Gaza: l’orrore di una nuova Shoah.
L’ennesimo macabro show proposto ieri mattina dei nazisti islamisti di Hamas ci riporta con la mente alle immagini drammatiche dell’apertura dei cancelli di Auschwitz Birkenau il 27 gennaio del 1945. Quel giorno l’Armata Rossa documento con immagini sconvolgenti le condizioni dei sopravvissuti alla fame, al freddo e alle violenze del campo di sterminio nazista.
Ieri l’emittente del Qatar, Al Jaazera, fortemente collusa con la milizia terrorista e che da anni rappresenta un elemento determinante del rilancio della propaganda palestinese, ha fatto entrare nelle nostre case, nelle piazze di Israele riunite per assistere al rilascio dei deportati rapiti l’orrore di tre uomini emaciati, ridotti a miseri corpi esausti e smagriti, volti sofferenti, occhi infossati, ossa incavate, gli sguardi di chi ha sofferto ogni pena possibile in questi 16 mesi di reclusione e consapevoli di quanta angoscia dovranno portare ancora nel cuore, nel ricordo di quanto accaduto il 7 ottobre a loro e alle loro famiglie sterminate dalla furia omicida delle nuove SS palestinesi. E quelle felpe numerate con le quali i terroristi li hanno riportati al mondo, quel simbolo atroce che ricorda i numeri dei tatuati ebrei nei campi di sterminio a rappresentare un messaggio chiarissimo all’intera umanità.
Hamas dichiara ufficialmente di essere prosecutore del pensiero e delle azioni di Adolf Hitler.
Lo stesso odio profondo verso il popolo ebraico che nulla ha a che fare con la lotta per ottenere un proprio Stato, difendere i propri confini e rivendicare la propria terra. Non è assolutamente questa la posta in palio.
Del resto la carta statutiva di Hamas rivendica chiaramente la volontà di eliminare gli ebrei dalla faccia della terra e con loro il resto degli infedeli, coloro che non si piegano al dominio islamico del mondo.
Se Hitler aveva messo nero su bianco nel Mein Keimpf la volontà di eliminare il popolo ebraico, Hamas lo ha scritto nel suo statuto.
E quella mano viscida e unta di orrore che il terrorista di Hamas stringe in maniera così lasciva, quasi complice, all’esponente della Croce Rossa é un altro elemento che ci riporta indietro di ottant’anni.Gaza come Terezin.
Una organizzazione internazionale che dovrebbe occuparsi di tutelare i diritti di chi viene detenuto con la forza e con la costrizione perché vengano rispettati i requisiti minimi di umanità e che in questi 500 giorni è stata silente e assente sui rapiti israeliani deportati Gaza, così come le altre Ong allo stesso modo latitanti.
Le storie struggenti di Ohad, Or ed Ely sono racchiuse in questo abbraccio di Or alla figlia, rimasta orfana della madre assassinata il 7 ottobre e lontana dal papà in questi mesi tremendi di prigionia.
Quell’abbraccio che Eli non potrà più dare alla moglie e alle figlie di 13 e 16 anni uccise brutalmente in quella giornata di festa e di Shabat di ottobre.
Entrambi questi uomini hanno scoperto solo ieri pomeriggio della morte dei loro cari e questo aumenta ancora di più il carico di angoscia e di dolore.
Dei tre il solo Ohad è potuto tornare a rivedere la moglie,anche lei rapita e liberata dai nazisti islamisti qualche mese fa in uno dei primi scambi di prigionieri.
Quale potrà mai essere il futuro di questi uomini e donne che hanno visto l’orrore e sono stati sospesi tra la vita la morte per un anno e quattro mesi?
Quali le ferite dell’animo che non si potranno ricomporre,come è stato allo stesso modo per i sopravvissuti dei campi nazisti?
E quale lo spirito di un popolo e di un paese,Israele, in lotta costante per la sua sopravvivenza da ottant’anni e che non riesce a trovare pace in assenza di un interlocutore che la voglia sinceramente e non ne voglia l’eliminazione a prescindere?
Con questi presupposti se le nazioni del mondo non prenderanno su di esse il carico di farsi garanti di un accordo stabile e definitivo per quell’area e che protegga Israele dall’odio e dalla volontà di sterminio dei suoi vicini difficilmente l’attuale tregua potrà diventare una vera pace.
Israele sa difendersi e reagire da sola, ma questo non può più bastare.