“La destabilizzazione dall’interno dei paesi governati dallo Stato di Diritto e dai principi liberali, sembra a molti un obiettivo che trova nell’Occidente facili prede”. Inizia da questo concetto la lunga intervista con Giulio Terzi di Sant’Agata, diplomatico e ministro degli Esteri nel governo Monti, sulle posizioni di alcuni Paesi, in particolare Russia, Cina e Iran. Nonostante siano una minaccia per l’Occidente, sotto molteplici aspetti, il potenziale offensivo di queste potenze forse è ancora sottovalutato.
In una recente intervista a Il Tempo, ha parlato di ‘potenze revisioniste’ riferendosi a Iran, Cina e Russia. Quali sono gli obiettivi che questi Paesi vorrebbero raggiungere e attraverso quali azioni?
“Si tratta della crescente interferenza di Stati ostili alla Democrazia Occidentale, nel dibattito politico interno a società dove vige la libertà di stampa, di accesso ai social media e di espressione, da parte di Governi totalitari che reprimono con inaudita violenza – vedasi le stragi compiute dai Militari birmani con il totale sostegno e persino l’istigazione di Mosca e di Pechino – qualsiasi forma di opposizione Democratica, di dibattito o di espressione politica che non sia conforme ai severi dettati della loro propaganda ufficiale, censura e disinformazione del pubblico. I principali protagonisti di quella che è diventata negli ultimi anni una sfida portata avanti con ogni mezzo al modello di Democrazia liberale vede in prima linea la Cina, la Russia e l’Iran. È questo un confronto globale. Un confronto che ormai ha trasformato radicalmente il quadro geopolitico della Guerra Fredda e dei vent’anni che ne sono seguiti: facendo credere alle Opinioni pubbliche e ai Governi occidentali che il mondo fosse entrato nel paradiso di una kantiana “Pace Perpetua”, nel quale – ad esempio – si potessero ignorare minacce che stavano già profilandosi all’orizzonte comprimendo irresponsabilmente le spese e le misure destinate alla sicurezza e alla difesa dei cittadini. Riecheggia ancora, tra chi si occupa di queste cose, lo slogan delle “peace dividend”: di moda tra le diverse Forze politiche avvezze a trascurare le esigenze di difesa del nostro paese, auspicando invece che della nostra difesa se ne occupasse l’Unione Europea, l’America, o persino negli ultimi anni, una potenza ostile come la Cina. Atlantico significa oggi, come avrebbe dovuto significare anche ieri per tutti, essere consapevoli delle sfide che abbiamo di fronte e dell’interesse nazionale a dotarci di risorse, alleanze, politiche idonee a sostenerle efficacemente. In estrema sintesi queste sfide riguardano:
* l’America ed i suoi alleati dentro e fuori l’Alleanza Atlantica da un lato,
* dall’altro la Cina – per obiettivi inizialmente di preminenza economica ma ormai anche di dominio strategico e di influenza politica,
* la Russia, con la volontà di riacquisire a pieno titolo un ruolo di superpotenza globale,
* l’Iran – con una visione messianica, di guida radicale del mondo islamico, in chiavi anti-occidentale.
La destabilizzazione dall’interno dei paesi governati dallo Stato di Diritto e dai principi liberali, sembra a molti un obiettivo che trova nell’Occidente facili prede; dato che esistono nei regimi totalitari capacità di esercitare enormi interferenze all’interno dei paesi liberi, animando settarismi e violenze; sia artificialmente e soprattutto sul web, sia attraverso il reclutamento di ambienti economici e politici, corruzione e contropartite di ogni genere. E tutto ciò senza dover rendere alcun conto ai loro Parlamenti, opinioni pubbliche, mezzi di informazione, Tribunali o Organi di indagine.
Al contrario, sono invece inesistenti per Democrazie strutturate su ripartizione di poteri, libertà di informazione, con efficaci organismi di lotta alla corruzione, al crimine organizzato, al riciclaggio, le possibilità di utilizzare queste strategie nei confronti degli Stati totalitari che vogliono destabilizzarle.
In realtà, quanto è avvenuto negli ultimi cinque anni, con l’elezione di Donald Trump e successivamente con una ventina di elezioni in Europa e in altri paesi Occidentali e infine, in occasione dell’attacco al Campidoglio americano il 6 gennaio scorso, deve essere interpretato come una dimostrazione di grande vitalità della Democrazia liberale e dei valori Atlantici che la sostengono.
