Che l’emailgate fosse un caso tutt’altro chiuso, e che avrebbe anzi tormentato Hillary Clinton fino all’8 novembre, i lettori di OfcsReport l’hanno potuto leggere più volte su queste pagine. E’ successo che tra le email sequestrate all’ex congressman democratico Anthony D. Weiner (per un caso di molestie sessuali a una quindicenne), marito di Huma Abedin, braccio destro della Clinton, l’Fbi ritenga che ci siano messaggi rilevanti proprio per il caso che riguarda l’ex segretario di Stato e che impongono di indagare a fondo e con urgenza. E in una lettera al Congresso ha quindi informato i parlamentari. L’annuncio della riapertura dell’indagine sull’emailgate, questa volta a tutti gli effetti un’indagine penale federale, non poteva che scatenare le polemiche. Si sono invertiti i ruoli: non è più Trump a parlare di elezioni truccate e a gettare fango sulle istituzioni, ora è la campagna Clinton a evocare complotti, ad accusare l’Fbi, e in particolare il suo direttore Comey, di voler influenzare le elezioni, dopo averlo applaudito invece quando aveva chiuso la precedente indagine senza incriminare la ex first lady.
Il livello di allarme è talmente elevato nel campo democratico che anche il presidente Obama, che in un primo momento tramite il suo portavoce si era rifiutato di sconfessare l’operato dell’Fbi, alla fine è sceso in campo, definendo “gonfiato” il caso e bacchettando indirettamente l’agenzia: “Quando ci sono indagini non operiamo su insinuazioni, informazioni incomplete e fughe di notizie”.
In realtà, l’Fbi non avrebbe potuto scegliere momento migliore per arrecare meno danni possibili alla candidata democratica, non potendo al tempo stesso tacere la nuova indagine. La notizia infatti arriva sì in prossimità del voto, ma con un margine sufficiente di giorni per essere “digerita” dall’opinione pubblica e dar modo alla campagna Clinton di reagire. Ma soprattutto arriva dopo che 26 milioni di americani (il doppio rispetto al 2012) hanno già votato e dopo i dibattiti tv, evitando così a Hillary l’imbarazzo di doverne rispondere in diretta televisiva davanti a 80 milioni di telespettatori. Ovviamente non è una buona notizia per lei, il danno incalcolabile, ma l’Fbi non avrebbe potuto agire diversamente. Cosa sarebbe accaduto, infatti, se il direttore Comey avesse taciuto, e sulla stampa fosse trapelato un “leak” sulla nuova indagine in corso? O, peggio ancora, se si fosse saputo dopo l’8 novembre, ad elezione della Clinton avvenuta? Donald Trump avrebbe potuto con buone ragioni parlare di sistema corrotto ed elezioni truccate.
Senza contare che già la decisione dell’Fbi di non incriminare la Clinton al termine della prima indagine è apparsa più che discutibile. Il 56% degli americani non l’ha condivisa e per il WSJ, che non sostiene certo Trump, puzza talmente di doppio standard da gettare un’ombra inquietante sulla tenuta dell’indipendenza e dell’imparzialità delle istituzioni e delle agenzie governative. A sollevare ulteriori dubbi di conflitti di interesse e favoritismi politici, ci sono i 675 mila dollari donati da un’organizzazione del governatore della Virginia, Terry McAuliffe, amico di vecchia data di Hillary e Bill, alla campagna per il Senato della moglie del vice direttore dell’FBI Andrew McCabe, che ha avuto un ruolo centrale nelle indagini sulla Clinton.
Insomma, il tema è terribilmente serio. Si tratta della sistematica violazione delle regole sulla segretezza da parte della Clinton e del suo staff. L’ipotesi è che questa violazione fosse deliberata, che addirittura siano stati cancellati messaggi classificati top secret, che sia stata deliberatamente ostacolata la giustizia, con false testimonianze all’FBI e occultando l’esistenza di altre e-mail. E nella migliore delle ipotesi, la candidata ritenuta più “affidabile” di queste elezioni ha usato un server privato di posta elettronica esponendo informazioni top secret per la sicurezza nazionale, ma anche solo intenzioni e politiche del governo Usa, a qualsiasi tipo di hackeraggio e azione di spionaggio di governi stranieri.
Timothy Naftali sul New York Times spiega perché le email della Clinton “importano”: “Nessuno vuole doversi preoccupare che qualcuno dei suoi nastri alla Casa Bianca andrà perso”, con evidente riferimento al caso Watergate che travolse Nixon. Per il Wall Street Journal a questo punto Hillary Clinton diventa “la mano non sicura”, “ha preso il posto di Trump come candidato ad alto rischio”. Il Washington Post spiega perché il caso rischia di travolgere anche una eventuale presidenza Clinton: “Pronti per altri quattro anni di ‘Clinton scandals'”. La parola mai pronunciata ma che risuona nella testa di tutti è una sola: impeachment. Insomma, anche se dovesse farcela, quella di Hillary Clinton potrebbe essere una presidenza azzoppata da scandali e inchieste, debole a Washington e sotto la pressione crescente della rabbia anti-establishment che monta nel Paese, sia da destra che da sinistra.
Come se non bastasse, l’FBI ha pubblicato nuovi documenti su un’indagine, che si chiuse senza incriminazioni, che coinvolse l’allora presidente Bill Clinton per la grazia concessa al finanziere Marc Rich, la cui moglie era donatrice del Partito democratico. E un’altra brutta notizia per Hillary è il netto calo di early voting (voto anticipato) tra gli afroamericani in stati cruciali come Nord Carolina e Florida, la chiave del successo di Obama nel 2008 e nel 2012. Segno che non sarebbe riuscita a conquistare la fiducia del “popolo di Obama”.
Che impatto avrà tutto questo sulla corsa alla Casa Bianca? La riapertura di una partita che fino a pochi giorni fa per i sondaggi sembrava chiusa potrebbe rimotivare i potenziali elettori di Trump, mentre le sempre più oscure zone d’ombra nell’operato della Clinton possono rendere più difficile l’impresa a quegli elettori disposti a votarla turandosi il naso. Ma nonostante tutto, Hillary resta favorita. Anche se con margini molto ridotti rispetto a pochi giorni fa, i sondaggi continuano a darla in vantaggio nei singoli stati. Non da oggi però ci si chiede, e se lo chiedono gli stessi sondaggisti, se siano davvero riusciti a intercettare l’elettorato potenziale di Donald Trump o se qualcuno (molti?) dei suoi elettori sia sfuggito alle rilevazioni.