La Georgia alla ricerca del sogno europeo. In molti ancora si chiedono quale sarebbe stata oggi la geografia dell’Ue se il vertice di Bucarest del 2008 avesse avuto un esito diverso, accompagnando nel contempo la Georgia e l’Ucraina verso l’adesione alla Nato. È possibile, ma non scontato, che l’Occidente avrebbe potuto rispondere all’invasione della Georgia da parte della Russia con più che semplici dichiarazioni di solidarietà, e quasi certamente, l’Ucraina sarebbe stata risparmiata dall’abisso in cui è precipitata. In ogni caso è stata proprio per la profonda solidarietà mostrata dall’Occidente che si è aperta una storica finestra di opportunità per la Georgia (Ucraina e Moldavia compresa) con la possibilità di accelerare il processo di integrazione all’Unione Europea. Tuttavia, anche se i tre paesi sono stati a lungo visti come un unico gruppo, solo a Kiev e Chisinau è stato concesso quasi subito dalla Commissione europea lo status di candidati effettivi, mentre Tbilisi ha dovuto attendere fino allo scorso dicembre questo riconoscimento.
Nel 2008-2009 alcuni funzionari di Tbilisi lanciarono l’allarme alla Comunità Internazionale che quanto avvenuto in Georgia con l’invasione da parte della Russia e il furto delle terre georgiane, avrebbe potuto ripetersi anche in Ucraina. L’impunità della Russia avrebbe generato senza dubbio ulteriori atti di aggressione contro altri paesi, ma gli stessi politicanti furono liquidati senza mezzi termini dall’Occidente come paranoici o preoccupati esclusivamente della propria poltrona e sopravvivenza politica.
Oggi la storia ci rimarca questo parallelismo tra i fatti di Georgia e le vicissitudini dell’Ucraina, se non altro per il medesimo modus operandi di Mosca. Da una parte le regioni separatiste dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia che cercavano una loro illegale indipendenza da Tbilisi, profondamente sostenute da molto tempo dal governo russo, sia in termini economici che militari, dall’altra le regioni ucraine del Donbass e della Crimea presto annesse dalla Russia.
È stata poi un’inchiesta del 2009 da parte dell’Ue che ha rivelato ineccepibilmente che, nonostante fosse stata la Georgia a dare inizio alla guerra, fu proprio la Russia ad aver provocato e logorato in maniera insistente Tbilisi per un lungo periodo di tempo.
Nella “guerra dei cinque giorni” perirono quasi 850 georgiani, mentre altre 35.000 famiglie rimasero senza casa.
Quando poi Mikheil Saak’ashvili nel 2012 perse la sua partita politica, la Georgia si ritrovò in un immobilismo politico e sociale, e fu quasi additata dai governi occidentali di voler rallentare essa stessa il progresso ed il processo democratico, nonché il viaggio verso l’integrazione europea. Alcuni segnali erano emersi in maniera inconfutabile, come il boicottaggio di progetti strategicamente importanti per la Nato nella regione del Mar Nero (es. il porto di Anaklia Deep Sea) o il tiepido interessamento dei governanti georgiani per ciò che stava accadendo in Ucraina. Sembrava quasi che il governo filo-occidentale di Saak’ashvili fosse stato sostituito da una strisciante oligarchia filorussa.
Ma anche tutt’oggi si respira questa incomprensibile discrasia politica. Se da una parte il Georgian Dream riveli nelle attese di essere impegnato nel raggiungimento dell’integrazione con l’occidente, d’altro canto lo stesso partito al governo sembra non volersi impegnare appieno nel rescindere questo cordone ombelicale con la Russia.
Abbiamo parlato con Mariam Nikuradze, giornalista indipendente di Tbilisi, co-fondatrice e co-direttrice del quotidiano OC Media, con oltre un decennio di esperienza al suo attivo, appassionata di uguaglianza di genere e diritti dei lavoratori, e oggi profondamente impegnata nel portare sotto i riflettori internazionali lo stato di fatto del sogno europeo della Georgia.
I fatti lo dimostrano anche in una mancanza di presa di distanza netta da Mosca rispetto agli eventi dell’Ucraina, secondo lei perché questa costante retorica da parte del partito al governo e del Primo Ministro Irakli Kobakhdize?
