Continua in queste ore la conquista di Raqqa, la capitale dello Stato islamico, da parte delle forze della coalizione a guida statunitense. L’avanzata prosegue tuttavia anche in altre città, quali Daraa e Palmira, attraverso l’uso sempre più intenso di bombardamenti aerei, soprattutto da parte delle forze siriane filogovernative. Nella città di Daraa, secondo alcune fonti non verificabili appartenenti all’opposizione al regime di Assad, sarebbero state usate bombe al napalm contro zone abitate da parte dell’aviazione del governo siriano. Accuse queste che vanno ad affiancarsi a quelle lanciate pochi giorni fa dal governo siriano e da alcuni residenti a Raqqa, che parlano dell’utilizzo di bombe al fosforo da parte delle forze della coalizione guidata da Washington. Ma i combattimenti continuano anche nel nord, sopra i cieli di Palmira, nei pressi di un importante giacimento petrolifero, dove le forze vicine ad Assad hanno conquistato l’area e sono ormai prossime a riprendere il controllo del pozzo.
Quel che appare evidente tuttavia è l’assoluta mancanza di efficacia dell’accordo di de-escalation militare siglato da Turchia, Russia e Iran all’inizio di maggio. I bombardamenti hanno raggiunto un massimo storico, e secondo quanto riportato dalla radio filogovernativa Sham FM, vi sarebbero bombardamenti “senza precedenti” da parte della coalizione a sostegno dell’esercito governativo (SDF) sulla capitale, tra cui i curdi dello YPG, che ormai attaccano la roccaforte su tre fronti.
Nella città di Raqqa la popolazione civile rimane prigioniera di combattimenti e bombardamenti, ostaggio di una situazione da cui in questo momento sembra difficile uscire. Chiunque si trovi all’interno della città deve prendere una decisione impossibile: rimanere all’interno, essendo esposti a un livello di violenza sempre crescente e ai bombardamenti, oppure tentare di fuggire, cercando di attraversare la linea del fronte, attraversando campi minati e rischiando di rimanere vittime del fuoco incrociato o dei cecchini dell’Isis, che sparano a vista a chiunque tenti di allontanarsi dalla roccaforte. “La gente viene punita se tenta di fuggire, e generalmente ci riescono solo pagando enormi cifre a ufficiali corrotti” spiega Puk Leenders, coordinatore dell’emergenza di Medici Senza Frontiere, organizzazione umanitaria presente in zona che chiede l’istituzione di un corridoio umanitario per permettere la fuga dei civili dalla città, che vengono fino a questo momento usati a tutti gli effetti come scudi umani dai jihadisti.
Si stima vi possano essere fino a 400.000 civili nel governatorato di Raqqa, e tra le 160.000 e le 200.000 persone all’interno della città, catturata dai combattenti dello Stato islamico nel gennaio 2014. Tra i civili che rischiano di essere uccisi dalle bombe e dalle fucilate dei cecchini, si stima vi siano circa 40.000 bambini.
Preoccupazione per le sorti dei civili all’interno delle mura della città e nella regione viene espressa anche da Human Rights Watch, che in un comunicato esprime le sue “preoccupazioni riguardanti la battaglia di Raqqa”, catalizzate soprattutto dall’aumento del numero di vite umane civili sottratte dai bombardamenti della coalizione Usa. Una battaglia che, ai successi della coalizione e a una vittoria sempre più vicina che sarebbe un colpo durissimo all’immagine internazionale dello Stato islamico, propone come contraltare un numero di vittime sempre più alto. E destinato, inesorabilmente, a salire.