La leadership dello Stato islamico, da tempo tenuta sotto pressione dai continui raid della coalizione ha formalmente comunicato ai suoi miliziani che la guerra contro i crociati sta per essere perduta. L’avanzata dell’alleanza non conosce ostacoli e a rischio sono proprio le roccaforti dell’Isis i cui combattenti non si mostrano più baldanzosi come sino a pochi mesi fa e si preparano al martirio in nome di uno stato che non c’è più.
La strategia di uscita messa a punto da al Baghdadi, ferito e sofferente, e dai suoi accoliti, prevederebbe due principali filoni operativi: attacchi terroristici su vasta scala nell’Occidente crociato e la battaglia per la Palestina, da combattersi stipulando alleanze operative soprattutto con fazioni di Hamas. La recrudescenza di attacchi terroristici condotti durante il mese di Ramadan sia in Occidente che in Medio oriente e Asia, seppur palesando una intatta capacità operativa verso l’esterno, ha comunque posto l’accento sull’incapacità del Califfato di difendere il proprio territorio con una guerra convenzionale sui campi di battaglia. Proprio la perdita di vaste aree dello Stato islamico, ha contribuito al regredire nella raccolta di fondi e nella vendita di petrolio, oltre che alla diminuzione nei reclutamenti di nuovi miliziani. È indubbio che le cellule jihadiste, sparse in almeno tre continenti, non necessitino di ulteriori forniture del Califfato per passare all’azione, e proprio questo pare essere un ulteriore segnale di allarme per le forze di sicurezza di mezzo mondo.
Sul fronte palestinese l’intelligence israeliana continua a sottolineare il consolidarsi della cooperazione tra Hamas e le cellule dell’Isis riconducibili alla Wilayat Synai, la provincia del Califfato confinante con l’Egitto. La Striscia di Gaza, da sempre spina nel fianco di Israele, parrebbe rappresentare per il Califfato una sorta di corridoio lungo il quale poter muovere agevolmente uomini e armi da nord a sud di Israele sia verso la Siria che in direzione del’Egitto. Proprio quest’ultimo solo in prossimità dell’Eid al-Fitr, la festa di fine Ramadan, avrebbe allentato i controlli al valico di Rafah permettendo l’attraversamento di circa 4500 palestinesi diretti verso la Striscia. La ventilata collaborazione con Hamas circa i controlli diretti ad evitare infiltrazioni di uomini del Califfato verso il Sinai rappresenterebbe il punto debole dell’accordo. Sembra che Hamas stia facendo un doppio gioco poiché, a fronte della disponibilità a combattere l’Isis, in realtà lo Stato islamico avrebbe ottenuto cure mediche per i suoi militanti, in cambio di armi, proprio dai filo-palestinesi avvalendosi oltretutto dei tunnel da loro scavati al confine con l’Egitto.
Le brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas, sembrano quelle più votate alla collaborazione con l’Isis, intendendo perpetuare gli attacchi condotti proprio dagli uomini del Califfato nella penisola del Sinai contro le forze di sicurezza egiziane. A Gaza molti ritengono che all’interno di Hamas si stia verificando una scissione tra la componente militare e quella politica, quest’ultima deliberatamente avversa ad al Baghdadi e seguaci.
Il Califfato è ancora intenzionato a creare un emirato islamico che possa unire la striscia di Gaza ed il Sinai in prospettiva anti-israeliana. Proprio questa è la principale preoccupazione del Mossad che in questi giorni ha collaborato con l’Idf (Israel defences forces) nel completare lo schieramento dell’esercito ai confini della Siria, sulle alture del Golan in funzione anti-Isis e come misura di prevenzione da incursioni jihadiste nello Stato ebraico.