“Tutto è iniziato due anni fa”, spiega a Ofcs Report Simona Pisani, la donna che ha fatto perdere, involontariamente, la testa a Mohammed Kharat, l’uomo che più di 5 anni fa ha deciso di rapire sua figlia Houda Emma e portarla in Siria. Simona ci ha raccontato come è nato questo rapporto e come sia stato difficile mantenerlo per così tanto tempo. “Sono una volontaria umanitaria – spiega – distribuisco aiuti e cibo a distanza e una volta è capitato che mandassi degli alimenti ad Aleppo, nella zona dove si trovava la bambina e il padre, senza saperlo. Dopo qualche giorno ricevo ringraziamenti tramite una pagina Facebook siriana e da lì è cominciato tutto. Questa persona mi scriveva in continuazione, avevo capito che parlava bene l’italiano e ricordo di averci fatto caso perché solitamente gli arabi parlano la loro lingua o al massimo l’inglese. Dal suo modo di scrivere e di capire ciò che scrivevo avevo capito fosse stato in Italia”. Kharat, stando ai racconti della donna, cominciava a essere insistente, ossessivo e inopportuno, nonostante sapesse che lei fosse sposata e con un bambino. Arrivata a questo punto, Simona stanca e spaventata da questo uomo, minaccia di cancellarlo da Facebook. Messo alle strette il siriano le confessa, dopo tre mesi di conversazioni, di essere l’uomo che anni prima aveva rapito la figlia e l’aveva portata in Siria. “Dopo un breve periodo di ricerche, per capire di cosa mi stesse parlando – riprende Simona – mi affido ad Aurelia Passaseo, rappresentate di un’associazione per i diritti dei minori che aveva organizzato a marzo un compleanno per la piccola Emma, che era già stata rapita, mettendo metaforicamente nella torta le bombe siriane anzi che le candeline. Poco dopo ho contattato l’avvocato della signora Rossini, l’investigatore privato e i carabinieri”.
La storia vera e propria inizia adesso. Simona riceve dalla Procura della Repubblica l’ordine di continuare a chattare con l’uomo come se nulla fosse, di dare adito al siriano di pensare che tra loro potesse esserci qualcosa. Tutto questo per permettere di scoprire il più possibile su di lui e soprattutto sulla bambina. “Non ne uscivo più, era diventata una violenza – dice ancora parlando con Ofcs.report – Ogni giorno mi chiedeva di andare in Turchia da lui, di sposarlo. Mi svegliavo con i suoi messaggi la mattina e su Facebook mi aveva nominata come ‘vita mia’, postava le mie foto, gli status di WhatsApp riferiti a me. Ero diventata un’ossessione per lui”. Tuttavia, secondo Simona, le istituzioni non avrebbero messo l’impegno necessario per la risoluzione e il ritrovamento di Emma. Non è stato facile per lei riuscire a mantenere la calma anche di fronte a minacce di morte non appena decideva di smettere le loro comunicazioni. “Mi mandava foto con coltelli insanguinati dicendomi che avrei fatto quella fine se mai fossi sparita”, continua a raccontare. A quanto pare Kharat anche con lei non era ben disposto a parlare di sua figlia, poche volte hanno affrontato l’argomento ma per vie trasversali, con domande riferite ai bambini in generale. “Quello che dopo un po’ sono riuscita a scoprire, dopo discussioni e problemi, era che la bambina non era morta come diceva lui, bensì era morto il nome di Houda Emma – aggiunge Simona – Lui ha cambiato le generalità alla figlia, oltre al nome e cognome anche la data di nascita. Quindi è morto il nome ma non la persona” continua a spiegare.
In questi due anni di corrispondenza la donna ha ricevuto più foto della bambina, che sarebbero le uniche in possesso della mamma di Emma. Simona sapeva da Kharat che la bambina stava bene, era serena ma che parlava solo arabo. Il motivo, stando alle sue dichiarazioni, sarebbe perché il siriano non vuole che la figlia conosca l’italiano, si parli della madre e abbia collegamenti con il nostro Paese. “Io non credo che Emma sia stata in Siria per più di un mese. Non ha vissuto la guerra, sono sicura si trovi in Turchia o in Libano. Questo perché più volte Mohammed mi ha confessato di voler rimediare dei documenti falsi per andarsene a vivere nel Paese libanese”. L’arresto in Turchia di Kharat è avvenuto grazie a lei e al programma Le Iene, che mettendosi in contatto con Simona, hanno organizzato un finto incontro nel Paese tra lei e il siriano. “Non si è visto tutto, io e Kharat siamo stati seduti al bar a parlare per più di due ore. Due ore dove più volte ha dimostrato anche nei miei confronti atteggiamenti strani. L’Interpol non si è occupato di quello che è successo in quel momento. Dal video si vede chiaramente che la polizia turca si è fermata perché li abbiamo chiamati per strada”. Allo stato attuale l’uomo è stato arrestato per sequestro di persona e sottrazione di minore, ma della bambina ancora non si sa niente. Alla domanda se Kharat dirà mai dove si trova la figlia Emma, Simona risponde con un secco “No”. Forse lei, la donna che per due anni è stata l’unica ad avere contatti con il siriano, ha imparato a conoscerlo e sa, suo malgrado, fino a dove può arrivare. “Io sto con Alice, io e lei siamo della stessa squadra. Lo sono stata da subito e continuerò a farlo”, conclude.