Chi non ha avuto ancora modo di leggere l’articolo di ieri Eskol Nevo, sulle pagine del Corriere della Sera, se veramente ha voglia di capire quello che sta accadendo dentro Israele e nella mentalità israeliana non può non recuperarlo e leggerlo.
Eskol Nevo, sabra, nato in Israele nel 1971 è una delle voci più brillanti della narrativa israeliana di questi anni. Come molti scrittori del suo paese non ha mai mancato di essere voce critica e mente analitica della società israeliana e delle politiche dei suoi governi.
La lucidità con la quale racconta il suo rientro in Israele dall’Italia, dove si trova per tenere un ciclo di lezioni agli studenti della Scuola Holden di Torino, nelle ore successive al massacro del 7 ottobre e la descrizione di quanto da lui visto, ascoltato e percepito non solo nella sua cerchia ristretta di amicizie ma osservando il paese dal momento del suo atterraggio a Tel Aviv, sono lo specchio di una realtà tragica ed allo stesso tempo ricca di umanità e di significati.
Israele è un paese che da un mese è in lutto.
Israele è un paese traumatizzato che attraverso gli avvenimenti di quella giornata infernale e delle successive ha rivissuto e rivive i momenti più nefasti della storia del popolo ebraico, dai pogrom al nazismo.
Israele è anche un paese dove non vi è una famiglia che non sia stata colpita tragicamente dal terrorismo e dalla guerra.
Una nazione che però, proprio attraverso un evento tristemente epocale come quello che sta vivendo, si è ricompattato, ha trovato quella forza e quella unità di intenti che nell’ultimo anno, soprattutto, con le proteste continue e le divisioni riguardo l’operato del governo, aveva smarrito.
Quello spirito sionista delle origini che sembrava perduto ora, come racconta lucidamente lo scrittore, è tornato vivo nei cuori e nelle menti dei giovani e dei meno giovani israeliani, consapevoli che il loro paese, mai come in questi giorni drammatici, rischia per la propria sopravvivenza.
Come descrive Nevo le diverse tribù d’Israele si sono riunite, con un cuore solo ed una mente unica e questi tanti commentatori dei talk show nel nostro paese non riescono a comprenderlo.
Sentiamo e assistiamo quotidianamente a trasmissioni e dibattiti televisivi dove si disserta di tante questioni e si raccontano fatti, soprattutto con un occhio benevolo e compiacente verso il dramma palestinese e quanto accade a Gaza.
Non si prende minimamente in considerazione quello che avviene in Israele e tra la gente di Israele, gli ostaggi sono un flebile pensiero, i 1400 massacrati un lontano ricordo.
Sentiamo i nostri soloni dell’informazione sproloquiare su un paese che non conoscono, che non capiscono e che non vogliono capire, un pò per negligenza, molto per malafede e pregiudizio.
La Israele descritta da Eskol Nevo è una nazione che nel dolore ha ritrovato fierezza e coesione, una democrazia che sarà pronta a tempo debito a fare i conti con i propri governanti e con gli errori commessi dai propri statisti e dai servizi di sicurezza, ma non è questo il momento.
Per Israele questo è il momento di sconfiggere Hamas, è il momento purtroppo di rischiare la vita dei propri giovani perché altri ne vengano al mondo in un paese libero e sicuro.
Dai giovani di leva ai riservisti, dai soldati semplici agli ufficiali, tutti sentono il peso della responsabilità di una guerra che non vorrebbero fare ma che è necessaria e vitale per la sopravvivenza della nazione e del proprio popolo.
Della propria gente hanno l’appoggio totale ed incondizionato. Israele non ha “solo” il proprio esercito al fronte, Israele ha i propri figli al fronte e sono il bene più prezioso.
Non si può pensare ad un futuro per il Medioriente, per il popolo palestinese e per il popolo di Israele dove sia presente Hamas.
Il 7 ottobre non permette più che possa esistere in quell’area di mondo una forza di ispirazione nazista e la guerra di Israele non ammette pareggi o risultati alternativi. La guerra dovrà andare avanti fino alla sconfitta definitiva di questa banda criminale ed i nostri opinionisti, quelli che passano la giornata a dare “lezioni morali” ad Israele e a farsi portatori radical chic del loro verbo fintamente buonista, ma in realtà perfido e ghignante verso Israele, dovranno farsene una ragione.
La guerra finirà quando Hamas finirà.
E se questa tesi é avvalorata anche da voci severe ed autorevoli come quella di Eskol Nevo, che esprime il concetto come augurio, ma che nella realtà è perfettamente consapevole che non potrà esistere pace e dialogo tra israeliani e palestinesi con Hamas ancora viva ed attiva, dobbiamo necessariamente credergli.