“La verità è che il Georgian Dream non è più impegnato verso l’integrazione nell’Ue. Il governo della Georgia ha cambiato completamente politica estera dopo il 24 febbraio, a seguito dell’invasione su larga scala dell’Ucraina. Ha abbandonato il percorso filo-occidentale e ha imboccato la strada che favorisce la Russia, come emerge chiaramente dalle sue dichiarazioni, dalle sue azioni di pressione sui media, sulla società civile e sull’attivismo, oltre a ignorare totalmente le raccomandazioni che l’Ue ha stabilito che la Georgia debba soddisfare per ottenere lo status di candidato. L’Ue ha rifiutato alla Georgia lo status di candidato dopo la prima richiesta; mentre la seconda volta, a dicembre, è stato chiarito che lo status è stato concesso alla Georgia, non a causa delle azioni del governo, ma grazie al popolo georgiano che ha dimostrato in numerose occasioni di essersi impegnato nel percorso di integrazione nell’Ue e che circa l’80% dei georgiani desidera un giorno entrare nell’Ue. La situazione attuale è che il Georgian Dream ha voltato le spalle agli Stati Uniti e all’Ue, mentre i cittadini si sono impegnati a proteggere il futuro della Georgia e sperano nel sostegno dell’Occidente”.
Si assiste di recente in tutto il paese ad imponenti fiumi di protesta in piazza, a causa della così detta “legge sugli agenti stranieri”. In questo frangente si sono anche verificate diverse restrizioni contro i giornalisti e media indipendenti che hanno cercato di accedere alle sedi parlamentari ed assistere ai lavori. Questa controversa legge richiede che le organizzazioni che ricevono oltre il 20% dei loro finanziamenti da fonti estere vengano registrate come agenti stranieri, una misura che costituirebbe di fatto una minaccia latente sia all’indipendenza dei media che delle organizzazioni civiche. In molti poi la considerano quasi un mezzo di intimidazione, in aperta violazione delle aspirazioni della Georgia di aderire all’Unione Europea. Qual è la situazione attualmente?
“Questa legge non è solo una minaccia, ma significa sicuramente che i media indipendenti e le grandi organizzazioni come Transparency International o la Young Georgian LAwyers ASsociation, ecc, alla fine chiuderanno tutti. Se ci si registra, c’è uno strumento nella legge che permette al ministero della Giustizia di paralizzare le nostre operazioni; se non ci si registra, le multe sono così alte che alla fine si arriverà alla chiusura. La situazione attuale è che il Presidente, Salome Zurabishivli, ha posto il veto sul progetto di legge e ci aspettiamo che il partito al governo ‘Sogno Georgiano’ ribalti il suo veto la prossima settimana. Se ciò accadrà, la legge potrebbe entrare in vigore nel mese di agosto, ma le cose potrebbero cambiare nella settimana successiva. Stamattina gli Stati Uniti hanno presentato il primo pacchetto di sanzioni, che potrebbe avere qualche risultato, forse lo vedremo la prossima settimana. In Georgia sono in corso proteste contro la legge. In ogni caso, se la legge entrerà in vigore o meno, molto dipenderà anche dalle prossime elezioni parlamentari dell’ottobre 2024. Sarà molto difficile per il partito al potere vincere, quindi potremmo aspettarci dei brogli alle elezioni e quindi ulteriori disordini nel Paese”.
A distanza di sedici anni dalla fine della guerra, mediata dall’Ue, continuano a permanere nelle province separatiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, continue discriminazioni ed abusi contro cittadini georgiani per motivi etnici, comprese le restrizioni alla loro cultura, alla libertà di movimento, istruzione, residenza e proprietà. Altresì ha generato sdegno la decisione dei governi indipendentisti di sostituire nelle scuole di entrambe le regioni occupate, l’insegnamento della lingua georgiana con il russo. La comunità internazionale invoca con forza di consentire l’accesso pieno e senza ostacoli delle organizzazioni internazionali per i diritti umani nelle regioni georgiane dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Finora quali sono stati i risultati di queste richieste? Ci sono stati degli sviluppi?
“Negli ultimi anni non è cambiato molto in questo senso, almeno non dopo il cambiamento della politica estera del Georgian Dream. L’unico contesto in cui si parla di Abkhazia e Ossezia del Sud è la narrazione propagandistica del governo secondo cui l’Occidente vuole aprire un secondo fronte in Georgia”.