La denuncia di Israele, ben documentata alle Nazioni Unite, sui 12 impiegati dell’agenzia Unrwa ha scoperchiato il vaso di Pandora dell’organizzazione ONU, ormai infiltrata da criminali della peggior specie, terroristi che sotto le mentite spoglie di ruoli professionali come insegnanti, impiegati o assistenti sociali hanno collaborato fattivamente ai massacri del 7 ottobre. La rivelazione avviene dopo che già nelle settimane precedenti altre figure, come quelle dei giornalisti delle agenzie internazionali, si erano resi protagonisti degli stessi crimini.
Nella giornata di presentazione dell’organizzazione “SETTEOTTOBRE”, il 21 gennaio scorso a Roma, lo aveva denunciato a chiare lettere e con grande lucidità, il giornalista israeliano Attila Somflavi: è arrivato il momento che la società palestinese venga messa in discussione. Un dibattito che deve prevedere un’assunzione di responsabilità da parte del mondo palestinese e di chi lo sponsorizza, lo vezzeggia e lo sostiene, tanto moralmente quanto economicamente.
La brutta storia dell’Unrwa, così come i festeggiamenti avvenuti per le strade di Gaza nella drammatica giornata del 7 ottobre 2023, ma anche quelli precedenti, negli anni passati, dopo ogni attentato con vittime in Israele, la fattiva collaborazione dei civili ai massacri e il loro linciaggio degli ostaggi deportati da Hamas, devono far pensare ad un mondo, quello palestinese, dove la cultura dell’odio e la volontà di annientare Israele e il popolo ebraico vanno a braccetto e danzano costantemente un valzer macabro.
L’indottrinamento fin dalla tenera età all’odio antiebraico dei bambini, non solo a Gaza, ma anche nelle città controllate dalla ANP (Ramallah, Nablus, Jenin), è forse, in prospettiva, l’aspetto che deve farci preoccupare di più per il futuro. Anche e soprattutto grazie al sostegno economico dell’occidente, stiamo preparando la nuova generazione dei terroristi del futuro.
Se vivessimo in un mondo dove l’onestà intellettuale da parte di governi, nazioni, associazioni e opinioni pubbliche prevalesse, dovremmo finalmente cominciare a contestare al mondo palestinese non solo l’antisemitismo di cui è permeato, ma anche tutta quella serie di discriminazioni nei confronti dei cristiani e dei fedeli di altre religioni da parte della stragrande maggioranza dei musulmani, degli omosessuali costretti troppo spesso a riparare in Israele per poter vivere serenamente una vita che altrimenti gli sarebbe preclusa in seguito alle minacce e vessazioni subite, del mondo femminile che sta andando sempre di più verso quelle ristrettezze dettate dalla rigida osservanza islamica professata da Hamas a Gaza.
Nel dibattito pubblico ovunque si chiedono a Israele moderazione, comprensione, autocontrollo in nome del proprio essere una nazione democratica, dove regnano civiltà e amore per la vita, rispetto per il prossimo e principi morali.
Quando si arriverà, finalmente, a chiedere altrettanto ai palestinesi, alla cosiddetta società civile, alle istituzioni che la governano?
I sondaggi delle ultime settimane parlano chiaro: Hamas cresce nei consensi, tanto a Gaza quanto in Cisgiordania, e questo indica quanto poca sia la voglia di democrazia della popolazione palestinese come del resto del mondo arabo.
Di questo, nel prossimo futuro, dovremmo preoccuparci e con questo dovremo fare i conti.