Gli Usa hanno eliminato Ayman al Zawahiri. Un attacco condotto sabato scorso dagli Stati Uniti con due missili ad alta precisione del tipo Hellfire R9X, condotto a Kabul, nella zona di Sherpur, ha eliminato il numero uno di Al Qaeda. Il 71enne, leader dell’organizzazione terroristica ideata dal defunto Oussama bin Laden, era rimasto la figura di maggior carisma nella rete islamista negli 11 anni trascorsi dall’eliminazione del miliardario saudita di cui era anche medico personale.
Nei mesi scorsi numerosi erano stati i videomessaggi e i comunicati, diffusi sui social network, nei quali al Zawaihri esortava i veri musulmani a colpire gli interessi occidentali e in particolare gli Usa a livello globale. Messaggi recepiti dalle intelligence globali e, nello specifico, da quella Americana che ha accelerato i tempi per l’individuazione e l’eliminazione del leader di al Qaeda informando il Presidente americano degli sviluppi sino alla conclusione della delicata operazione.
Nella conferenza stampa seguita all’operazione della Cia, Joe Biden, ha precisato che “Al Zawahiri era il leader con bin Laden. E’ stato con lui tutto il tempo, era il suo numero due, il suo vice al momento degli attacchi dell’11 settembre, era profondamente coinvolto nella pianificazione dell’11 settembre, uno dei maggiormente responsabili per gli attacchi che hanno ucciso 2.977 persone sul suolo americano”.
E sull’operazione condotta sabato ha tenuto a sottolineare che “è stata attentamente pianificata e i rischi di colpire altri civili sono stati minimizzati in modo rigoroso e una settimana fa, dopo che mi è stato detto che le condizioni erano ottimali, ho dato l’approvazione finale per andarlo a prendere. La missione è stata un successo, nessuno dei membri della sua famiglia è stato ferito e non ci sono state vittime tra i civili”.
A margine delle dichiarazioni di Biden, il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ha affermato che i talebani hanno violato palesemente gli accordi di Doha ospitando e proteggendo il leader di al-Qaeda.
Il ruolo dei Talebani
Questo mentre i talebani, per bocca del portavoce dell’Emirato islamico, condannano l’assassinio del leader di Al-Qaeda, Ayman Al Zawahiri, considerandolo una violazione della sovranità territoriale dell’Afghanistan. E in effetti, la sua presenza in compagnia della famiglia, nella casa di proprietà di Mawli Hamza, direttore dell’ufficio di Sirajuddin Haqqani e suo braccio destro rafforza ancora una volta la valutazione che la nota “rete Haqqani” i cui figli siedono nel governo afghano, continua a mantenere il regime di copertura/collaborazione con i gruppi islamisti a livello globale.
L’organizzazione di al Qaeda, indebolitasi progressivamente negli ultimi anni a favore dell’Isis, perde così numerose capacità operative e logistiche con la scomparsa di una delle menti pensanti del gruppo.
A Zawahiri si deve l’organizzazione di numerosi attacchi contro gli Usa. Oltre a quelli dell’11/9, anche quelli contro le ambasciate statunitensi di Nairobi e Dar el Salaam e contro l’incrociatore Cole.
Il medico egiziano, inoltre, è stato anche un sottile esperto di esegesi coranica con la quale emetteva “fatawa” (sentenze) di autorizzazione o giustificazione alle azioni terroristiche di al Qaeda con interpretazioni delle Sure ovviamente del tutto fuorvianti.
Sorge comunque un sospetto. Quello che i Talebani abbiano volutamente inteso fornire le informazioni agli Usa allo scopo di disfarsi di uno scomodo “alleato” e di continuare a negare il loro appoggio all’islamismo globale oltre che nei loro commerci di oppio verso i vari mercati esteri, un’attività tutt’altro che interrotta con l’avvento dell’Emirato poichè ritenuta una delle rare fonti di finanziamento per il Paese.
E in tutto ciò emerge che la morte di al Zawahiri può essere sfruttata dallo Stato Islamico per riprendere le vesta di “attore principale” del terrorismo islamico. Dall’avvento al potere dei Talebani in Afghanistan, infatti, il numero dei militanti dell’Isis è triplicato e avrebbe raggiunto le 6.000 unità.
Inizialmente stimati in 10000 unità prima della fondazione dell’Emirato islamico, il numero si era progressivamente ridotto sino a toccare la soglia dei 2000, ma i reclutamenti, le adesioni e l’appoggio logistico, hanno favorito la consistente rinascita del gruppo in Afghanistan.
Il possibile successore
Tra i candidati alla “leadership” di al Qaeda figurano quattro militanti di diversa estrazione. Il più accreditato parrebbe essere Saif al Adel, alias Muhamad Ibrahim Makkawi, o Ibrahim Al-Madani, lo sceicco rientrato dall’Iran a Kabul , dove risiedeva dal 2003, proprio in concomitanza con l’ascesa al potere dei Talebani.
Dopo le eliminazioni di Hamza bin Ladin e Abu Muhammad al-Masri, infatti, è emerso il background di Saif al Adel, sheik egiziano, già componente del “majlis ash shura” (consiglio consultivo di al Qaeda) dai tempi di Oussama bin Laden, noto per la sua profonda esperienza come leader militare, di intelligence e sicurezza nonché pericoloso pianificatore di azioni terroristiche.
Il suo vero nome è Mohammed Salahuddin Zeidan, nato Shibin al Kawm, nei pressi de Il Cairo nei primi anni ’60, ed è considerato come uno dei leader professionisti più esperti del movimento jihadista mondiale e il suo corpo porta le cicatrici delle battaglie, una ferita sotto il suo occhio destro da un guscio di illuminazione scoppio, una cicatrice sulla mano destra, un’altra al braccio riportata durante gli scontri contro i militari Usa a Mogadiscio nel 1993 che portarono al disastroso ritiro delle truppe del contingente internazionale dalla Somalia.
Altri tre personaggi candidati alla successione sono Abdal-Rahman al-Maghrebi, nato nel 1970, programmatore di software e gestore di al Sahab, ala mediatica di al Qaeda; Abu Ubaydah Yusuf al Anabi, alias Yazid Mebrak, nato nel 1969 in Algeria, numero due di Al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM) e Sheik Ahmed Umar, in somalo Axmed Cumar, alias Ahmed Diriye, nato a Ceelbuur in Somalia nel 1972, leader di al-Shabaab dalla morte di Ahmed Abdi Godane, avvenuta nel settembre 2014.
Qualunque sia l’avvento di un nuovo leader, al Qaeda, così come l’Isis, hanno necessità di recuperare visibilità, anche agli occhi dei possibili seguaci che potrebbero unirsi nelle loro fila. Infatti, se è vero che soprattutto l’Isis sta mettendo a segno attacchi a ripetizione nelle zone del Sahel, questi non ottengono la stessa risonanza mediatica di quelli contro il moderno Occidente. La necessità di “apparire” è fondamentale per ogni gruppo terroristico, sia esso di matrice religiosa, politica o etnica. È lo strumento attraverso il quale si ottengono lauti finanziamenti, appoggi logistici, approvvigionamenti di armi e si avviano campagne di reclutamento sia via web, che presso i locali campi di addestramento. Da qui il reale rischio di una nuova escalation che potrebbe vedere la “gara” tra Isis e al Qaeda alla riconquista della ribalta internazionale.