É definitivamente tramontato il sogno dello Stato islamico di Abu Bakr al Baghdadi e soci, ma non quello della jihad. Dopo cinque anni di predominio su larga parte della Siria e dell’Iraq, i miliziani del Daesh hanno perduto l’ultima roccaforte a Deir ez zor ad opera dell’alleanza a guida statunitense. Il sud est della Siria è quindi libero, ma i fedelissimi del Califfo, secondo notizie di fonti locali, non sarebbero caduti sotto i colpi dei bombardamenti americani. Buona parte dei miliziani, infatti, si starebbero riorganizzando in Iraq in cellule di resistenza, pronte a colpire con tattiche di guerriglia, con imboscate o attentati con l’uso di Ied, gli ordigni improvvisati. Un copione già visto proprio in Iraq all’epoca del defunto Abu Musab al Zarqawi che portò a sporadiche vittorie, di per sé inconsistenti ma, soprattutto, a una rinnovata fiducia nell’ideale islamista e alla conseguente opera di reclutamento, culminati nella conquista di ampie zone di territori siro-iracheni e all’impossessamento di un consistente bottino di guerra.
Foreign fighter: l’incubo dell’intelligence
A preoccupare le intelligence occidentali è, comunque, principalmente il destino dei foreign fighter di ritorno e alle loro intenzioni. Centinaia di miliziani prigionieri dei curdi e degli americani potrebbero essere presto liberati, come già segnalato in precedenza, in assenza di specifiche accuse nei loro confronti presentate dai Paesi di provenienza. Le aree di afflusso degli jihadisti reduci dalla Siria sono state individuate nel Sinai egiziano, nella Libia meridionale e lungo il confine iracheno.
Le future strategie del Daesh
Sulle future strategie del Daesh molto dipenderà dagli input della leadership, i cui ranghi risultano decisamente sfoltiti, dalle linee di approvvigionamento e della capacità comunicativa rivolta a nuove adesioni. Un concetto che teniamo a ribadire è che l’internazionale jihadista non si fonda su una struttura piramidale, assoggettata a specifiche gerarchie. Piuttosto è stata negli anni rimodellata in un modello “orizzontale”, dove ogni cellula organizzata agisce in maniera autonoma, in questo riducendo i rischi di individuazione della rete da parte dell’intelligence e semplificando le attività dei gruppi delocalizzati in Occidente e Africa settentrionale. Se le attività degli alleati del Daesh nella zona del Sahel risultano ben visibili, quindi relativamente semplici da affrontare da un punto di vista strettamente militare, è ben più complessa l’opera di individuazione di entità ridotte che agiscono con la tattica del “mordi e fuggi” risultando presso che impossibili da localizzare.
Jihad: un network in ricostruzione
Un network in ricostituzione, quindi, che agirà secondo specifiche strategie dettate dalle esperienze di al Qaeda e dell’Isis, basandosi sugli errori commessi nella pianificazione dell’espansione islamista: da parte di al Qaeda è risultato letale intraprendere azioni delocalizzate da una specifica base di comando, in ciò divenendo un target facilmente individuabile; da parte del Daesh, l’enormità dei territori inizialmente conquistati ha portato a un tracollo militare come conseguenza diretta dell’impossibilità di presidiare in forze le zone sotto il suo controllo. Da qui la necessità di esportare la guerriglia anche in Europa, a scopo soprattutto di propaganda e reclutamento, ma esponendosi al parziale fallimento in termini di organizzazione logistica e comunicazione.