Una storia di tira e molla con gli Usa, l’amore-odio con il Vaticano e la vita parallela con Mosca. Si può riassumere così il rapporto del Lider Maximo con l’estero. Dopo la caduta di Fulgencio Batista nel 1959, a opera dei barbudos guidati militarmente da Ernesto Guevara e politicamente da Fidel Castro, Cuba diventa l’ennesimo laboratorio del socialismo reale al potere, dopo Mosca e parecchie realtà del Sud Est Asiatico, fra queste lo sarà Saigon.
Sarà l’esperimento più lungo, tecnicamente non ancora finito visto il passaggio di consegne avvenuto da tempo fra Fidel e Raul.
Durante questi oltre 40 anni il Lider Maximo ha improntato la sua politica estera su una collaborazione con l’Unione Sovietica, salvo ammorbidirla con la caduta del muro nell’89. Fronde di antagonisti, gli esuli negli Usa, gli contestano di non aver mai rispettato i diritti umani. Questi vanno a ingrossare le file degli oltranzisti repubblicani. Basti pensare all’infiltrato esule da Cuba che venne utilizzato dal comitato per la rielezione di Nixon nell’effrazione al Watergate.
Da qui i rapporti tesi con i vicini Stati Uniti. Da un iniziale clima tiepidamente diplomatico si arriva al grande freddo dopo che nei primi anni Sessanta l’Havana adotta il socialismo. Il primo risultato: le concessioni petrolifere cessano immediatamente di essere di proprietà della Casa Bianca. Da lì comincia il grande freddo. Eisenhower snobba, almeno finge di farlo, Castro per una partita a golf. Ma lascia Nixon in sua compagnia. Per il futuro presidente, che sarà coinvolto nello scandalo Watergate, Fidel è “naif”, non gli sembra nemmeno comunista.
I rapporti con Mosca si fanno più intensi. Negli anni Settanta il Pil cubano è rappresentato in massima parte da entrate dalla Russia. Ed è solo la spia di un rapporto sempre più sbilanciato verso Est. Castro incontra Krushev e Gagarin. Offre a Mosca un appoggio missilistico che crea grossi problemi alla Casa Bianca. Il braccio di ferro fra Mosca e Washington finisce con miracolo storico. Decenni dopo si scoprirà che un capo nostromo russo evitò il lancio dei missili dalla portaerei americana che stava entrando nello spazio marittimo cubano.
La tensione comincia a sgretolarsi dopo la caduta dell’alleato russo fino al disgelo avvenuto lo scorso anno. La visita di Obama e la fine dell’embargo decretano l’uscita dal protezionismo e una parabola, quella del socialismo, in discesa. Decisivo un argentino anche questa volta, come nella Revolucion: Papa Francesco. Un lavoro durato anni a tessere relazioni che sembravano insperate fra il gigante capitalista e l’isola del socialismo reale.
Controversi i rapporti con la Chiesa . Nel ’98 Castro incontra Giovanni Paolo II che non sarà in visita di piacere a Cuba. Viene rivendicata la libertà religiosa davanti a Fidel che in gioventù ha avuto una educazione gesuita. Rumours sulla scomunica fatta dal Papa Buono, Giovanni XXIII, si addensano negli anni dell’attività amministrativa a L’Havana. Ma non verrà mai confermata la scomunica conseguente all’ateismo di stato, una regola nella Russia comunista ma non nella Cuba castrista.
Una storia fatta di luci e ombre, quella di Castro in politica estera. Un gigante del Novecento, la cui entrata sul palcoscenico dei grandi della Terra fu in quel discorso all’Onu nel 1960 quando portò la rivoluzione davanti al mondo. Cosa che gli valse un rapporto privilegiato con l’America Latina, su tutti un legame quasi di eredità con il Venezuela di Chavez.