In Etiopia 15 persone sono state arrestate per aver pianificato di colpire l’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti ad Addis Abeba e quella degli Usa a Khartoum. L’operazione risale alla metà del mese di gennaio. Il National Intelligence Security Service dell’Etiopia ha lavorato in stretta collaborazione con la controparte sudanese individuando il gruppo di terroristi e risalendo ai pagamenti da loro ricevuti dall’Iran per lo svolgimento dell’operazione, come riferito dall’Agenzia di stampa etiope (EPA) che cita fonti di intelligence locali.
Alcuni tra i 15 sospetti arrestati sono stati filmati mentre ricevevano denaro dai loro sponsor, mentre in altri video sono stati ripresi durante le ricognizioni effettuate presso le ambasciate israeliana, americana ed emiratina in Etiopia.
Numerosi appartenenti alla cellula terroristica fruivano della doppia cittadinanza, ottenuta da alcuni Paesi europei, e di quella iraniana. Con questi passaporti sono riusciti a effettuare vari spostamenti tra Sudan, Etiopia, Iran e Svezia.
Proprio nel Paese scandinavo è stato fermato Ahmed Ismail, la mente del gruppo terroristico a seguito dello scambio di informazioni tra i servizi di sicurezza europei, africani e asiatici.
La cellula operativa era guidata sul campo dal 35enne Ali Ahmed Adaito, anch’egli tratto in arresto.
Gli esplosivi, le armi da fuoco e tutto il materiale relativo a documenti personali, ricevute e biglietti aerei, sono stati sequestrati nell’ abitazione di un altro terrorista arrestato, Mohammed Abdulkedir, come riferito nel comunicato del NISS.
Da quanto sinora emerso, gli agenti sono stati inviati in Etiopia dopo l’addestramento ricevuto in Iran allo scopo di raccogliere informazioni sui siti selezionati per un attacco terroristico e, da Addis Abeba, un gruppo si è mosso verso Khartoum per effettuare ricognizioni all’ambasciata americana in Sudan.
L’ombra di Teheran
Come già evidenziato, anche l’ambasciata israeliana in Etiopia era tra gli obiettivi pur essendo comunque già in allerta negli ultimi due mesi a causa dei timori di un potenziale attacco iraniano.
Funzionari israeliani hanno confermato che l’Iran era dietro il tentativo di attacco alle ambasciate, in rappresaglia per la morte del generale Qassem Soleimani e dello scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh avvenute lo scorso anno.
Venerdì scorso un’esplosione ha scosso l’ambasciata israeliana a Nuova Delhi, in India, danneggiando alcune auto ma senza causare vittime. Le autorità israeliane hanno trattando l’evento come un sospetto attacco terroristico diretto all’ambasciata e hanno intensificato le misure di sicurezza nelle missioni di tutto il mondo, peraltro già in allerta da novembre dopo l’eliminazione di Fakhrizadeh. Una nota scritta a mano trovata sulla scena dell’attentato ha rivendicato la responsabilità a nome di un gruppo precedentemente sconosciuto che si identificava come “India Hezbollah” e palesava l’attacco come una ritorsione per le uccisioni di Soleimani e Fakhrizadeh. Secondo i media indiani, la polizia ha compiuto alcuni arresti di cittadini iraniani a Nuova Delhi sottoponendoli a interrogatorio. Si tratterebbe di agenti del Vevak operanti da tempo in India sotto la supervisione della leadership iraniana.
Un comunicato della polizia ha descritto l’esplosione di venerdì come causata da un “dispositivo improvvisato a bassissima intensità” che ha fatto esplodere i finestrini di tre auto e ha sottolineato che dalle indagini preliminari è emerso che l’attentato è considerato come una sorta di “avviso inviato a Israele”.