Narendra Modi continua i suoi incontri con le vari leaders maggiormente di spicco del momento in una fase di ridefinizione degli equilibri globali. La posizione dell’India è alquanto delicata per tutta
una serie di ragioni che la vedono ad un tempo essere:
1) amica di Mosca di cui è un cliente di notevole importanza per le esportazioni dei prodotti energetici russi che successivamente reimmette sul mercato globale per la gioia del Cremlino, ma anche dei nemici occidentali di Putin che di quelle forniture abbisognano più che mai, nonostante i proclami della Presidente von der Leyen: la ben nota Pasionaria di Biden;
2) amica degli Stati Uniti in forza della deterrenza che tale apparentamento esercita su Pechino: il competitor per eccellenza di nuova Delhi nell’area Indopacifica
3) dell’Arabia Saudita, con cui non fa mistero alcuno di intrattenere ottimi rapporti per quello che riguarda i commerci, la difesa, le fonti energetiche
ed ora pure
4) della Francia di quel presidente Macron messo a dura prova, per ciò che riguarda la sua spendibilità politica in ambito internazionale, dopo la sua messa in stato d’accusa da parte della comunità internazionale per i gravi fatti che hanno colpito recentemente la Francia, accusata da più parti di razzismo anche se certamente non per amore delle folte masse di immigrati qui residenti provenienti dai Paesi dell’area sahariana e sub-sahariana.
A ben guardare la posizione alquanto ambigua di Nerenda Modi fa apprezzare più che altro la mancanza di una visione globale degna di un Paese, l’India, che nel momento in cui mostra di voler giocare un ruolo di primo piano nel nuovo assetto globale, evidenzia una visione strategica alquanto provinciale delle cose.
Voler mantenere un piede in troppe scarpe rischia di lasciare scalzo il grande Paese asiatico in un momento in cui l’attendismo eccessivo potrebbe risultare decisamente fatale a Nuova Delhi, non meno di certi
abbracci di matrice occidentale a cominciare da quello di Biden.
Vive l’amitié entre l’Inde et la France !
Long live the French-Indian friendship!
भारत और फ्रांस के बीच दोस्ती अमर रहे! pic.twitter.com/f0OP31GzIH— Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) July 14, 2023
Il fatto nuovo recente, il viaggio di Kissinger a Pechino, ci consente di approfondire ulteriormente la riflessione a partire da un interessante articolo del Financial Times che più di qualcuno negli Stati Uniti ha
voluto leggere come un omaggio all’abbraccio paritetico tra due grandi democrazie sostenendo la tesi di una sorta di reciprocità gravitazionale tra Washington e New Delhi che io sinceramente non riesco a vedere. Parlare di una entrata di Washington nell’orbita di New Delhi mi pare alquanto risibile, a maggior ragione se nel contempo si cerca di minimizzare il significato ed il peso del fatto nuovo del momento,
ovvero della serie di incontri -e relativi colloqui– ad alto livello che hanno visto l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger indossare ancora una volta i panni a lui congeniali del pragmatico mediatore di altissimo livello che, detto per inciso, le stesse agenzie cinesi gli hanno riconosciuto allorché hanno sottolineato come tutto sia stato preparato per tempo e con ogni cura negli ultimi due mesi.
Difficile, stando così le cose, pensare a questi incontri ravvicinati e serrati come all’estemporaneo corollario di un viaggetto di piacere di un anziano diplomatico teneramente accolto in omaggio all’età: una lettura questa che ci potrebbe sicuramente stare se il protagonista in questione non si chiamasse Henry Kissinger (quel Kissinger che non ha risparmiato lucidissime critiche alla politica statunitense degli ultimi 20/30 anni ripetutamente accusata di non agire, Vinius docet, con consapevolezza e lungimiranza) e l’interlocutore fosse stato il nonno di Xi Jinping. Se a qualcuno questa lettura suonasse come ispirata dalla propaganda russa o cinese non potrei fare altro che invitarlo a valutare l’ipotesi, alquanto risibile, di un Kissinger di filo-cinese o filo-russo: una banalizzazione che in certi contesti credo sia del tutto irricevibile.
È cosa ovvia che la sovranità decisionale di Stati Uniti ed India non credo che possa venire in qualche modo inficiata e compromessa da una valutazione critica che, nel caso dell’India, poggia sul fatto che un
abbassamento dei toni ed un miglioramento delle relazioni di Stati Uniti e Cina non farà minimamente venire meno la necessità da parte statunitense di un contenimento dell’espansionismo cinese nell’area
indo-pacifica sfruttando la naturale competitività tra Nuova Delhi e Pechino per evitare di adottare misure dirette.
Ecco che se la Cina si allea con il Pakistan è naturale che Washington cerchi una partnership con l’India per creare una zona cuscinetto che consenta un confronto per procura ben poco utile a Nuova Delhi nel
momento in cui si accinge ad entrare nell’orbita statunitense illudendosi ingenuamente che gli USA entrino nella sua: cosa che più di qualcuno a Washington vorrebbe spacciare per vera, magari promuovendo pure il radicamento nell’establishment indiano dell’idea che a muovere Biden sia pure la voglia di contribuire ad affrontare il problema rappresentato dalla grande massa di poveri che affligge la società indiana millantando come ispirato da una sorta di filantropia il processo di delocalizzazione delle imprese occidentali in Cina: quasi che l’intento fosse anche quello di contribuire alla crescita della Cina ed al miglioramento delle condizioni di vita dei Cinesi.
Credo che qualcuno dovrebbe spiegare ai più che la geopolitica è questione di affari, non di filantropia, tanto a Mosca quanto a Pechino, tanto a Washington quanto a Parigi, Londra, Berlino… e che questa
non è propaganda, ma semplicemente storia. In un tale contesto il viaggio di Kissinger dovrebbe muovere Nuova Delhi a cercare di promuovere una cooperazione con Pechino prima di schierarsi apertamente con il nemico numero uno di Xi Jinping in cambio di una sicurezza fittiziamente garantita da una Casa Bianca
che recentemente a Vilnius ha mostrato i limiti della sua disponibilità a supportare una Ucraina che sta combattendo una guerra degna di miglior causa che non sarebbe mai dovuta scoppiare, come sostenuto
dallo stesso Kissinger.