Oggi alle Nazioni Unite si è svolto il dibattito semestrale sulla Bosnia e Erzegovina e il nuovo Alto Rappresentante per la BiH, Christian Schmidt, ha illustrato l’ultimo rapporto dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR).
La situazione non è certo rosea. In particolare, il processo decisionale nel governo centrale bosniaco è stato bloccato dai serbi bosniaci che si oppongono a una legge, decretata il 22 luglio dall’allora supervisore della pace internazionale Valentin Inzko, che criminalizza la negazione del genocidio e dei crimini di guerra. Respingendo questa legge Dodik ha trovato il modo per stabilire che la legislazione a livello statale non sarebbe stata applicata nella Republika Srpska (RS).
La crisi politica si è aggravata all’inizio di ottobre, quando il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik ha annunciato, l’8 ottobre, che la RS si sarebbe ritirata dalle principali istituzioni comuni, tra cui il sistema giudiziario, l’autorità fiscale e le forze armate e il 14 ottobre ha dichiarato di godere del sostegno dei cinesi e ha ammesso di aver interpellato i vertici russi per sondare la loro disponibilità a sostenerlo finanziariamente nel caso di rottura con le istituzioni europee.
Al contempo e nonostante la formazione di un gruppo di lavoro intergovernativa per discutere i cambiamenti elettorali, i nazionalisti croati vogliono cambiare le regole in modo che solo i croati possano votare per il membro della presidenza croata. Tuttavia, ciò richiede un emendamento costituzionale, sollecitato dall’OSCE; lo stesso, peraltro, andrebbe approvato entro la fine del 2021, poiché in ottobre 2022 si terranno le elezioni parlamentari e presidenziali e non sono quindi ammesse variazioni normative.
Il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, in combutta con l’HDZ croata e incoraggiato da Zagabria e Belgrado, ha intensificato il suo decennio e mezzo di attacco all’ordine costituzionale del paese del dopoguerra, annunciando passi significativi delle istituzioni della Republika Srpska verso la secessione di tale entità dalla Bosnia-Erzegovina. Una svolta radicale in chiave etno-nazionalistica, che inizierebbe con il ritiro di Dodik dall’ordine costituzionale stabilito dall’Allegato 4 dell’Accordo Generale di Pace e l’abbandono dell’attuazione civile dell’Accordo elencato nell’Allegato 10.
Il leader serbo bosniaco è convinto, seguendo una linea ampiamente sostenuta dalla diplomazia russa, che se la politica internazionale ha accettato l’indipendenza del Kosovo, prima o poi accetterà la secessione della Republika Srpska, una volta superato l’ostacolo rappresentato dal distretto di Brcko.
Con il voto oggi alle Nazioni Unite, si profilano 2 scenari, uno massimalista e uno attendista entrambi incardinati sulla posizione russa, sostenuta alle nazioni Unite anche dalla Cina, che non ha mai nascosto la sua avversione all’ingerenza nelle questioni interne, di trovare una soluzione politica negoziata all’interno del Paese attraverso un accordo mediato fra le parti piuttosto che con una imposizione esterna ad opera dell’OHR, che non rappresenta il termine centrale nella Cabala della tradizione mistica ebraica, ma l’ufficio dell’Alto Rappresentante della Comunità Internazionale che sovrintende gli accordi di pace.
Preoccupa la posizione massimalista a cui Dodik potrebbe tendere evocando un esempio sofisticato di guerra ibrida basato sulla convergenza di iniziative politiche, economiche e diplomatiche che si inquadrano in un più ampio contesto che già da tempo sta avvelenando il discorso politico e i rapporti sociali della popolazione, attraverso campagne informative distorte attraverso i mezzi di informazioni e le piattaforme social.
Aggregando i dati è apprezzabile una linea di tendenza che ripropone eventi accaduti in ottobre 1991 e conduce, inevitabilmente ad un assetto politico finale a cui avrebbero teso anche le dinamiche interrotte nel 1995.
Un entità malevola potrebbe, con poco sforzo, istigare disordini e manifestazioni violente, anche con l’uso di mercenari, seguendo tempi, luoghi e logiche già sperimentati con la rivoluzione dei tronchi (Balvan revolucija). Gli stessi vedrebbe il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, in combutta con l’HDZ e incoraggiato da Zagabria e Belgrado, puntare sulla annessione della RS alla Serbia e la Croazia, a guida ormai erzegovese, punterebbe all’annessione dei territori del Cantone dell’Erzegovina Occidentale (in croato Zapadno-hercegovačka županija) a partire da Ravno dove intolleranza e ripetuti incidenti rinnovano il dolore della guerra e dove già ora non vi sono controlli in frontiera a Metković!
Entrambe le modifiche dei confini, naturalmente, avverrebbero dopo un referendum illegale simile a al Referendum sull’autodeterminazione della Crimea del 2014. Anche in tale eventualità, l’OSCE non parteciperebbe considerando il referendum illegale nella forma, analogamente a quanto avvenne il 16 marzo 2014.
La condiscendenza, più o meno palese, dei Paesi occidentali non scoraggia certo un simile disegno criminale, che non si allontana molto dai canoni ormai consolidati di una pericolosa tipologia di conflittualità che si sta affermando con sempre maggior assertività nelle relazioni internazionali.
Citando il titolo di un celebre articolo di Aljazeera, che, a sua volta, ne riprendeva uno dell’Economist: “Lo scambio di territori nei Balcani aprirebbe le porte dell’inferno”.