Il modello di immigrazione in Francia è fallito. Lo affermano con solennità i giornali democratici e i commentatori in ansia da prestazione. Davanti al caos che da giorni sta scuotendo il Paese transalpino, anche i buonisti di casa nostra sono costretti ad ammettere che qualcosa non è andato per il verso giusto. Ma non siamo ancora arrivati al punto in cui chiederanno scusa per aver spinto all’immigrazione incontrollata, assumendosi la responsabilità dell’assedio. Ancora no, non ci siamo. Perché in fondo un morto, saccheggi, disordini, scontri con la polizia e città sotto assedio, non sono sufficienti a placare la furia immigrazionista sponsorizzata della sinistra. In Francia, del resto, il vero mea culpa non è mai arrivato. Perché dovrebbe arrivare da noi? Eppure, da decenni sono evidenti i segnali di una deriva. Addirittura l’ONU, dal suo ameno palazzo di vetro, arriva a “riprendere” la Francia per spingerla a sostenere l’integrazione più profonda, non a condannare la tempesta scatenata con la giustificazione di una protesta e sfociata in razzie, incendi e violenze gratuite.
Si è stabilito che la media dei “casseurs” arrestati in questi giorni è di 17 anni, al 90% con origini africane. Ora, non si venga a parlare del cittadino scontento che contesta il Governo, si abbia il buon senso di parlare di un’integrazione mancata soprattutto per volontà degli immigrati e dei clandestini presenti sul suolo francese ai quali non pare vero acquisire visibilità, potersi impossessare di beni altrui impunemente, acquisire spazi territoriali per i traffici illeciti e, soprattutto, sopraffare il “nemico” miscredente.
A sostegno dell’ormai conclamata guerra civile, si sono unite frange di estremisti di sinistra e di black bloc anarchici ai quali non pare vero provare a combattere il “potere assassino” scontrandosi con le Forze di polizia. Ma alcuni francesi hanno iniziato a schierarsi e sono scesi in strada organizzandosi in gruppi armati di mazze da baseball per proteggere le proprietà private. Un primo segnale c’è.
Ma i fatti parlano chiaro. I disordini iniziati a Parigi si sono velocemente espansi sino a toccare la Svizzera ed il Belgio. Da qui la consapevolezza che tutta l’Europa è a rischio rivolte. L’Italia in primis, con migliaia di arrivi quotidiani di clandestini a Lampedusa, con centri di prima accoglienza al collasso e una redistribuzione pressoché impossibile da attuare. La criminalità straniera è in aumento esponenziale e gli interventi atti a combatterla si sono rivelati inefficaci. La politica dei rimpatri è risibile. Si parla di una percentuale dell’1 per 1000…
In Tunisia, Paese coinvolto dal fenomeno sia in fase di arrivi che in fase di partenze, la popolazione ed il Governo stesso, si sono ribellati all’invasione di migranti subsahariani, anche in modo violento. In Egitto e Libia, le masse di clandestini vengono respinte con la forza oltre i confini ed in Algeria, i militari di frontiera già da mesi sono impegnati al medesimo fine.
A questo punto è lecito chiedersi quando si considererà seriamente il rischio emulatorio che potrebbe coinvolgere in primis il nostro Paese, ma anche altri Paesi europei. La presenza sul territorio nazionale e i continui arrivi di clandestini di certo non tranquillizzano. Sui siti di area anarchica sono già apparsi proclami per un’insurrezione contro le politiche del Governo, un facile appiglio per rafforzare la “lotta politica” con il coinvolgimento di immigrati ai quali non parrebbe vero che qualcuno consentisse loro di emulare il “modello Francia” con tumulti, furti e appropriazioni di proprietà privata.