Fra le accuse più comuni rivolte a Putin c’è quella della violazione della libertà di stampa e d’opinione, nonché di ricorso alla propaganda. Però, l’immagine che in questi giorni i media occidentali offrono del conflitto russo-ucraino sembra essere condizionata da un forte sentimento anti-russo e neanche troppo velato.
Accade allora che in una trasmissione televisiva su rete nazionale, si senta associare il Battaglione Azov (sospettato di neonazismo e parte dell’esercito ucraino) a militari italiani ed americani che, nelle rispettive forze armate, sarebbero di estrema destra e fascisti.
Preferiamo evitare di citare la trasmissione solo per non innescare bagarre. Ci lascia tuttavia sorpresi il fatto che quelle parole siano passate così in sordina considerando che, da quanto se ne sa, nessun militante dell’ Azov è caduto in Irak, Kosovo, Afghanistan, Somalia, Libano per ridare speranza a popolazioni affamate e stremate dalla guerra.
Da un giornalista italiano, inoltre, ci saremmo aspettati maggiore capacità di analisi e di soppesare le parole. Perché se la libertà d’opinione è sacrosanta, informarsi prima di fare tali affermazioni è un dovere, specie sui soldati del proprio Paese.
In verità il mantra dell’Ucraina invasa dal cattivo russo rimbalza fra media, opinione pubblica e mondo dello spettacolo. Tutti, da Sting ai giornalisti nostrani, sono schierati con Kiev senza se e senza ma.
La guerra è trattata esattamente come è stato trattato il Covid (ormai letteralmente scomparso dai palinsesti): continuo bombardamento di immagini delle vittime. Manca però il “termine di paragone”: come è vissuto il conflitto dall’altra parte? E perché in questi anni ciò che accadeva in Donbass era sconosciuto alla quasi totalità di noi?
Porsi domande non è fascista né putinista semmai lecito, seppur pericoloso: l’accusa di sostenere i russi aggressori è sempre dietro l’angolo.
Non v’è necessità di fare nomi, è sufficiente seguire una tribuna, un talk show, una diretta streaming per farsi un’idea. Chi cerca la luce in fondo al lungo tunnel di informazioni che giungono dall’est Europa è sospetto di essere un fan del Cremlino.
L’appoggio collettivo a Kiev sta assumendo, per certi versi, i contorni di una isteria di massa. Ci siamo dimenticati, infatti, che anche la Russia è un paese di fatto europeo, col quale ci siamo relazionati per decenni e con cui abbiamo sottoscritto importanti accordi commerciali… Ventitré per l’esattezza, fra il 1948 ed il 2007. Siamo addirittura riusciti a superare insieme momenti estremamente difficili o pericolosi: la crisi dei missili, le tensioni che accompagnarono Able Archer, la caduta del Muro ed il lento ritorno alla democrazia del mondo socialista.
Oggi, improvvisamente, ci accorgiamo che Mosca è il diavolo e che, con e del diavolo, nessuno deve parlare.
La storia, in verità, ci ha insegnato poco e nulla. Dopo aver rammentato che la democrazia non si esporta, dopo aver contestato duramente le guerre contro Saddam ed i talebani, ecco che buona parte dell’intellighentia nostrana sottolinea pubblicamente tutti i limiti della singolare e giovane democrazia russa, dimenticando che pure Italia ed Occidente hanno le loro limitazioni. Ad esempio, seguire trend quasi fossero dogmi: la transizione verde che ci avrebbe salvati dalla dipendenza energetica; la necessità di educare al rispetto di genere e alla tolleranza riempendo libri, film e fumetti con riferimenti all’omosessualità e ai neri; studiare la storia soltanto in base a ciò che fa comodo ricordare ed insegnare. Questa non è propaganda? La condivisione di quei valori deve essere genuina non indotta da contenuti martellanti!
E anche sotto il profilo della libera informazione, l’Italia non può certo dare lezioni. Stando ai dati di 2021 World Press Freedom Index di Reporter Senza Frontiere, infatti, occupiamo il 41° posto su 180 paesi. Tanto per dire, Costa Rica e Giamaica sono alla 5° ed alla 7° posizione…
La verità è che nel Bel Paese un giornalismo davvero indipendente è ancora lontano dal divenire, sia per i motivi sopra esposti sia per la precarietà di un lavoro che rappresenta ulteriore elemento di pericolo per una informazione davvero sana e corretta.
E, in ultimo, per la generale diffidenza che c’è nei confronti del giornalista: tutti gli si rivolgono quando vogliono apparire ma, in fondo, quanti sono quelli che realmente ne rispettano la professionalità?
Nessuna propaganda, solo realtà.