Il Niger fra conflitti e instabilità nel Sahel.
Un reportage della testata francese Le Monde evidenzia l’aggressività e l’organizzazione militare degli uomini di al Qaida e dello stato islamico che operano nella zona delle tre frontiere tra Mali, Burkina Faso e Niger. L’esempio non è minimamente preso in considerazione dai media nazionali probabilmente non ritenendo il problema di interesse per l’opinione pubblica italiana.
Dal 2015, l’ingresso nel Sahel dello Stato Islamico di Siria e Iraq, noto anche come Daesh, ha mietuto migliaia di vittime. Ciò segue la creazione dello Stato Islamico nel Grande Sahara da parte di al-Sahrawi, che ha promesso fedeltà all’Isis. Sul punto, i ricercatori Tricia Bacon e Jason Warner hanno scritto per il Combating Terrorism Center di West Point che “Sottolineando quanto sia diventata importante un’area di operazioni in Africa per lo Stato Islamico, si stima che il 41% di tutte le morti globali inflitte dai militanti dello Stato Islamico nel 2019 siano avvenute in Africa”,
Nello stesso anno, Boko Haram ha giurato fedeltà allo Stato Islamico. Ciò ha portato alla creazione della sua fazione dissidente, la Provincia dello Stato Islamico dell’Africa occidentale.
È noto che l’Isis nella provincia dell’Africa occidentale e l’Isis nel Grande Sahara hanno attaccato basi militari in Nigeria, Mali, Niger e Burkina Faso. Entrambi i gruppi sono anche noti per aver rapito civili per ottenere un riscatto. Questo nonostante l’omicidio di alcuni comandanti chiave all’interno dei gruppi. I militanti hanno iniziato a diffondersi nel Niger occidentale nel 2016, avendo precedentemente base nel vicino Mali. I gruppi si sono fatti strada appropriandosi dei vasti spazi non governati dove le autorità sono state in gran parte assenti.
L’area nel sud-ovest nigerino, in particolare, è un punto di faglia fra le due organizzazioni jihadiste e, per questo, le popolazioni sono costantemente minacciate e taglieggiate e il territorio sfruttato dai terroristi islamici che vi operano finanziandosi con il traffico di esseri umani, armi e droga.
Il conflitto ha rappresentato una seconda crisi di confine per un paese già alle prese con gli insorti di Boko Haram nelle sue regioni sudorientali.
Jihad nel Sahel
I gruppi jihadisti hanno approfittato di una serie di condizioni sottostanti, che alimentano le rimostranze locali in tutto il Sahel. Questi includono la povertà endemica, la disuguaglianza, gli alti tassi di disoccupazione, l’analfabetismo, le divisioni etniche e il malgoverno.
L’Africa è diventata zona di operazioni dell’Isis perché il gruppo militante può sfruttare la cattiva governance e i mali endemici locali quali la disoccupazione e corruzione per ottenere sostegno e perpetuare la violenza. Inoltre, le forze di sicurezza locali sono mal equipaggiate per prevenire minacce alla sicurezza e alla stabilità.
La situazione rischia di peggiorare man mano che le nazioni occidentali ridimensionano le loro operazioni di lotta al terrorismo in Africa. Dopo quasi un decennio, infatti, la Francia ha annunciato il ritiro delle sue 5.000 truppe dal Mali entro la fine del 2021 e il gli Stati Uniti non intendono schierarsi sul terreno dove nel 2017 mentre davano la caccia ad un comandante ISIS locale, Doundoun Cheffou, hanno subito la perdita del team Ouallam.
Nazioni destabilizzate e crisi economiche, unitamente ad una popolazione giovanile in continua crescita stanno favorendo disordini sociali, terrorismo ed emigrazione di massa.
Il Niger in particolare, secondo le rilevazioni della nota organizzazione non governativa Armed Conflict Location & Event Data Project (Acled) potrebbe presto venire travolto dalle dinamiche violente dei vicini Burkina Faso, Mali e Nigeria.
