Risparmiati dallo Shabbat, i primi 200 richiedenti asilo presenti in Israele avranno tempo fino a lunedì 20 febbraio per accettare la proposta del governo: rimanere nel Paese, ma in carcere visto che risultano illegali perchè non hanno ottenuto alcun permesso di soggiorno, oppure essere riportati in Africa con una sovvenzione di 3.500 dollari.
La polemica
Il “piano immigrazione” di Netanyahu ha generato una notevole polemica interna visto che lo scontro è anche sui termini da utilizzare per definire tale operazione. Gli oppositori, tra cui anche alcuni ebrei che sono spravvissuti ai campi di concentramento, così come alcuni media, intellettuali, rabbini e scrittori, hanno protestato usando la parola “deportazione”. Benjamin Netanyahu, però, ha parlato di “rimozione”. Per il primo ministro israeliano, inoltre, questa misura si è resa necessaria perchè i richiedenti asilo sono in realtà “immigranti illegali che vengono qui per motivi di lavoro” e “stanno distruggendo quartieri nel sud di Tel Aviv, dove vive la stragrande maggioranza”.
Il piano del governo
Superando la querelle linguistica, la questione dei clandestini presenti in Israele è stata affrontata dalla Knesset che a dicembre ha approvato la “legge sugli infiltrati” che in un emendamento stabilisce la gestione degli irregolari sul territorio nazionale. Nel Paese sono presenti circa 38mila richiedenti asilo, in maggioranza proveniente di Eritrea e Sudan. Per 3.000 di loro è già partito il conto alla rovescia e entro lunedì i primi 200 eritrei dovranno decidere se finire in carcere oppure accettare di essere rimpatriati. Il 17 gennaio scorso hanno ricevuto la notifica facendo partire i 30 giorni di tempo concessi dal governo per valutare la proposta delle autorità. Dal 4 febbraio, inoltre, a tutti coloro che si sono recati a rinnovare i visti è stato notificato il decreto di espulsione.
L’intenzione del governo è quella di rimandare indietro almeno 600 richiedenti asilo al mese nel primo anno. Priorità agli uomini, specie se giovani e single, che saranno i primi destinatari dei provvedimenti, mentre donne e maschi inferiori al 18 anni non sono inclusi nella prima fase del piano immigrazione.
Sui rimpatri, inoltre, sarebbero stati stipulati accordi con Uganda e Ruanda che sarebbero disposte ad accogliere i clandestini anche se non sono loro cittadini, nel caso non volessero fare rientro nei paesi d’origine.
Il piano dell’Ungheria
Ma Israele non è l’unico Paese che ha deciso di affrontare il problema dei flussi migratori. In Ungheria, il premier Orban ha lanciato una vera e propria dichiarazione di guerra alle Ong che si occupano dei profughi, attraverso una legge arrivata nei giorni scorsi in Parlamento e che pone una serie di limitazioni alle organizzazioni non governative. L’obiettivo è quello di non concedere spazi per l’arrivo di immigrati. Secondo il governo ungherese, inoltre, George Soros, il miliardario filantropo, agevola consapevolemente (attraverso le Ong) il flusso verso il Paese e non solo. Per questo motivo il piano del governo è stato ribattezzato “Stop Soros”.