Infatti, l’America, l’Europa, le Democrazie asiatiche e ancora altri paesi che hanno subito attacchi di “Cyber Information Warfare” anche nelle fasi più delicate -e cioè le elezioni- hanno sempre dato prova di una straordinaria capacità di superare tali prove e di mantenere intatte le loro Istituzioni”.
Il covid ha sicuramente spostato l’attenzione di molti Paesi su questioni legate all’emergenza sanitaria, a danno magari di altri temi. Di questo caos mondiale, la Cina, la Russia e in parte anche l’Iran, potrebbero aver ‘tratto giovamento’ per portare avanti i loro ‘progetti revisionisti’?
“Tutto ciò non è avvenuto nei paesi governati da dittature e autocrazie che hanno portato i loro paesi allo sfacelo economico-sociale, a colpi di Stato, e a sempre più sanguinose repressioni, e persino al genocidio degli Uiguri dello Xinjiang e della popolazione Tibetana. Con diffuse ed aggravate condizioni di instabilità in paesi come l’Iran, la Birmania, e in una certa misura nella stessa Cina. Vero è peraltro, che sulla Cina ha nell’ultimo anno influito in misura determinante, la pandemia del Coronavirus, partita da Wuhan e utilizzata dal Partito Comunista Cinese, come straordinario moltiplicatore di potenza economica, propagandistica e repressiva del proprio apparato. Non vi è tuttavia alcun dubbio che “Atlantico” costituisca oggi e continuerà a rivestire in futuro, un significato di fondamentale importanza. Un valore culturale e politico, come indicavo in premessa, ispirato alla libertà, attorno al quale ci dobbiamo tutti riunire. Molti anni fa, appena dopo aver affermato in Germania “Ich bin ein Berliner” John Fitzgerald Kennedy, il 1 luglio 1963, di fronte al Quirinale esclamava: “we must recommit to freedom”.
Non è tempo di smarcature pericolose tra Europa e Stati Uniti, come avvenuto con l’Accordo sugli investimenti preteso dal Cancelliere Merkel e dalla Presidente Von Der Leyen per santificare la conclusione della presidenza tedesca nell’Unione Europea, e garantirsi ancora una volta il massiccio export di Volkswagen e Mercedes, nella Cina che interna milioni di Uiguri nei suoi lager”.
Gli Usa aprono a Teheran per tornare al tavolo dell’accordo sul nucleare. Durante l’amministrazione Trump gli Stati Uniti, forti anche della consapevolezza che l’Iran non ha mai davvero fermato la corsa per l’arricchimento dell’uranio, si sono ritirati dall’accordo e previsto sanzioni. Joe Biden vuole invece tornare al passato. Due politiche apparentemente contrapposte. Cosa ne pensa?
“È quanto mai opportuno un approccio attualizzato che rifletta le realtà regionali e internazionali del 2021, non del 2015 quando i termini del JCPOA sono stati fissati. In tale contesto, si dovrebbe insistere affinché un fronte coeso “euro-atlantico”, in primis, chieda con forza il mantenimento del sistema sanzionatorio esistente – con particolare riferimento all’acquisto di petrolio e di prodotti petrolchimici iraniani – anche in modo da impedire forme di cooperazione e sostegno finalizzate ad aggirare le sanzioni (si pensi allo strumento europeo INSTEX) e che minano la regolarità del commercio globale e la sicurezza marittima. Per oltre due decenni, la risposta dell’Iran alla comunità internazionale non è stata altro che negazione, inganno e dissimulazione. Non un solo sito è stato dichiarato dal regime prima che fosse esposto dall’opposizione iraniana o da altre fonti. Il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) avrebbe dovuto impedire all’Iran di ottenere armi nucleari. In realtà, però, l’infrastruttura nucleare iraniana è rimasta intatta e le sue capacità non sono state diminuite. Inoltre, l’Iran ha usato i benefici del JCPOA per espandere ulteriormente le sue attività maligne in tutto il Medio Oriente e altrove.
