Il movimento islamico palestinese di Hamas, da lunedì scorso, ha un nuovo leader nella Striscia di Gaza: Yahya Sinwar. Sinwar (55 anni) prenderà il posto di Ismail Haniyeh, primo ministro di Gaza dal 2007, candidato ad assumere la leadership dell’ufficio politico del gruppo palestinese, oggi ricoperta da Khaled Meshaal, attualmente in esilio in Qatar. Sinwar proviene dal braccio armato di Hamas, le Brigate Ezzedin al-Qassam, e nel 2015 è stato inserito nell’elenco dei terroristi internazionali stilato dagli Stati Uniti. Arrestato dalle autorità israeliane nel 1988 e condannato all’ergastolo, è stato liberato nel 2011 in seguito a un accordo per lo scambio di circa mille prigionieri palestinesi, in cambio del rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit. Il nuovo leader di Hamas a Gaza è visto come “un sostenitore imprevedibile della linea dura contro Israele”, precisa il quotidiano locale Time of Israel mentre per Haaretz è considerato un “estremista” anche all’interno dello stesso movimento palestinese.
Laureato in arabo, Sinwar è nato nel campo profughi di Khan Younis, a sud di Gaza. Il nuovo leader di Hamas ha fondato il Majd, uno dei servizi segreti del movimento palestinese che governa la Striscia. Le elezioni che hanno portato alla nomina del nuovo leader del movimento palestinese sono state condotte a partire dall’inizio di gennaio scorso in quattro “circoscrizioni”: Gaza, Cisgiordania, palestinesi in esilio e detenuti nelle carceri israeliane. La scelta di Sinwar, secondo la stampa di Tel Aviv, sarebbe la prova della supremazia di cui attualmente gode il braccio militare del movimento rispetto a quello politico. Si tratta – si legge su Time of Israel – di un “falco” all’interno di Hamas contrario a qualunque compromesso sia con l’Autorità nazionale palestinese (Anp) che con Israele. Secondo il quotidiano britannico The Guardian, la scelta di una figura come Sinwar “aumenta i timori che Israele e Hamas possano confrontarsi quanto prima in un nuovo conflitto mortale”.
In effetti, l’elezione di Sinwar giunge in un momento di tensione crescente su entrambi i fronti di Gaza. Nelle ultime settimane, razzi provenienti dalla Striscia sono caduti in territorio israeliano, provocando l’immediata risposta armata di Gerusalemme. Lo scorso 8 febbraio, Hamas ha diffuso sul web un cartone animato di tre minuti in cui minaccia attacchi contro obiettivi israeliani militari e civili. Nel video un coro che canta in ebraico promette che “i missili arriveranno ai sionisti dovunque si trovino”. Ma ancor prima forse, per Hamas prioritario è il tema della riconciliazione con al Fatah, il partito laico del presidente Mahmoud Abbas. Nonostante i summit di questi ultimi anni nelle varie capitali arabe e il nuovo accordo raggiunto lo scorso gennaio per un governo palestinese di unità nazionale, un mondo politico palestinese coeso appare, al momento, sempre più irrealizzabile: Ramallah e Gaza continuano a farsi guerra a suon di dichiarazioni, arresti e misure concrete. E nessuna delle due parti sembra voler dire ‘basta’
Non va meglio in Israele, dove a una settimana dall’approvazione del disegno di legge che legalizza retroattivamente gli insediamenti ebraici nei territori palestinesi (Regulation Law), il dibattito resta ancora infuocato. Intervenendo lunedì mattina alla 14esima Conferenza annuale di Gerusalemme, il presidente Reuven Rivlin ha criticato il nuovo testo normativo spiegando che non è possibile applicare leggi in aree su cui Israele “non ha ancora deciso di esercitare la propria sovranità”. Diametralmente opposto, l’intervento alla conferenza del ministro dell’Istruzione di Tel Aviv e leader del partito della destra religiosa, Habayit Hayehudi, Naftali Bennett, promotore del provvedimento, che a gran voce ha ribadito il ‘no’ della propria compagine politica alla soluzione dei due Stati: “Uno stato palestinese – ha dichiarato Bennett – ci inonderebbe di profughi e discendenti di profughi; dopodiché, con milioni di palestinesi dentro Israele, non potremmo più essere né ebraici né democratici”.
Quanto alle implicazioni a livello internazionale della Regulation Law, nella serata di lunedì il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha annullato il summit previsto a Gerusalemme per il prossimo 10 maggio. La ragione ufficiale per la cancellazione della visita sarebbe quella delle elezioni di settembre in Germania, ma secondo Haaretz un’altra delle motivazioni, se non la principale, è l’insoddisfazione di Frau Merkel per la nuova legge approvata dallo Stato ebraico. Negli Stati Uniti, intanto, c’è grande attesa per l’incontro alla Casa Bianca tra il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e il presidente Donald Trump previsto in giornata. Bibi è atterrato a Washington martedì mattina con un’unica preoccupazione, la sua, quella di sempre: la sicurezza di Israele prima di tutto.
@RosariaSirianni