Le comunità rurali hanno cercato sempre più di proteggersi istituendo gruppi di vigilantes. L’escalation di violenza nel North Tillabery contrasta con le tendenze nella vicina area di Mali, nel Mali, dove l’insurrezione jihadista Katiba Macina è riuscita a imporre il proprio dominio e a frenare i livelli di violenza contro i civili. A North Tillabery, tuttavia, la Islamic State in the Greater Sahara (ISGS), un gruppo operativamente indipendente dell’Islamic State West Africa Province (ISWAP) al momento non ha la capacità e potrebbe non avere nemmeno l’ambizione di governare la regione e la sua popolazione. Invece, il gruppo potrebbe aver deciso che l’eccessiva violenza è lo strumento migliore per sopprimere l’opposizione nascente e quindi mantenere la sua posizione di gruppo armato dominante nell’area.
L’infiltrazione di jihadisti ha peggiorato le cose. Prima del loro ingresso nella regione, le comunità e le autorità sono state in grado di calmare le periodiche riacutizzazioni, pur senza offrire soluzioni a lungo termine alle controversie locali. Dal 2015, la presenza di militanti, così come le operazioni antiterrorismo percepite localmente come mirate a particolari gruppi etnici e, secondo il International Crisis Group, hanno acuito le tensioni esistenti e alimentato forme di violenza molto più letali.
Il Presidente della Repubblica, Mohamed Bazoum, lo scorso 15 ottobre 2021, rendeva noto il suo impegno per il contrasto al terrorismo e i suoi provvedimenti di politica di difesa basati su investimenti a breve e medio termine fra i quali il raddoppio del numero di effettivi dell’esercito, la realizzazione di importanti infrastrutture per il miglioramento degli istituti di formazione e l’incremento delle capacità operative delle forze aeree con l’investimento di 15 miliardi FCFA in tre anni, il rafforzamento delle forze speciali e delle unità anfibie.
Il governo, inoltre, ha deciso di sospendere le operazioni minerarie, soprattutto auriferee, già dal 18 ottobre 2021, nella zona di Tamou nel dipartimento di Say (Regione di Tillabéri).
I funzionari governativi ora temono che il Niger possa seguire le orme dei vicini Burkina Faso e Mali, dove l’ascesa di gruppi jihadisti e vigilanti, spesso entrambi reclutati su base etnica, ha portato a una spirale perversa di omicidi tra le comunità. Sulla base di questo studio, sono nate anche numerose considerazioni sull’importanza delle soluzioni globali affrontate a livello regionale per trovare soluzioni all’impellente necessità di sostituire i flussi migratori irregolari, causa di atroci sofferenze e di estreme violazioni dei diritti umani, con canali migratori legali.
Quanto esposto evidenzia che la fascia saheliana rappresenta la frontiera del continente europeo e, di conseguenza, un punto fermo della politica di sicurezza nazionale ed europea. Gli italiani prestano poca attenzione alla politica estera e i problemi globali occupano una posizione secondaria nella gerarchia delle loro priorità. Eppure in questo caso dovrebbero assumono una certa rilevanza, come nel caso dell’immigrazione e della sicurezza dei confini nazionali.
In merito, indispettisce la mancanza cronica di un dibattito pubblico sul tema specifico e la evidente assenza delle reti pubbliche nazionali, a questo predisposte e profumatamente pagate per questo, nel proporre elementi di situazione necessari ad esprimere un consenso informato e nella valutazione democratica delle politiche del governo.
Inutile dire che il vuoto creato dalla informazione deontologicamente corretta è stato prontamente colmato dalla disinformazione e dalla propaganda delle efficientissime testate islamiste.
***Qualunque opinione o affermazione presentata in questo articolo è da ritenersi propria dell’autore e non rappresenta la posizione di alcuna organizzazione con cui lo stesso ha operato.