L’approccio ideale che gli Stati Uniti dovrebbero assumere per non incorrere di nuovo nelle criticità e incongruenze mostrate fin da subito dal JCPOA, è stato perfettamente illustrato dalla ONG americana “United Against a Nuclear Iran – UANI”, che dal 2008 è impegnata in una campagna mondiale di monitoraggio delle attività poste in essere dal regime degli Ayatollah per finanziare il programma nucleare clandestino portato avanti nonostante i divieti sanciti da Trattati internazionali e precise Risoluzioni delle Nazioni Unite. È infatti in una lettera aperta pubblicata il 5 febbraio dal “New York Times” che UANI coglie il punto focale per uscire dall’impasse del dossier nucleare iraniano, dibattuto a Vienna nei giorni scorsi. Come infatti espresso dalle numerose personalità americane ed europee firmatarie della lettera, il presidente Biden viene invitato a evitare gli stessi errori del 2015, elargendo concessioni senza un impegno effettivo e verificabile da parte di Teheran, senza un consenso bipartisan del Congresso e senza un sostegno multilaterale degli alleati e dei partner statunitensi in Europa e in Medio Oriente.
Gli Stati Uniti dovrebbero insistere affinché il regime iraniano si guadagni qualsiasi attenuazione delle sanzioni applicate dalle amministrazioni guidate dai Democratici e dai Repubblicani smantellando le sue armi nucleari, biologiche e chimiche, i missili balistici e la relativa tecnologia di lancio; tagliando ogni sostegno alle organizzazioni terroristiche straniere; adottando best practices per proteggere i sistemi bancari internazionali dal riciclaggio di denaro, dal finanziamento del terrorismo e dal finanziamento della proliferazione nucleare; risarcendo gli ex ostaggi statunitensi e le vittime del terrorismo promosso e sponsorizzato dal regime; e mettendo fine ai perduranti abusi sistematici dei diritti umani, alla censura e alla corruzione.
Inoltre, l’Amministrazione Biden dovrà certamente tenere in dovuto conto la svolta storica realizzata dagli Accordi di Abramo,una svolta che non si limita o risolve unicamente in una “coalizione araba ” per il “containment” nei confronti dell’Iran. La visione di tali accordi è certamente più ampia e globale, nella nuova dinamica di rapporti e collaborazioni di interazione regionale, per la cultura, la scienza, l’innovazione tecnologica e produttiva, i servizi finanziari. Quindi ci sono molti impulsi decisivi per lo sviluppo umano e al progresso della intera regione. Peraltro la pace di Abramo si è conseguita e si sta rafforzando in un quadro complessivo di sicurezza che non può assolutamente prescindere da un cambio di paradigma del regime iraniano. Ed è questa la grande diversità di contesto, profondamente mutato in pochissimi anni e successivo al JCPOA, di cui il nuovo Presidente, circondato da un validissimo team di personalità pragmatiche e ben sperimentate, dovrà chiaramente tenere pieno conto”.
Mentre il mondo è travolto ancora dalla pandemia da Covid-19, Cina e Iran firmano un accordo di cooperazione della durata di 25 anni. I termini di questo accordo sarebbero ancora tenuti in parte nascosti, ma sicuramente alcuni aspetti riguardano la difesa e la sfera militare. È un accordo da temere? E quanto le famose “cancellerie” europee, ma anche il resto dei Paesi occidentali, hanno compreso la potenziale pericolosità di tale accordo?
“I dettagli non sono ancora stati pubblicati, ma l’ipotesi è che la Cina, non curante delle sanzioni americane, diverrà il principale acquirente del petrolio iraniano. A sua volta, investirà parte della sua ricchezza in Iran. Le sanzioni hanno affamato l’Iran di investimenti stranieri. È l’ultima estensione del vasto progetto infrastrutturale cinese, l’iniziativa “Belt and Road”, che sta creando le connessioni di cui Pechino ha bisogno per continuare la sua espansione come potenza globale.
