Guerra e pace, la fallace supremazia nello spirito del tempo.
I recentissimi conflitti armati in Europa orientale e in Medio Oriente vengono spesso accomunati dalla disinformazione degli stessi aggressori, per giustificare le proprie azioni e per mettere in cattiva luce l’utilizzo della violenza da parte dei Paesi che hanno scelto forme democratiche di governo; questi ultimi si difendono opponendosi, nelle parole di Bobbio, “alla cortina «ideologica» degli inganni e all’opacità del potere che li contraddistingue”.
Nel merito, la violenza esercitata contro Ucraina e Israele mette a nudo un palese progetto politico di cancellazione dei rispettivi stati e nazioni da parte di stati autocratici che, parafrasando papa Luciani, gonfiano un popolo buono, per anni, di odio.
In tale prospettiva, emerge in tutta la sua evidenza quanto Annah Arendt affermava dicendo che “ogni agire violento si svolge ai sensi della categoria del fine e del mezzo”.
Non v’è dubbio che le guerre scatenate dai regimi autocratici russo e di Hamas hanno sostituito il fine kantiano della pace con i fini della conquista o del dominio del mondo, mentre la funzione del fine di chi si difende è senza dubbio quella di arginare la violenza, riconoscendo libertà e la giustizia come fine della pace.
Gli stessi attori internazionali, statuali e non, che oggi hanno aggredito Israele e l’Ucraina sono gli stessi che, dal secolo scorso e contrariamente al detto clausewitziano, hanno anticipato la guerra con una stagione politica, durante la quale i mezzi dell’astuzia si sono provvisoriamente sostituiti agli strumenti di violenza.
Anzi, gli stessi, rovesciando la massima kantiana che “Nessuno stato in guerra con un altro deve permettersi ostilità tali da rendere impossibile la fiducia reciproca nella pace futura” hanno proposto una pace in cui non si sia trascurato nulla affinché una guerra fosse comunque possibile, evocando il vero senso di ogni agire politico violento, basato sulla sopraffazione e l’aggressione.
Dato che le nostre esperienze con le autocrazie sono fatte essenzialmente nel campo della violenza, tendiamo a considerare il fine della pace quello della deterrenza, per mantenere nei giusti limiti o arginare il corso della violenza, invece di dedicare le nostre energie alla pacifica convivenza e alla federazione di stati evocata da Kant.
Potremmo così arrivare ad ipotizzare anche una motivazione irrazionale che, nelle parole di Jung, spinge i vari autocrati, ricolmi di umana fierezza e arroganza e accecati dallo spirito presuntuoso di questo tempo, a scatenare la guerra come via per non confrontarsi con lo spirito del profondo.
In tale ottica, condivido le riflessioni di Bobbio in cui evidenziava il fatto che le circostanze di una corsa agli armamenti, in cui siamo costretti a vivere, inducono a pensare che i problemi della pace e dei diritti umani sono strettamente connessi; dalla soluzione al problema della pace dipende la nostra stessa sopravvivenza, e la soluzione del problema dei diritti dell’uomo è l’unico segno certo del progresso civile per l’umanità.