Il recente insediamento del Presidente Ebrahim Raisi alla Majilis, il parlamento iraniano, ha rappresentato l’ennesimo punto di svolta per il regime teocratico di Teheran.
Il primo segnale lo hanno fornito gli organizzatori della cerimonia di “incoronazione” di Raisi, ospitando i più eminenti leader delle organizzazioni terroristiche mediorientali foraggiate dall’Iran.
Tra questi, il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, quello della Jihad Islamica palestinese, Ziyad al Nakhalah e il vice segretario di Hezbollah, Sheik Naim Qassem.
Presente alla cerimonia, anche il rappresentante della Guida Suprema Alì Khamenei nelle Guardie Rivoluzionarie, Hojjatoleslam Haji Sadeghi, oggi ricoverato in stato di coma affetto da Covid-19 e, relegato in terza fila, alle spalle dei leaders terroristi, il rappresentante dell’UE Enrique Mora.
Il neo nominato presidente iraniano Ebrahim Raisi, giustiziere di centinaia di dissidenti ed eletto a capo di un Paese allo sfascio con rivolte interne, decessi per Covid in aumento esponenziale e crisi di approvvigionamenti, non smentisce i suoi predecessori.
Con l’intento di mantenere la ribalta internazionale ha, infatti, proceduto alle nomine dei alcuni ministri del suo governo e, impossibilitato a incaricare alcune figure “fulminate sulla via di Damasco” (Suleimani, Fakrizadeh e altri meno noti), ha fatto cadere la scelta su altre eminenti personalità .
Nella sua squadra di governo composta da 13 ministri spiccano le personalità di Hossein Amir Abdollahian, fedele sostenitore di Hezbollah, delegato agli affari esteri, noto alle cronache poiché in un recente passato ha pesantemente minacciato Israele della distruzione di Tel Aviv e Haifa”.
Abdollahian, con la delicata nomina agli Esteri, guiderà i negoziati per il rilancio dell’accordo sul nucleare, ed è considerato molto vicino alla Forza Quds dei Guardiani della rivoluzione iraniana, considerato l’organismo responsabile di gran parte della politica estera della Repubblica islamica.
Al dicastero degli Interni l’assegnazione è caduta su un altro nome ingombrante, quello dell’ex Ministro della Difesa, Ahmad Vahidi, generale dei Pasdaran ricercato dall’Interpol per il suo ruolo nell’attentato contro l’edificio che ospitava gli uffici della comunità ebraica a Buenos Aires nel 1994.
Nell’attentato provocato da un’autobomba contenente 400 kg di tritolo morirono 85 persone e oltre 200 rimasero ferite.
In tema di politica estera, il Majlis, ha votato una legge che obbliga il governo a procedere con tempi predefiniti nei programmi di arricchimento dell’uranio e, più in generale, di quelli dedicati alla ricerca sul nucleare.
Teheran non fornisce, quindi, alcun segnale in merito a un suo serio riavvicinamento al tavolo della concertazione sul nucleare, e questo dopo innumerevoli colloqui a Vienna e nonostante la pesante situazione economica interna.
Oltremodo, gli Usa vorrebbero includere in un nuovo accordo non solo il nucleare ma anche il programma missilistico e il finanziamento al terrorismo, molto poco occulto, di Teheran alle milizie in Iraq, Siria, Libano, Gaza e nello Yemen.
Segnali che forniscono chiari indizi di un ulteriore irrigidimento dell’Iran nei rapporti con l’Occidente e Israele.
Gerusalemme è conscia del fatto che Teheran ritenga inopportuno ritornare ai tavoli del negoziato poiché non ne trarrebbe vantaggio alcuno, se non un accordo riciclato con Biden e gli Alleati. In questo caso si profilerebbe un deciso incremento iraniano nella corsa all’ottenimento di ordigni nucleari, un’accelerazione che Israele, comunque, non permetterà.