Politica degli insediamenti sì, ma con moderazione. La posizione dell’amministrazione Trump sull’espansione delle colonie ebraiche in Cisgiordania non cambia. Domenica scorsa, il premier dello Stato ebraico, Benjamin Netanyahu, ha inviato negli Stati Uniti il capo di gabinetto, Yoav Horowitz, nel tentativo di mettere a punto con la Casa Bianca una nuova intesa. L’accordo ancora non c’è e Horowitz e l’ambasciatore di Israele a Washington, Ron Dermer, dovrebbero confrontarsi su una delle politiche più discusse dell’esecutivo di Tel Aviv con Jason Greenblatt, l’emissario del presidente Usa che già nelle scorse settimane, a riguardo, ha tenuto una fitta serie di incontri tra Gerusalemme, Ramallah e Amman.
Di sicuro non siamo di fronte a un’inversione di rotta. E in effetti, secondo fonti anonime citate dal quotidiano israeliano “Haaretz”, Greenblatt si attende che Tel Aviv annunci un “rallentamento” nelle proprie attività di estensione delle colonie. Ma per Netanyahu, la questione è ben più complicata. Lo spazio di manovra del primo ministro è limitato anche a causa della composizione della coalizione di governo. E si muove tra il timore di non scontentare lo storico alleato statunitense e le pressioni in senso inverso che giungono dal partito della destra nazionalista, Habayit Hayehudi, guidato dal ministro dell’Istruzione, Naftali Bennett, e vicino ai coloni.
In aggiunta, nei giorni scorsi, Netanyahu ha minacciato la crisi di governo e il ricorso a elezioni politiche anticipate a seguito di un contrasto sorto con il ministro delle Finanze, Moshe Kahlon. Oggetto del contendere è l’avvio, per la fine di aprile, della nuova Autorità delle trasmissioni radio tv, struttura di governo dell’intero sistema dell’informazione, sul quale inizialmente tra i due era stata raggiunta un’intesa. Ad aver cambiato idea, poco tempo dopo, è stato Netanyahu. Una mossa condannata da Kahlon che ha accusato il primo ministro di “voler soltanto controllare” l’informazione del Paese. “Se per metà settimana – ha minacciato in risposta il premier – il ministro delle Finanze non fermerà l’avvio del nuovo ente, allora si andrà alle urne”.
Una nuova coalizione senza il Likud
Dal canto suo, il leader dell’opposizione, il laburista Isaac Herzog, ha chiesto a Kahlon di lasciare l’attuale esecutivo per entrare a far parte di una nuova coalizione. Herzog, infatti, sarebbe disposto a creare una compagine governativa senza il Likud, il partito guidato dall’attuale primo ministro. “Ci sono oltre 61 deputati (la Knesset è formata da 120 parlamentari) – ha dichiarato il leader del partito laburista lunedì – che sono stufi di Netanyahu e sarebbero più che felici di formare una coalizione con un premier diverso”.
Gravissimi problemi con la sicurezza a causa di Siria e Libano
Nel contempo Israele, già alle prese con un quadro di politica interna più che complicato, si trova ad affrontare due potenziali quanto gravissime crisi di sicurezza: una con la Siria e il Libano, e l’altra con il movimento islamista palestinese di Hamas nella Striscia di Gaza. In entrambi i casi, sostiene in un editoriale “Haaretz”, Tel Aviv sarebbe prossima ad esaurire i suoi margini di manovra: al confine con la Siria si è registrata una escalation senza precedenti venerdì scorso, quando Israele ha ammesso di aver attaccato obiettivi militari in territorio siriano, dopo che i velivoli dell’Aviazione israeliana sono stati bersagliati da batterie missilistiche antiaeree delle forze regolari di Damasco.
In Israele e nei Territori palestinesi, invece, secondo il capo del servizio di sicurezza interna dello Stato ebraico (Shin Bet), Nadav Argaman, “la calma che sembra prevalere è tutta apparente”. Nella giornata di lunedì, parlando alla Commissione affari Esteri e Difesa della Knesset, Argaman ha persuaso i parlamentari a non lasciarsi ingannare dall’attuale “relativa tranquillità”. “La situazione – ha precisato in una dichiarazione diffusa dalla radio israeliana – è ingannevole e fuorviante perché Hamas e i jihadisti a livello internazionale stanno costantemente cercando di compiere attacchi sul territorio d’Israele e in Cisgiordania”. Gli sporadici lanci di razzi da Gaza verso il deserto Negev ne sono la conferma. Domenica sono scattati falsi allarmi nelle comunità al confine di Gaza e questo, per il responsabile dello Shin Bet, evidenzia sia la sensibilità dell’apparato militare israeliano, sia l’aumento della frequenza dei tentativi di attacco da parte degli uomini di Hamas.
@RosariaSirianni