incontro con Dio. Quindi, sempre secondo i seguaci di questa assurda dottrina, l’esecuzione non dovrebbe ritenersi una “punizione”, bensì una sorta di espiazione finale dei mali commessi.
Ben sapendo quale impatto possa avere sulle popolazioni d’Occidente la visione di rituali barbari, che nei Paesi sviluppati si ritenevano appartenere ad un oscuro passato, i terroristi islamisti, da Al Qaeda all’Isis, hanno riposto le loro aspettative di proselitismo e di spinta all’emulazione proprio nelle immagini tracotanti di sangue che accompagnano i loro messaggi di minaccia.
Da non sottovalutare proprio l’impatto che queste rappresentazioni di terrore possono avere su una fetta di popolazione musulmana di giovane età che, vivendo in una realtà priva di sbocchi sia nei Paesi di origine sia anche dopo la migrazione in Occidente, può essere facile preda dei predicatori d’odio. I reclutatori sono sempre pronti ad accogliere nei propri ranghi gli aspiranti “martiri” dopo averli opportunamente sottoposti al lavaggio del cervello, durante il quale le immagini e i filmati accompagnano le parole suadenti dell’autoproclamato imam dedito all’indottrinamento e che illustrerà il futuro radioso che si aprirà ai volontari della jihad dopo il loro sacrificio in nome di Dio.
E’ appena un’ovvietà il sottolineare che solo una minima parte dei destinatari di questi messaggi di odio sia effettivamente pronta ad immolarsi in nome di un presunto dio. Il rischio del passaparola però, soprattutto tra i giovani, può anche sfociare in atti che, sebbene distanziandosi dal compimento di stragi indiscriminate, possono comunque mettere a serio rischio l’incolumità pubblica, anche se tramutati in singoli episodi di violenza o di veri e propri tumulti, come avvenuto di recente a Bruxelles contro i preparativi degli addobbi natalizi nel centro città.