La Florida, un battleground state già storicamente fondamentale per la corsa alla Casa Bianca, in queste Presidenziali 2016 è particolarmente decisivo. Il motivo? Gli elettori di origine ispanica. Lo “stato del sole” infatti, con il suo 20%, è lo swing state che registra la più alta percentuale di aventi diritto al voto di origine latino-americana. Dopo le dichiarazioni di Donald Trump sul popolo messicano, e le promesse di pugno duro circa l’immigrazione clandestina, ci si potrebbe immaginare facilmente la preferenza di questa parte di elettorato. Ma partecipando ai rally (come qui chiamano i comizi elettorali), organizzati capillarmente in ogni contea, risulta evidente come Mr. Trump abbia fatto breccia anche su quegli elettori che ci si aspetterebbe di incontrare ad una convention democratica. Come Carlos, 37enne della Repubblica Dominicana, appassionato YouTuber e tecnico di laboratorio a Fort Lauderdale. Protesta contro i democratici travestito da militante dell’Isis, “figlio della sconsiderata politica in Iraq di Barack Obama”, presidente che lui stesso ha votato nel 2008. “Un anno fa ero in macchina, ascoltavo un programma politico di stampo conservatore – racconta – e più lo ascoltavo, più mi rendevo conto di essere d’accordo. Argomenti che a vent’anni avrei considerato folli, adesso, che sono sposato e ho due figli, mi sembrano più che ragionevoli”.
Sul tema dell’immigrazione, Carlos spiega il suo punto di vista con un esempio: “Se vuoi migliorare il tuo acquario metti due pesci alla volta e li lasci acclimatare, ma se ne lanci dentro venti, tutti assieme, non solo moriranno ma distruggeranno tutto il resto. Deve esserci un limite alle persone che possono entrare nel Paese – sottolinea – e devono essere queste persone ad adattarsi al nuovo ecosistema. I democratici vogliono sfruttare questa situazione, permettendo l’ingresso a frotte di immigrati che, una volta divenuti cittadini americani, voteranno per loro”. “Abbiamo bisogno di tornare all’America degli anni ‘80, ai tempi felici delll’american dream”. Sono le parole di Erwin, 43enne arrivato da Panama nel 1994, che per diventare cittadino americano si è impegnato e sacrificato. “Quando è morto mio padre non sono potuto andare al suo funerale. Avevo cominciato le pratiche per la mia cittadinanza e se avessi lasciato il paese avrei dovuto aspettare dieci anni per potervi rientrare – racconta – Dovevo scegliere tra la famiglia e la nazione, e ho scelto l’America”. Erwin è sposato con Jan, con cui vive nei pressi di West Palm Beach, ed è l’esempio perfetto di come il continuo accomunare il radicalismo islamico all’immigrazione irregolare abbia fatto moltissima leva sulla community Lgtb. “Bisogna entrare in questo paese rispettando le regole, come ho fatto io, non saltando una recinzione – continua Erwin – dobbiamo sapere chi sono queste persone ed essere certi non arrivino qui con cattive intenzioni”. Erwin ha preparato un cartello speciale per questi ultimi giorni di campagna elettorale: un centinaio di lampadine che compongono una scritta luminosa, “TRUMP”. Mentre lo guarda assorto, riprende il discorso: “In certi paesi per le persone gay, come noi, è prevista la pena di morte – spiega – e ho deciso di votare per qualcuno che non permetterà mai una cosa del genere in questa nazione, prima di tutto proteggendo i confini per evitare che l’America sia invasa dalla cultura musulmana”.
“A mio padre fu negato il visto turistico e dovette passare illegalmente per il Messico – racconta Maria, 35enne nicaraguense arrivata all’età di quattro anni con sua madre e suo fratello – fu arrestato e dovette scontare mesi di carcere prima di poter pagare una grossa cifra come cauzione”. I suoi genitori trovarono degli impieghi regolari e sistemarono negli anni la loro posizione con l’aiuto degli avvocati, ma per la giovane donna “il sistema è completamente corrotto e molto spesso ti chiedono soldi per rifare la stessa pratica anche tre o quattro volte di seguito”, ricorda con rabbia. “Tutto quel denaro non è stato un investimento per la mia famiglia – aggiunge – ma uno sperpero di risparmi accumulati facendo i lavori più umili”. Oggi Maria è proprietaria di un centro massaggi e collabora come fisioterapista con l’ospedale di Miami. “La riforma Obamacare è stata un disastro: per offrire una copertura peraltro di scarsa qualità a tutti, compreso chi è clandestino – spiega – le tasse si sono alzate, così come le assicurazioni private. Il risultato? Devi avere un’assicurazione per legge adesso, e, se non sei abbastanza povero per quella pubblica ma neanche abbastanza ricco per quella privata, a fine anno paghi una multa quando dichiari le tasse”. L’imprenditrice non si considera una repubblicana, bensì una persona che vota in base alle parole che ascolta: “Donald Trump non scenderà a patti con nessuno, perché non ha bisogno né delle lobby né delle banche – sostiene armata di un sorriso confidente – e sono sicura che rimetterà veramente le cose al loro posto, qui in America. Anche grazie al muro – aggiunge – che, una volta costruito, ci proteggerà dalla delinquenza e dallo spaccio di droga”. Quel muro che non c’era, quando il padre di Maria passò dal Messico per cominciare una nuova vita con la sua famiglia.