La produzione di comunicati, opuscoli e messaggi a firma dello Stato islamico sembra non aver subito alcuna ripercussione dalla sconfitta militare subita in Siria e Iraq. Gli stimoli a colpire l’Occidente, in particolare la Francia e Parigi, continuano ad essere accompagnati da minuziose istruzioni sulle modalità di esecuzione degli attacchi, come se il network terroristico del Daesh sia ancora pienamente operativo e la direzione strategica dell’organizzazione sia scampata all’offensiva dell’alleanza anti-Califfato che, dalle notizie che giungono dal Medio Oriente, prosegue ininterrotta e, al momento, è rivolta a stanare i miliziani in fuga o trincerati negli ultimi baluardi.
Proprio nella giornata di giovedì, ha fatto la sua comparsa l’ennesimo manifesto firmato al-Naba (l’annuncio), una sorta di agenzia di stampa dell’Isis, che su sfondo rosso sangue raffigura la tour Eiffel e descrive in tre fasi le modalità del compimento di un attacco.
La tecnica prediletta negli ultimi tempi è quella degli “inghimasi”, gli infiltrati, miliziani devoti alla causa della jihad che, a differenza dei semplici martiri, ovvero, i semplici attentatori suicidi (gli Istishhadiun), arrivano al sacrificio estremo solo dopo aver provocato il maggior numero di vittime e danni al “nemico” rimanendo in vita e perpetrando gli attacchi con ordigni innescati con telecomando, uso delle armi da fuoco sino all’ultima cartuccia e solo al termine delle risorse, innescando le cinture esplosive gettandosi tra le fila nemiche e facendosi esplodere.
Il copione non è nuovo se relazionato, con le dovute differenze rispetto ai fronti di guerra, agli attacchi compiuti in Europa con l’utilizzo di autoveicoli catapultati sulla folla e guidati da sedicenti soldati dell’Isis che, dopo aver abbandonato l’automezzo, hanno colpito le vittime con l’uso di armi bianche sino ad essere abbattuti dalle forze di sicurezza. Un sistema operativo artigianale, se paragonato alle istruzioni fornite, ma estremamente e tragicamente efficace.
Nel nuovo opuscolo diffuso in rete dal Daesh, si forniscono istruzioni ai mujaheddin “europei” per la pianificazione e l’esecuzione di nuovi attacchi
Il messaggio reca il titolo “Suggerimenti per i mujaheddin in territorio nemico” e contiene indicazioni dirette ai miliziani divisi in tre brevissimi capitoli, che rispetto alla copiosa produzione di manuali, libretti e lunghi comunicati sulla jihad clandestina, sembra rispecchiare il momento di profonda crisi, anche operativa, dello Stato islamico.
La prima parte istruisce sull’acquisizione dell’obiettivo con i riferimenti religiosi per il compimento dell’attacco; la seconda sulla pianificazione dell’attentato e sulle cautele da osservare per sviare i sospetti; la terza e ultima parte si riferisce alle modalità di compimento dell’azione.
Le cautele che vengono suggerite al soldato dell’Isis vertono sul mantenimento della calma e sulla possibilità di provocare il maggior numero di vittime, solo a conclusione dell’operazione viene suggerito di sacrificarsi qualora non vi fossero vie di fuga.
A supporto della tesi dell’utilizzo della tattica “inghimasi” in Europa, si rileva che proprio nel testo di rivendicazione della strage del Bataclan a Parigi, pubblicato dall’Isis, si leggeva che “Allah ha aiutato i nostri fratelli e ha dato loro ciò che desideravano (il martirio), hanno scatenato le loro cinture in mezzo a questi kuffar (miscredenti) solo dopo aver esaurito le loro munizioni”. Pur non citando esplicitamente la parola “inghimasi”, la tattica seguita da Salah Abdeslam e soci pare rispecchiare proprio questa tipologia operativa.
La tecnica degli inghimasi è quella prediletta dai network terroristici poiché, a differenza dell’attacco suicida o a quello condotto con l’utilizzo di ordigni esplosivi, non si risolve in pochi attimi, ma prosegue nel tempo con la presa di ostaggi o di luoghi pubblici o, comunque, con la delocalizzazione di azioni concomitanti, attirando l’attenzione dei mass media e dando così risalto all’azione terroristica.
Si ritiene che i maggiori attentati perpetrati in Europa nell’ultimo biennio siano stati compiuti proprio da questo tipo di operativi e le caratteristiche degli autori, al momento della loro identificazione, rispondevano a quelle del miliziano addestrato dall’Isis e ritenuto idoneo al compito.
Le operazioni degli inghimasi ottengono il massimo risalto sui social media, sui quali è possibile leggere vere e proprie attestazioni di ammirazione e preghiere per il martire da parte dei sostenitori della jihad. Tra questi alcuni descrivono l’inghimasi come un lupo solitario che prende una coraggiosa decisione da attuarsi sul territorio di guerra, altri sostengono che i combattenti inghimasi scelgono queste operazioni in modo che possano essere tra coloro che “rotolano nelle stanze più alte del paradiso”.
Appare scontata la considerazione che gli attacchi condotti negli ultimi mesi da mujaheddin privi di un reale addestramento operativo e tesi a compiere azioni solitarie, sia dovuta a un parziale, e forse momentaneo, smembramento delle rete jihadista europea. Ma le difficoltà investigative sono cresciute a dismisura proprio con la gemmazione delle cellule operative del Daesh e di Al Qaeda che, prive di direttive provenienti dai centri di comando, agiscono in piena autonomia, con mezzi e metodologie artigianali che suppliscono alle carenze addestrative, economiche e di comunicazione.
Un copione che può essere facilmente ricalcato e pericolosamente emulato, soprattutto in questa fase di ripiegata dell’Isis e che potrebbe rappresentare il punto cardine per la jihad del futuro in territorio occidentale.