Con il lancio dell’accordo di “Comprehensive Strategic Partnership”, la Cina ha programmato investimenti per 400 miliardi di dollari in Iran nell’arco di 25 anni in cambio di una fornitura costante di petrolio per alimentare la sua crescente economia. Un enorme vantaggio per l’Iran, in particolare, in quanto garantisce un acquirente a lungo termine per la sua esportazione più redditizia, aggirando le sanzioni più importanti degli Stati Uniti per il prossimo quarto di secolo. Come ha sottolineato il “Wall Street Journal”, questo accordo è “un grande affare”. Più in dettaglio, l’accordo prevede una notevole serie di investimenti cinesi da effettuare in decine di settori, tra cui banche, telecomunicazioni, porti, ferrovie, assistenza sanitaria e tecnologia dell’informazione. Inoltre, sono state gettate le basi per un sostanziale rafforzamento della cooperazione militare, compresi l’addestramento e le esercitazioni congiunte, la ricerca e lo sviluppo nel campo degli armamenti e la condivisione dell’intelligence.
L’accordo potrebbe approfondire l’influenza della Cina in Medio Oriente e indebolire gli sforzi americani per mantenere l’Iran isolato. Ma non è stato immediatamente chiaro quanto dell’accordo possa essere implementato mentre la disputa degli Stati Uniti con l’Iran sul suo programma nucleare rimane irrisolta. Il presidente Biden ha offerto di riprendere i negoziati con l’Iran sull’accordo nucleare del 2015 che il suo predecessore, il presidente Donald J. Trump, ha abrogato tre anni dopo la sua firma. I funzionari americani dicono che entrambi i Paesi possono fare passi sincronizzati per portare l’Iran in conformità con i termini dell’accordo, mentre gli Stati Uniti eliminano gradualmente le sanzioni.
L’Iran si è rifiutato di farlo, e la Cina l’ha appoggiato, chiedendo agli Stati Uniti di agire per primi in modo da ripristinare l’accordo che hanno infranto, revocando le sanzioni unilaterali che hanno soffocato l’economia iraniana. La Cina era una delle cinque potenze mondiali che, insieme agli Stati Uniti, hanno firmato l’accordo nucleare del 2015 con l’Iran.
Per rendere più chiaro la dimensione dell’impulso impresso dalla nuova “partenship”, il già intenso commercio di petrolio tra Cina e Iran ha registrato un aumento quasi del 50% del petrolio iraniano verso la Cina, salendo a oltre 750.000 barili al giorno (bdp) dalla cifra di febbraio di 550.000 bdp. In realtà è da notare come, nonostante l’accordo sino-iraniano, le esportazioni iraniane verso la Cina rilevano una tendenza significativa verso l’alto già “da qualche tempo”, soprattutto grazie alla forte leva rappresentata dai prezzi molto bassi del greggio iraniano”.
Le continue e conclamate violazioni dell’embargo nei confronti dell’Iran da parte di alcune aziende (anche italiane) potrebbero indurre a un cambio di direzione nei rapporti con Israele da anni nel mirino degli iraniani, lasciando isolata l’estrema propaggine dell’Occidente nel quadrate mediorientale?
“L’economia iraniana è quasi interamente in mano al “Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica – IRGC” (i Pasdaran). Ciò significa incorrere nel rischio concreto – come ottimamente sintetizzato sempre da UANI nella propria “Business Risk Matrix” – di essere complici inconsapevoli del Paese principale sponsor del terrorismo internazionale, il cui progetto egemonico e di destabilizzazione internazionale viene portato avanti attraverso il finanziamento di milizie “proxy” disseminate nell’intera regione mediorientale, ma con una proiezione sull’intero pianeta (la libanese “Hezbollah” ne è la principale rappresentazione).
A tale riguardo, molto scalpore ha suscitato la notizia della nave cargo italiana trasformata in nave da guerra del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, tanto da essere oggetto di una interrogazione parlamentare a risposta scritta al Governo – tra le altre per quanto riguarda i timori verso Teheran – promossa dall’Onorevole Antonio Zennaro, membro del Copasir, per conoscere se effettivamente “questa nave di fabbricazione italiana sia entrata a far parte della Marina militare iraniana” e per accertare le modalità che hanno portato a tale acquisizione. Si tratta dell’ennesima conferma di come il regime iraniano si contraddistingua nel contrabbando e nell’acquisizione illecita di materiali e tecnologie militari vietati all’Iran, sfruttando ogni ambiguità delle definizioni “dual-use” per aggirare le sanzioni internazionali”.
