L’immaturità delle società islamiche e dei loro protagonisti politici hanno condotto all’arretratezza politica ed economica della maggior parte dei paesi arabi le cui popolazioni si trovano a vivere in condizioni di quotidiana incertezza che si ripercuotono, soprattutto, sull’altissima percentuale di giovani.
Come noto, in molti paesi arabo-musulmani l’età media è intorno ai vent’anni e i tassi di crescita sono tra i più alti al mondo, mentre la popolazione over 65 spesso non raggiunge il 15% del totale. La partecipazione dei giovani alla politica è dunque altissima, ma altrettanta è l’inesperienza e la radicalità.
Anche su queste basi si fonda il successo del modello estremista del Califfato, che ha puntato tutto sull’indottrinamento dei giovani, dalla cultura all’addestramento militare. Pur ripresentando un modello antico, il Califfato viene così percepito come qualcosa di nuovo e diverso. Ed è anche in questo modo che le spregevoli azioni dei miliziani dello Stato Islamico riescono a far presa su parte delle nuove generazioni musulmane. Una parte certo minoritaria, ma non per questo meno pericolosa.
Un prodotto, quello dello Stato islamico, che non ha bisogno di passaporto e che è facilmente esportabile in ogni luogo dove siano presenti le condizioni economiche, sociali e statistiche sopra descritte.
Alla base del reclutamento, vi è il progetto e l’attuazione di attentati che abbiano come obiettivi la spettacolarità, la presa di ostaggi per avvalersi di riscatti e l’impoverimento dei paesi colpiti. Su queste tre caratteristiche l’Isis ottiene come risultato tangibile la ribalta massmediatica che, a sua volta, porta alla vera e propria adesione da parte di nuove leve, quindi alla volontà di gesta emulative da parte dei cosiddetti lupi solitari, quindi ad una continuità nell’azione anti-occidentale ed all’allargamento dei confini del Califfato.
L’aberrazione, che si percepisce soprattutto in Europa, è che l’Isis ha saputo infondere anche nei giovani delle banlieue la coniugazione dei precetti islamici con la volontà emulatrice ed il compimento di attacchi sotto l’effetto di droghe che infondano il coraggio di morire da shahid (martiri). Il primo passo verso lo scontro è compiuto con il rifiuto di ogni forma di integrazione, optando invece per la ghettizzazione, forma di arroccamento in difesa dei propri principi, gli scontri di piazza e creando le basi per una vera e propria invasione, se non militare, almeno sotto forma ideologica, in ciò comunque, allineandosi al pensiero jihadista.
Chi ha abbracciato per tradizione o convinzione la religione islamica nella sua visione più radicale, vive in un profondo stato di prostrazione vedendo il proprio credo relegato entro confini stabiliti dall’Occidente e dovendo subire passivamente il modello istituzionale imposto dagli “stranieri” eretici o miscredenti. Ciò va evidentemente contro i precetti imposti dalla religione musulmana.
Il discorso non cambia se riferito alle popolazioni arabe che, comunque, considerano l’Islam un pilastro della nazione, poiché profondamente radicato nelle stesse ed il senso di prostrazione, rabbia e sottosviluppo misto al sentimento di sottomissione ed al conseguente risentimento verso l’Occidente. Tutto questo ha portato alle sollevazioni popolari e alle rivoluzioni degli anni recenti, provocate ad hoc e sostenute, o comunque viste favorevolmente, anche dagli estremisti islamici, basandosi sul concetto di inseparabilità della politica dalla religione, entrambi incardinate nella Sha’aria.
I metodi dell’islamizzazione dall’alto e dal basso, praticati in numerosi paesi arabi, hanno cominciato ad ottenere risultati dalla rivolta algerina degli anni ’90, allorquando il Fronte islamico di Salvezza, guidato da Abassi Madani, si vide esautorato dal potere da parte dei militari diventando, di fatto, un partito clandestino che si trasformò successivamente nel Gruppo islamico armato (con una visione “territoriale” della jihad) e nel Gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento (con intenti di “internazionalizzazione” della jihad).
Negli ultimi anni, i gruppi jihadisti della galassia qaedista, sono confluiti in Al Qaeda nel Maghreb slamico a guida di Droukdal Abdelmalek, successivamente (2014) riconosciutosi negli intenti dell’Islamic State. Questo a dimostrare quanto abbiano ottenuto poche decine di imam autoproclamati con la loro predicazione porta a porta o in moschee sotterranee. L’islam radicale combatte dal basso, senza colpi di Stato o stravolgimenti di potere, in questo ottenendo ampi consensi negli strati più bassi della popolazione che, nei paesi dell’area maghrebina, ne costituiscono la più alta percentuale.
L’Isis altro non ha fatto che ricalcare le orme degli algerini, unendole all’esperienza degli afghani e degli irakeni. L’Islamic State si propone, infatti, come il mezzo per cancellare i confini imposti dal colonialismo europeo e creare un nuovo mondo panislamico, inteso come la prosecuzione delle volontà del Profeta stesso. L’imposizione di una forma estremizzata della legge islamica è necessaria ai loro occhi così come la violenza si giustifica con l’obbligo morale di abbattere gli Stati arabi moderni e di imporre il modello sharaitico anche in Occidente. Questo è alla base del successo, innegabile, di al-Baghdadi e del suo Califfato e rappresenta la chiave di volta nel radicare l’impostazione islamista anche nelle giovani menti.