All’indomani dei raid condotti da Israele contro i siti militari iraniani in Siria e le concomitanti dichiarazioni esplicative del premier Benjamin Netanyahu, rese in diretta televisiva da Tel Aviv, dove ha sede il ministero della Difesa israeliano, esistono pochi dubbi circa la volontà dello Stato ebraico di limitare in maniera sensibile le possibilità che Teheran possa dotarsi di armamenti atomici.
E il premier israeliano, mostrando il copioso materiale in possesso dell’intelligence, diretto a fornite ampi dettagli sugli avanzati programmi di ricerca nucleare del regime degli ayatollah, ha sottolineato come la Knesset abbia approvato il disegno di legge che permetterà, in situazioni estreme, di stabilire l’entrata in guerra del Paese solo dietro consultazione con il ministro della Difesa, esautorando di fatto il Parlamento da qualsiasi preventivo dibattito nel merito.
La posizione della comunità internazionale
Di fatto, la comunità internazionale si mostra una volta frammentata in più posizioni di fronte ai rilievi mossi da Israele nei confronti dell’Iran. Se da una parte gli Stati Uniti appoggiano in toto le intenzioni dello Stato ebraico, avallando le dichiarazioni di Netanyahu e mostrando come sempre toni oltremodo bellicosi, l’Europa, per bocca dell’alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, (non certo un fulmine di guerra in materia di Medio Oriente e da sempre attestata su posizioni filo-palestinesi), mostra una eccessiva prudenza. Nonostante le critiche espresse dai vertici politici europei, Netanyahu pare intenzionato a proseguire nella strategia di isolamento dell’Iran. L’illustrazione meticolosa della documentazione in possesso dell’intelligence israeliana sembra presagire a mosse tutt’altro che diplomatiche contro il regime iraniano e la sua volontà di dotarsi di armamenti atomici in una prospettiva di innalzamento delle tensioni, già latenti, con Israele.
I siti di ricerca e produzione nel mirino di Israele e Usa
Oggetto della controversia internazionale sono i siti di ricerca e produzione esistenti sul territorio della repubblica iraniana, obiettivi peraltro già noti e sulla cui natura sarebbero in corso approfondimenti da parte degli analisti israeliani e americani. Si tratta delle località di Lashkar Abad, Ramandeh, Esfahan, Natanz e Darkuin relativamente alle centrali di arricchimento dell’uranio, il sito di Fasa e Ardakan per la lavorazione, quello di Chalus e Bonab in relazione alle ricerche e lo sviluppo di proietti di artiglieria e missili supportanti testate atomiche, mentre i centri di ricerca nucleari di Tabriz, Karaj e Mo Allem Kalayeh rappresenterebbero target minoritari poichè il Vevak, il servizio segreto iraniano, avrebbe provveduto a renderli “visibili” alle eventuali ispezioni da parte dei delegati della nazioni unite alle ispezioni.
Gli affari poco cristallini tra Occidente e Teheran
In definitiva, le reazioni scomposte dell’Europa a fronte di una realtà palese ed incontrovertibile come quella iraniana, sono in parte giustificabili dal volume di affari più o meno cristallino che le aziende occidentali realizzano commerciando con il regime sciita di Teheran bypassando embarghi e divieti di esportazione verso l’Iran delle componenti necessarie alla realizzazione delle smanie bellicose degli ayatollah.
Di fatto, lo Stato ebraico, si mostra sempre più come l’ultimo baluardo avverso le mire espansionistiche dei persiani e dei loro sostenitori riducendo, di fatto, il peso in politica estera di un’Europa sempre meno coesa e protesa al mantenimento di uno status quo di un “flebile pacifismo”, peraltro mal riposto.