L’Ucraina dei nostri giorni, insidiata, turbata e calpestata, ricorda le vicende della giovane principessa Tamara, promessa sposa al «signore di Sinodal», del poema in versi, scritto da Michail Jur’evič Lermontov tra il 1829 e il 1839, il Demone. Nel poema romantico russo, come peraltro nella storia recente, l’avventura del demone incomincia non lontano dal fiume Aragvi nella lussureggiante Georgia, e verosimilmente si concluderà con la morte della eroina e le ripetute maledizioni del protagonista (Ты!.. Демон!.. о!.. коварный друг!…; in italiano: Tu!… O demone! O perfido compagno!…).
L’avventura russa, che non poteva che essere stranamente romantica per il recupero delle tradizioni nazionali e popolari, collegato al nazionalismo, conferisce nuova vita a sogni romantici di una missione divina dello zar. Quest’ultimo, infatti, ha trovato i generali Gerasimov e Shogun, i quali lo incoraggiarono nelle sue manie divinizzanti, dimostrando, che i russi sono incapaci di governarsi da sé stessi e bisognosi quindi di un governo forte, proveniente dall’alto, che li indirizzi e li protegga con una spada che possa sciogliere i nodi gordiani del destino.
Per sostanziare la missione divina del re e tenere quiete le forze sociali e politiche del Paese, si ingenerava un senso del pericolo nazionale e si gridava ogni giorno che la patria era in pericolo con una perfida e articolata campagna di disinformazione dei pubblici interni ed esteri. Il popolo ha così abbandonato il governo del paese nelle mani di un autocrate sostenuto da una ristretta cerchia di avidi oligarchi e di soldati scelti dal nuovo zar. Il pericolo immanente contrastato da uno leader persuaso della sua missione divina e un ceto di alti funzionari, anch’essi convinti della propria superiorità intellettuale e morale e avidi nel tempo stesso di ricchezze, hanno tenuto in ostaggio per un trentennio il Paese e agitato i confini orientali dell’Europa, ancora turbati dalla caduta dei regimi dittatoriali comunisti.
Se oggi la guerra si fosse chiusa con una pace bianca, lo zar si sarebbe salvato continuando ad alimentare il senso del pericolo in cui i russi crederebbero di trovarsi, accerchiati da popoli avidi di spartirsi le spoglie dell’impero sovietico. Perché le generazioni venture non abbiano a patire nuovi versamenti di sangue, è necessaria la caduta dello zar, dimostrando la sua incapacità a salvare l’esercito dalla sconfitta. Siamo sulla buona via, ma non basta. Solo quando la Russia si persuaderà che la missione divina condusse esercito e paese alla rovina, potrà restituire finalmente la sovranità al popolo e liberarsi e dal futuro giogo economico cinese.
La storia si ripete e tutta la vicenda mi riporta alla mente un altro generale caduto in disgrazia come Gerasimov; anche Ludendorff, infatti, ammettendo la sconfitta, suggeriva al Kaiser la necessità di trasferire il potere ad uno statista civile, nel settembre del 1918. La rivoluzione scoppiava il mese successivo a Kiel e il 9 novembre 1918, il principe Max annunciava l’abdicazione di Guglielmo II.