E gli Usa vanno a Canossa: Blinken incontra Xi Jinping. Alla fine i nodi sono arrivati al pettine e dopo le ennesime spacconate di questi ultimi due anni, il fallimento della controffensiva ucraina è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e il bagno di realtà, che avrebbero dovuto fare gli Stati Uniti molto tempo fa, si è tramutato in una doccia fredda.
La stampa occidentale ha voluto leggere la stretta di mano tra il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken e Xi Jinping del 20 giugno 2020, come qualcosa che ha simboleggiato e suggellato la ricerca – spacciata per bipartisan – di una tregua nella ‘guerra’ diplomatica e commerciale che le due superpotenze portano avanti ormai da anni. Peccato che ad avere ora la pressante necessità di richiederla sono gli Usa e non Pechino: quegli stessi Stati Uniti che hanno dovuto ingoiare il rospo al punto di trovarsi costretti dalla necessità contingente di prendere fiato a rassicurare formalmente e pubblicamente il presidente cinese, per bocca del loro autorevole emissario, che gli Stati Uniti non sosterranno l’indipendenza di Taiwan.
La Cina capitalizza così il lavoro certosino, diplomatico e commerciale fatto negli anni, mentre gli Usa vanagloriosamente continuavano a perseguire il sogno di un Nuovo Ordine Mondiale tutto all’insegna del primato mondiale statunitense e dello USD in un contesto che avrebbe dovuto perpetuare tutte le folli pretese, sin qui soddisfatte da alleati vassalli, valvassori e valvassini, europei e non, ad un tempo proni dinanzi ai voleri del padre padrone d’Oltreoceano (di cui hanno continuato a sposare le retoriche valoriali di stampo Occidentale assecondandolo fin nell’ultima scelleratezza rappresentata dalla politica autolesionista condotta contro Putin per tramite delle sanzioni) – e vessatori di ogni diritto altrui laddove ne hanno avuto possibilità e licenza (e poco importa che si sia trattato dell’Africa o del Balcani) per raccattar le briciole.
A far scendere con i piedi per terra gli Usa ci ha pensato il pesante debito il cui costo fino ad oggi è stato scaricato sugli ‘alleati’, e non solo per mancanza di una divisa alternativa al dollaro Usa per tutto quello che riguarda le contrattazioni mondiali relative ai prodotti energetici ed alle commodities in generale.
Più di qualcuno ha scritto, commentando l’incontro, che questa è solo una pausa, un momento di riflessione in quanto lo USD è moneta forte. Sbagliato!
Sbagliato perché la moneta ha oggi come oggi solo un valore fiduciario proprio grazie a quanto gli Usa, abituati fin troppo a fare il bello ed il cattivo tempo pensando esclusivamente ai propri esclusivi interessi, nel 1971 denunciarono unilateralmente gli accordi di Bretton Woods cassando la convertibilità del dollaro al solo scopo di scaricare il peso delle conseguenze dei loro errori politici e finanziari sui loro ‘alleati’ europei ed extra-europei: una pratica che probabilmente hanno finalmente compreso anche se, purtroppo con grave ritardo, non può essere più perseguibile.
Il declino degli Usa come potenza egemone assoluta globale è ora un dato di fatto e la mossa odierna è solo il primo passo condotto per poter, in qualche modo, provare a mantenere un ruolo da comprimario in un sistema geopolitico mondiale policentrico: e poco importa se la UE versa in gravi ambasce politiche, economiche e finanziarie.
Capiranno finalmente gli europei in quale guaio si sono cacciati da quasi un anno e mezzo?
Lo capirà Zelensky in quale drammatica situazione ha messo il suo Paese per dare credito alla Casa Bianca e continuare a millantare vittorie impossibili di una guerra che ha contribuito a provocare assecondando le mire geopolitiche di Washington?
Forse per lui il bagno definitivo di realtà giungerà il prossimo mese al vertice Nato, che nei sogni di Zelensky e dei baltici – ma solo nei loro, a quanto pare – dovrebbe decretare il varo della costruzione della sua “highway to Nato”. E ancora, lo capiranno i pappagalli europei?
C’è da sperarlo, ma ne dubito fortemente.