L’infiltrazione di agenti dello spionaggio iraniano in Italia è un fatto aggravato dalla contiguità con i convertiti nostrani di estrazione neonazista. Nessun intervento radicale pare esserci all’orizzonte, forse anche per una scarsa conoscenza del fenomeno da parte della politica che indirizza le autorità delegate al controllo di queste entità eterogenee. Quali strategie occorrerebbe mettere in atto per il contrasto al fenomeno?
“Dalla Rivoluzione islamica del 1979, il ruolo dell’Intelligence nel regime ha sempre occupato un posto di primaria importanza nella diffusione dell’ideologia khomeinista al di fuori dei confini iraniani, contribuendo materialmente al sostentamento del terrorismo internazionale tramite i suoi ‘proxy’. A seguito dell’attentato suicida in Bulgaria, in cui rimasero uccise sei persone, l’Unione Europea nel 2013 inseriva quindi Hezbollah nell’elenco UE delle organizzazioni terroristiche limitandosi a condannare la sola, così detta, “ala militare” e non quella politica. Differente invece la posizione espressa, nel corso degli anni fino ai tempi più recenti, da un numero sempre crescente di Stati membri.
Un rapporto dell’intelligence tedesca ha infatti rivelato che varie organizzazioni e centri religiosi, così come le moschee, ospitano la rete libanese Hezbollah sul territorio tedesco ed assicurano “supporto logistico” all’organizzazione. L’Iran estende i suoi tentacoli in diversi paesi del Golfo attraverso le “Forze Quds”, divisione internazionale della Guardia Rivoluzionaria Islamica (corpo d’élite dell’esercito iraniano). Queste lavorano in collaborazione con gruppi sciiti in queste nazioni, come nel caso di “Hezbollah” in Libano, le “Forze di Mobilitazione Popolare” in Iraq, le milizie “Houthí” nel quadro della guerra in Yemen o le forze armate “Liwa Fatemiyoun”, attive nella guerra in Siria.
Hezbollah con il decisivo sostegno della rete diplomatica e di intelligence iraniana, è attiva nei principali Paesi europei, continua a considerare l’Europa come una piattaforma operativa, logistica, di approvvigionamento e di raccolta fondi vitale e strategica. Il Coordinatore per l’Antiterrorismo del Dipartimento di Stato americano, Nathan A. Sales, ha recentemente rivelato che “depositi segreti di armi di Hezbollah vengono spostati attraverso Belgio, Francia, Grecia, Italia, Spagna e Svizzera. Posso anche rivelare che significativi depositi di nitrato di ammonio sono stati scoperti e distrutti in Francia, Italia e Grecia”.
Un’ulteriore gravissima dimostrazione della minaccia derivante dalla fitta rete di intelligence del regime iraniano in Europa, è rappresentata dal caso “Assadollah Assadi“, il diplomatico – agente segreto e terrorista condannato con i suoi tre complici dal Tribunale di Anversa in Belgio, a 20 anni di reclusione – il massimo della pena in Belgio – per aver progettato e portato quasi a compimento un mega-attentato contro un raduno di centomila persone a Villepinte, vicino a Parigi.
La sentenza dimostra inequivocabilmente la piena responsabilità del MOIS – il servizio segreto iraniano – e dei vertici del regime negli ordini impartiti ad Assadi. La sentenza dimostra ugualmente l’esistenza di una ampia rete di intelligence iraniana in Europa, in sostegno di attività terroristiche, per l’eliminazione di oppositori e rifugiati politici sul suolo europeo. Tutto questo deve essere fermamente condannato dalla comunità internazionale, assicurando i responsabili alla giustizia anche se ricoprono incarichi governativi ai più alti livelli della Repubblica Islamica dell’Iran . In definitiva, nei confronti di Teheran appare indifferibile una ben diversa politica europea, e italiana. Essa deve muovere dalla più ampia adesione internazionale, in stretta intesa con gli alleati atlantici e con i partner medio-orientali minacciati dal comportamento ostile dell’Iran. Per ottenere la revoca dalle sanzioni, l’Iran deve cambiare rotta non soltanto per quanto riguarda il rispetto formale dei parametri dell’ormai superato e inutilizzabile JCPOA del 2015. Il regime iraniano deve rivedere in modo permanente e verificabile l’atteggiamento di totale disprezzo del diritto internazionale, nel sostegno al terrorismo, nella violazione massiccia dei Diritti Umani, nella costante destabilizzazione regionale”.