Un nuovo Watergate. Ma stavolta gli autori non sono i membri del comitato per l’elezione di un avversario politico né hanno fatto irruzione fisicamente in un ufficio dei supporter di Hillary Clinton. La spia stavolta viene da lontano: da Mosca e agli ordini del Cremlino.
La vicenda, che sembra venire da un romanzo di Tom Clancy, sarebbe stata analizzata dall’Odni, l’ufficio del direttore dell’intelligence Usa, e punta il dito contro il leader russo Vladimir Putin. Due delle tre agenzie nazionali che monitorano la sicurezza (Fbi e Cia, l’Nsa non ha dato pieno appoggio a questa tesi) hanno dichiarato con un “elevato grado di certezza” che “Putin e il governo russo – recita il documento – hanno mirato ad aiutare il neopresidente eletto Donald Trump gettando scredito” su Hillary Clinton e i suoi alleati elettorali, preferendo il candidato del Gop a quello democratico.
Ma in che modo i russi avrebbero inquinato la macchina democratica americana? E perché avrebbero preferito Trump alla Clinton? A questo il documento dell’Odni offre varie spiegazioni e una disamina precisa sui fatti accaduti. Senza tralasciare il ruolo decisivo che avrebbe avuto la tv del Cremlino, Russia Today, e il portale fondato da Julian Assange, che avrebbe avuto per primo dettagli su quanto aveva scoperto l’intelligence russa.
Partendo dal come: l’ufficio centrale dell’intelligence definisce la campagna di disinformazione russa “multiforme”. Operazioni di intelligence, ampio uso dei media, hacking e social media manager pagati per “trollare” gli uomini vicini alla candidata democratica. Il tutto al fine di orientare il voto. Tutto questo sarebbe avvenuto nel periodo prima delle elezioni, con l’aggiunta di un particolare atteggiamento riscontrato dai servizi statunitensi sul dopo elezioni. Il Cremlino infatti avrebbe abbassato il volume mediatico all’idomani della vittoria di Trump per non dare nell’occhio e per non minare quanto ottenuto.
L’Odni in buona sostanza “asserisce – secondo il documento – che la campagna di influenza è stata approvata ai più alti livelli del governo russo”. Uno dei dati più significativi che testimonierebbero l’ingerenza del Cremlino è l’accesso e la permanenza nei sistemi informatici Usa, quelli dei dem in primis. “Nel luglio 2015 l’intelligence russa ha ottenuto l’accesso alle reti del Comitato di Elezione Democratico e – aggiungono i servizi Usa – mantenne l’accesso fino al giugno 2016”, periodo della convention democratica che diede l’investitura alla Clinton come candidata alla Casa Bianca.
Le operazioni di spionaggio del Gru, il servizio segreto russo, cominciarono nel marzo dello scorso anno e sarebbero consistite “nella compromissione degli account email personali degli ufficiali del partito Democratico”. A questa fase sarebbe seguito un travaso di una gran mole di dati dagli account dem ai database russi. A questa prima fase di raccolta dati sarebbe seguita una seconda di diffusione nella quale gli attori principali sarebbero stati tre: DCleaks.com, Wikileaks e l’identità virtuale Guccifer 2.0, che si sarebbe dichiarato un hacker di nazionalità romena.
L’intelligence americana cita prove e e congetture nel documento che porterebbero a pensare che questi tre attori sarebbero stati sotto il diretto controllo di Mosca. Una di queste è l’intensa collaborazione fra l’emittente di stato Russia Today e Julian Assange. Questi nel 2013 sarebbe stato raggiunto da esponenti del canale satellitare russo per discutere un contratto che da allora in poi avrebbe legato l’emittente del Cremlino e il portale dell’esiliato nell’ambasciata venezuelana a Londra. Quotidianamente Assange gode di un ampio spazio sulla tv russa e dalle telecamere di Russia Today continua a lanciare strali nei confronti degli States.
Ci sarebbe poi un altro elemento che porterebbe l’intelligence Usa a puntare il dito contro Mosca anche se, a un primo sguardo, la questione sembrerebbe lontana dalla politica. Oggetto di spionaggio sarebbe stata anche la Wada, l’agenzia mondiale contro il doping con sede in Usa. Le recenti inchieste sugli atleti russi hanno messo in imbarazzo la federazione russa tanto da impedirne per gran parte la partecipazione alle ultime olimpiadi tenutesi a Rio de Janeiro lo scorso anno.
Il documento si chiude su una analisi dei numeri dello sharing di Russia Today. E più precisamente sui numeri social dell’emittente russa. Si vede chiaramente una supremazia della tv di Stato sulle emittenti americane se parliamo di Youtube, il social più influente se non altro perché parla il linguaggio più immediato: il video. Ebbene, se Bbc World supera i 600 milioni di visualizzazioni, e si tratta della tv che fa i numeri migliori al di là dall’Atlantico, Russia Today scavalca gli 800. Stessa storia per le iscrizioni al canale: quello della tv russa supera di gran lunga i 400mila utenti iscritti.
Numeri e ipotesi che porterebbero all’ennesima conferma di come Mosca stia ridisegnando la sua sfera di influenza e si prepari ai quattro anni della presidenza Trump con uno spirito diverso da come aveva fatto con quella di Obama. Nel report dell’Odni viene citato un altro elemento che vede protagonista l’Italia: “Putin ha avuto molte esperienze positive con leader occidentali i cui affari li portassero a guardare di buon grado a trattare con la Russia: Silvio Berlusconi e il cancelliere Gerard Schroeder”.