Dopo l’annuncio diffuso in settimana, Anonymous è passato all’offensiva contro l’Iran. A sostegno della rivolta popolare scoppiata dopo l’uccisione della giovane Mahsa Amini, deceduta a seguito delle violenze subite dalle forze di sicurezza del regime di Teheran, è scattata l’#OpIran.
Iran: Anonymous buca i siti governativi e hackera le telecamere di sicurezza
Sono oltre 1000 le telecamere di sicurezza in Iran hackerate dai cyberwarrior e lo stesso account di Anonymous, @YourAnonOne, afferma di avere bloccato anche il sito della televisione di stato. Il collettivo hacker ha attaccato numerosi website di diverse istituzioni in Iran, tra cui quello della Banca centrale, del governo, della presidenza della Repubblica e della guida suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khameni, per mostrare solidarietà e sostegno ai dimostranti scesi in piazza per protestare contro il regime dopo la morte della 22enne. Le autorità iraniane hanno quindi limitato le comunicazioni, rendendo difficile organizzare raduni e manifestazioni di piazza con la condivisione delle informazioni su internet. In questi giorni, infatti, le dimostrazioni, anche violente, hanno avuto una eco internazionale dopo che molti giovani iraniani hanno usato i social media per diffondere anche all’estero i video delle proteste, in cui sono state bruciate immagini della guida suprema Khamenei e del defunto generale dei Guardiani della rivoluzione, Qassem Soleimani, considerato uno dei simboli dell’Iran conservatore e khomeinista. E sono migliaia le donne che hanno diffuso video in cui bruciano il velo, tagliandosi i capelli in segno di condanna per la morte di Mahsa e di opposizione al regime. A seguito delle proteste di piazza il governo iraniano ha quindi bloccato l’accesso a internet e ai social network nel Paese e nel Kurdistan. Ma sulla rete è subito apparso un ulteriore comunicato di Anonymous che consiglia agli utenti di utilizzare il software di navigazione anonima Tor per superare le limitazioni imposte del regime.
La manifestazioni si sono estese in oltre 50 città
Le manifestazioni, iniziate a Sedeq, città di origine di Mahsa Amini, nella regione del Kurdistan iraniano, si sono rapidamente estese in oltre 50 città dell’Iran, tra cui la capitale Teheran, e centri urbani di particolare importanza come Shiraz, Mashhad, Qazvin e Garmsar. In base all’ultimo bilancio ufficiale, i morti negli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza sono almeno 27, secondo quanto riferito dall’emittente di stato iraniana “Irib”. Per l’organizzazione curda per i diritti umani ,”Hengaw”, tra i morti vi sarebbe anche un adolescente di 16 anni, mentre i feriti sarebbero oltre 450.
Il regime organizza una serie di contro-proteste per condannare i disordini
Le autorità religiose sciite e gli apparati del regime stanno organizzando una serie di contro-proteste per condannare i recenti disordini. L’agenzia iraniana “Mehr” riferisce che il Consiglio di coordinamento della propaganda islamica della provincia di Teheran ha annunciato lo svolgimento di una marcia per condannare i recenti disordini in questa provincia. Secondo il responsabile del Consiglio, Seyyed Mohsen Mahmoudi, la manifestazione raccoglierà “il popolo intelligente e rivoluzionario della provincia di Teheran per condannare i recenti disordini. La marcia di condanna delle rivolte nella provincia di Teheran si terra’ venerdì dopo la preghiera”.
Ma dalla capitale Teheran, le manifestazioni si sono allargate sfociando in una sfida aperta al governo. A capeggiare le rivolte sono state le donne, prive di velo, ben consce di contravvenire all’obbligo di indossarlo in vigore nel Paese dalla Rivoluzione islamica del 1979. A differenza di altre precedenti ondate di protesta, comunque piuttosto frequenti nel Paese, per la prima volta i manifestanti hanno concentrato i loro assalti contro i mezzi e le stazioni di polizia, prendendo di mira i membri delle forze di sicurezza, tra cui quelli del temuto corpo paramilitare dei Basij, parte dei Guardiani della rivoluzione iraniana (i cosiddetti Pasdaran), incaricati di mantenere la sicurezza interna.
New York: salta l’intervista di Raisi con la Cnn perché la giornalista si rifiuta di indossare il velo
In parallelo, a New York il presidente Ebrahim Raisi ha fatto saltare un’intervista concordata con la Cnn perché la giornalista, Christiane Amanpour, si è rifiutata di mettere l’hijab. L’intervista della Cnn a Raisi si sarebbe dovuta tenere mercoledì sera a margine della partecipazione del presidente iraniano all’Assemblea generale dell’Onu. “Mentre le proteste in Iran continuano e le persone vengono uccise, sarebbe stato un momento importante per parlare con il presidente Raisi”, ha affermato Christiane Amanpour sul suo account Twitter, sottolineando che “sarebbe stata la prima intervista in assoluto del presidente Raisi sul suolo statunitense”. Ma dopo quaranta minuti dopo l’inizio previsto dell’intervista, un aiutante di Raisi ha suggerito alla Amampour di indossare il velo per una “questione di rispetto”, ottenendo il netto rifiuto della giornalista che ha inteso sottolineare che a New York “non ci sono leggi né tradizioni sul velo”. L’intervista non c’è stata.
La morte di Mahsa Amini
La 22enne si era accasciata al suolo mentre veniva portata con la forza in un centro detentivo e, secondo alcuni testimoni, gli agenti l’avrebbero colpita più volte alla testa con un manganello sbattendole il capo contro uno dei loro veicoli. È deceduta dopo tre giorni di coma. La polizia nega l’accaduto sostenendo che la donna non sia stata maltrattata e negando ogni problema cardiaco. La famiglia smentisce e replica confermando le ottime condizioni di salute della ragazza.